Quale Natale dopo il terremoto?

Quello di Avvento a L’Aquila non sarà soltanto un tempo di attesa e preghiera, ma di intenso lavoro. Da alcune settimane sono partiti, infatti, i lavori per la riapertura nell’arcidiocesi di trenta chiese danneggiate dal sisma. Un impegno frutto dell’accordo siglato il mese scorso tra la Conferenza episcopale italiana e il ministero dei Beni Culturali. […]

mons__giuseppe_molinari_arcivescovo_dell_aquila_-_28_aprile_2009_-_ivan_maffeisQuello di Avvento a L’Aquila non sarà soltanto un tempo di attesa e preghiera, ma di intenso lavoro. Da alcune settimane sono partiti, infatti, i lavori per la riapertura nell’arcidiocesi di trenta chiese danneggiate dal sisma. Un impegno frutto dell’accordo siglato il mese scorso tra la Conferenza episcopale italiana e il ministero dei Beni Culturali. Senza dimenticare l’impegno dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici per continuare il loro servizio alle comunità, spesso frammentate, nonostante i disagi e i problemi di una città che sta cercando lentamente di risollevarsi. Eccellenza, come vivrete questo tempo d’Avvento?
“Concretamente stiamo lavorando perché ogni comunità abbia un luogo di culto, una chiesa o una struttura in cui ritrovarsi per il Natale. Certo non apriremo tutte quelle promesse ma un buon numero verranno rese agibili. Dall’altra parte, come sempre, cerchiamo di vivere questo tempo dell’anno liturgico come un tempo di speranza per le nostre comunità. Un periodo speciale per noi, anche perché coinciderà con l’arrivo nella nostra arcidiocesi del vescovo ausiliare, mons. Giovanni D’Ercole, che verrà ordinato il 12 dicembre nella basilica di San Pietro”.

Come vivete questo arrivo?
“Mons. D’Ercole farà il suo ingresso in diocesi proprio pochi giorni prima del Natale. Questo è un avvenimento importante, uno stimolo in più a vivere bene queste settimane che ci aspettano. Non possiamo poi dimenticare i circa quattrocento volontari che vivono ancora tra noi, con cui condivideremo questo tempo natalizio”.

Non teme che le tante preoccupazioni delle gente, dalla casa al lavoro, possano mettere in secondo piano il senso del Natale?
“Ci sono molte difficoltà, alcune – come la mancanza di lavoro – erano presenti anche prima del terremoto ma sono state aggravate. Vedo però alcuni segnali di speranza, come la ripresa di qualche attività e la riapertura di tutte le scuole. Spero che con l’aiuto delle istituzioni si possano riprendere quelle attività produttive tanto importanti per le nostre comunità”.

Che effetto fa non poter celebrare il Natale in cattedrale dopo tanti anni?
“È senz’altro un dispiacere che ci ricorda come la situazione a L’Aquila sia cambiata in modo drammatico e improvviso. Celebrando il Natale, una delle feste più belle della nostra fede, non dobbiamo però dimenticarci, come ho già detto, che questa è la festa della speranza”.

Pensa che questa tragedia abbia portato ad una riscoperta dell’essenzialità della fede?
“Sono sicurissimo che il terremoto è stato per molti l’occasione di riscoprire la propria fede. Tante persone mi hanno detto che questa tragedia le ha costrette a stare più unite, a vivere insieme, stringendosi in spazi più piccoli non solo nelle case ma anche nei luoghi di culto, ovunque. Oggi non comprendiamo ancora fino in fondo quali saranno le conseguenze del sisma, ma ci sono alcuni aspetti commoventi come la solidarietà e la riscoperta di legami profondi tra singoli, nella comunità, con gli altri”.

Quello della disgregazione delle comunità è uno dei problemi più avvertiti dai fedeli. Come si può evitare che ciò avvenga?
“Non abbiamo ancora tutti gli elementi per capire come sarà la situazione nelle nostre comunità quando tutto si sarà stabilizzato. Abbiamo fatto un primo incontro con i parroci e so che alcuni di loro hanno mandato lettere a tutti i nuovi residenti per cercare di incontrarli. Il problema più grande riguarda le parrocchie del centro storico (la zona rossa è ancora inaccessibile, ndr), che non esistono più. Poi vi sono questi nuovi agglomerati, veri e propri quartieri. Ci stiamo attrezzando per vedere come adattarci a questa realtà che cambia”.

Nei prossimi giorni, chiuderanno definitivamente le ultime tendopoli ancora in funzione. Secondo lei c’è il rischio che nell’opinione pubblica nazionale si possa credere che a L’Aquila sia tutto risolto?
“Questo rischio ci sarebbe stato comunque e non penso dipenda dalla chiusura delle tendopoli. Questo succede quando si abbassano i riflettori su una tragedia e c’è il rischio che molti se ne dimentichino. Io mi auguro che non sia così e spero che non solo lo Stato ma anche le varie comunità, gli organismi e i tanti volontari arrivati fino ad oggi continuino ad aiutarci. Perché chi è stato qui sa che la tragedia non finisce il 31 dicembre”.

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