Obama per il nucleare (e l’Italia al seguito)

Secondo i dati pubblicati dalla World Nuclear Association, aggiornati a Marzo 2008, esistono nel mondo 439 reattori nucleari (per una potenza complessiva di 372 GigaWatt) che producono il 16% dell’energia elettrica totale consumata dagli umani. La costruzione della maggior parte dei reattori è iniziata tra il 1965 e il 1975 e, nel 1985, si è […]

Secondo i dati pubblicati dalla World Nuclear Association, aggiornati a Marzo 2008, esistono nel mondo 439 reattori nucleari (per una potenza complessiva di 372 GigaWatt) che producono il 16% dell’energia elettrica totale consumata dagli umani. La costruzione della maggior parte dei reattori è iniziata tra il 1965 e il 1975 e, nel 1985, si è raggiunto il massimo di nuova potenza nucleare connessa alla rete elettrica. Dunque, il tempo medio per la costruzione di un reattore è stato finora di circa 10 anni.

Dopo del 1985 la potenza complessiva dei nuovi reattori entrati in esercizio è diminuita in modo significativo e così tutte le previsioni di forte crescita del settore nucleare fatte (a partire dal 1975) da International Atomic Energy Agency e Nuclear Energy Agency sono state poi smentite e corrette al ribasso. Attualmente ci sono 35 reattori in costruzione (e per alcuni, i cantieri sono già aperti da diversi anni) che forniranno una potenza complessiva di circa 29 GW ma, al contempo, va osservato che circa il 70% dei reattori esistenti sta invecchiando e dovrà essere mandato a riposo (decommissionato) entro i prossimi 25 anni. Le nuove costruzioni e quelle programmate potranno al più sostituire la potenza nucleare attualmente in esercizio ma, ad esser realisti, non è prevedibile un boom di nuovi reattori nei prossimi anni e dunque la percentuale di energia elettrica di origine nucleare rimarrà dapprima stazionaria e tenderà in futuro a calare. I complicati iter burocratici e decisionali, gli ingenti costi di costruzione dei reattori, la necessità di garantire profili di sicurezza sempre più elevati in un mondo sempre più insicuro, la questione non risolta del trattamento delle scorie radioattive, sono tutti fattori che non incoraggiano gli investimenti nella tecnologia nucleare ai fini della produzione di elettricità. Vi è però un aspetto almeno tanto rilevante quanto quelli citati eppur tuttavia spesso non considerato a dovere: si tratta della disponibilità delle risorse di Uranio, l’elemento combustibile dei reattori attualmente in funzione. Ad oggi undici nazioni, tra le quali Germania, Francia e Repubblica Ceca, hanno esaurito le loro riserve e 2.3 milioni di tonnellate (ton) di uranio sono già state consumate. La domanda mondiale di uranio è di circa 67 mila ton per anno mentre la produzione si attesta sulle 42 mila ton. Così 25 mila ton sono prelevate ogni anno dalle scorte secondarie accumulatesi prima del 1980, nei tempi in cui la produzione di uranio era stimolata dalla domanda militare. Per quanto l’entità precisa di queste scorte secondarie non sia nota, si stima con le dovute cautele che esse si esauriranno in una decina d’anni. Allora già si pone il problema di un incremento della attuale produzione sì da coprire l’imminente prossimo buco lasciato dalle scorte secondarie. Ma quanto uranio rimane in natura? In linea di principio potrebbe esservene tanto ma la disponibilità concreta è legata al suo grado di concentrazione nella roccia da cui lo si estrae, ergo al suo costo di estrazione. Attualmente, le Risorse Ragionevolmente Sicure ad un costo inferiore ai 40US$/Kg sono di 1.9 milioni ton mentre vi sono altre 640 mila ton ad un costo tra i 40 e gli 80US$/Kg . Oltre queste quantità si entra nel regno del condizionale e dell’ipotetico. Dunque, all’attuale tasso di consumo l’uranio effettivamente disponibile durerebbe circa 38 anni. Se si dovesse aumentare il numero di reattori in esercizio senza un’effettiva garanzia sui rifornimenti di combustibile si butterebbero soldi al vento. Si rischierebbe di ultimare i lavori di costruzione dei reattori e di lasciar poi i medesimi spenti e inutilizzati. Naturalmente questi aspetti sono noti agli operatori del settore. Ma il costruire le centrali nucleari è, per alcuni, un business in sé. A prescindere dalla loro reale utilità economica e ambientale.  Solo il Canada dispone oggi di miniere nelle quali la concentrazione di ossidi di uranio è almeno dell’ 1% e la produzione nazionale di uranio copre il 30% del totale mondiale. Secondo molti esperti, tutti gli argomenti generalmente addotti in favore dell’uso dell’energia nucleare al fine della produzione elettrica sono stati smontati. I reattori nucleari non aumenteranno a livello mondiale la loro capacità produttiva globale per motivi intrinseci legati alla reperibilità dell’uranio e per gli alti costi dell’intero ciclo produttivo. In esso vanno inclusi ovviamente anche il processo di decommissionamento e lo stoccaggio delle scorie radioattive. La tecnologia nucleare nota ad oggi è semplicemente non conveniente per sopperire al fabbisogno di energia elettrica. Per questo motivo le previsioni di sviluppo avanzate negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso sono regolarmente fallite. E’ anche bene chiarire che i famosi Reattori di Quarta Generazione (spesso citati con troppa euforia) non saranno comunque pronti prima del 2030 secondo le stesse dichiarazioni contenute nella Technology Roadmap delle 10 nazioni facenti parte del Generation IV International Forum. Quindi è possibile che si slitti verso il 2050. Il reattore nucleare, di qualsivoglia generazione, è in realtà figlio di un’idea destinata a morire. L’idea fondamentale su cui si basa la tecnologia nucleare è quella della separazione tra luogo della produzione e luogo del consumo energetico. Ma nonostante tutto, ieri, 16 febbraio, Barack Obama ha illustrato  la sua iniziativa per “riaccendere”il programma nucleare negli USA, a  Lanham in Maryland, durante una visita a una centrale elettrica gestita dal sindacato degli elettricisti americani.” So che i difensori dell’ambiente sono contro il nucleare – ha detto – ma per prevenire le peggiori conseguenze nei cambiamenti climatici dobbiamo aumentare i nostri approvvigionamenti nucleari”. Le centrali, ha aggiunto, saranno “sicure e pulite” e garantiranno “la sicurezza e il futuro del nostro paese”. Ha poi annunciato garanzie federali per 8,33 miliardi di dollari per la costruzione di due nuovi reattori in Georgia,  affidati alla Southern Co., una delle principali società energetiche dello stato e stanziamenti, nel 2010, sino a 54 miliardi per nuovi impianti. In questa decisione c’è una importante svolta anche politica: in campagna elettorale Obama aveva preso le distanze dai progetti nucleari, criticati dagli ambientalisti per i pericoli posti dai reattori nucelari che utilizzano materiale radioattivo. Gli impianti nucleari inoltre erano un vessillo dell’ex presidente George W. Bush, ma ora il progressista e ambientalista Obama ci ripensa. È la prima volta dal 1970 che l’America mette in cantiere un progetto per una nuova centrale. A  quanto si apprende, dopo quella in Georgia sarrano attuati progetti in Carolina del Sud, Texas e Maryland. Ci sono state ovviamente polemiche: la  più importante circa la gestione dei rifiuti, che Obama ha affrontato promettendo misure di assoluta sicurezza “grazie ai progressi tecnologici che abbiamo compiuto sia per la gestione dell’impianto che per il riciclaggio dei rifiuti”. La seconda, che invece Obama non ha affrontato, riguarda il fatto che quasi certamente la garanzia sarà a fondo perduto. Inoltre, il presidente USA ha detto che il nucleare – bloccato dal 1979, anno dell’incidente di Three Miles Island in Pennsylvania – non è né di destra né di sinistra. A spingere a favore della scelta nucleare non ci sono solo esigenze economiche ma anche ambientaliste: “Il nucleare – ha detto il presidente – rimane la maggiore fonte d’energia che non produce emissioni inquinanti. Una centrale atomica a parità di energia prodotta in un anno, è capace di ridurre l’inquinamento di 16 milioni di tonnellate di carbone. Praticamente è come togliere dalla strada 3,5 milioni di automobili”. Fin dai suoi albori la tecnologia nucleare, con potenzialità e rischi connessi, ha fatto discutere mondo scientifico, politico e movimenti ambientalisti. Dopo un rallentamento in seguito al grave incidente di Chernobyl, la produzione di energia dall’atomo conosce oggi una nuova attenzione come ipotesi energetica in un contesto globale di sempre più serrata crisi delle risorse fossili e lotta al cambiamento climatico. Ma non mancano le critiche e le proteste, anche in Italia dove il Governo Berlusconi ha recentemente deciso di reintrodurre il nucleare nonostante, ad oltre vent’anni dalla chiusura delle centrali, resta ancora da completare il totale smantellamento delle scorsie, la rimozione e la decontaminazione delle ex centrali nucleari. In effetti, ancora oggi e nonostante ciò che Obama e Berlusconi affermano, vi sono vari aspetti in cui il nucleare non trova ancora valide risposte: le drammatiche conseguenze in caso di incidente; scorte da stoccare per milizia di anni; localizzazione degli impianti e costi reali. Per quel che riguarda i costi, ad esempio, da circa 15 anni nessun paese occidentale, salvo la Finlandia, ha messo in cantiere nuove centrali nucleari. Il nucleare comporta costi elevati fin dalla realizzazione degli impianti. Vanno poi ad aggiungersi i costi militari per garantire la sicurezza dagli attentati terroristici e i costi per smantellare la centrale nucleare al termine della sua attività. Tutti questi costi non sono sostenibili da un’industria privata. Lo Stato deve necessariamente intervenire a copertura delle spese aumentando tasse e imposte ai contribuenti. In breve, il basso costo dell’energia in bolletta potrebbe essere più che compensato dall’aggravio fiscale in termini di imposte. Siamo personalmente convinti che la soluzione sia quella di maggiori verso le energie rinnovabili (solare ed eolico), dando però a queste fonti un peso differente nel bilancio energetico complessivo. Ad esempio in Italia, il bilancio fornito dall’Enea nel luglio 2008 e che riguarda disponibilità e consumi nel 2007, dimostra che la parte del leone l’ha fatta il petrolio, che ha coperto il 43% della domanda (sostenuta dai trasporti), seguito dal gas naturale (36%) e dal carbone (9%). C’è poi un 7% di energia da fonti rinnovabili (costituito quasi esclusivamente dall’idroelettrico) e infine un 5% di energia elettrica importata (di origine elettro-nucleare). Petrolio più gas più carbone più importazioni, uguale 93%.  È questa la misura attuale della nostra dipendenza. In più, di petrolio e gas non conosciamo la reale consistenza delle riserve (da diversi anni i Paesi produttori non comunicano più le loro valutazioni) né possiamo discutere sui prezzi. Abbiamo bisogno di alternative, è chiaro, ma anche di imparare nuovi comportamenti per risparmiare dove si può. L’attuale legge sugli incentivi per l’installazione di impianti fotovoltaici è ben pensata: non c’è un finanziamento iniziale, ma l’Enel riconosce in bolletta 0,18 euro per kW prodotto e la Regione altri 0,43 euro per kW prodotto. In pratica la componente energia della bolletta si azzera (restano invariate le accise) ed entrano un po’ di contanti per fare fronte all’eventuale prestito chiesto per l’impianto (un sistema da 3-5 kWh costa 16-19.000 euro) e per la manutenzione, e avanzerebbe ancora qualcosa. Oggi le tecnologie solari, per quanto ancora poco incentivate, già permettono di ricomporre la frattura tra produttore e consumatore d’energia e inducono dunque a ripensare l’intera struttura della rete. Senza alcun dubbio le società del futuro vivranno grazie all’energia solare che è inesauribile, non monopolizzabile ed utilizzabile in modo diffuso. Si tratta di capire quanto sarà lungo e problematico il processo di transizione all’economia solare. In questa direzione sensata sarebbe bene, fin da ora, impiegare i quattrini disponibili. Il vero problema è che tutto questo va bene e può funzionare per i piccoli centri, o in campagna, dove abbondano case mono o bi-famigliari, ma no nelle grandi città. E per quanto riguarda l’eolico gli investimenti sono quasi a zero. All’ultimo (in Italia) illustre rappresentante di quei  “illuminati” pensatori che auspicano (come Obama) un ricorso al nuclerare, cioè il Ministro Scajola, bisogna ricordare che sull’argomento, prima che favorevoli o contrari, occorrerebbe essere ben informati., in termini ambientalistici, di spesa ed anche di alternative. Il nucleare è economico, sicuro, e inquina meno; queste sono le motivazioni dei crociati del nucleare (compreso Obama), ma possiamo ampiamente discutere sulla verità di queste tre affermazioni. Secondo un autentico esperto di costi, Lester Russel Brown, il nuclerare costa molto più di altre fonti, poiché il costo nucleare dovrebbe comprendere quelli  per lo smaltimento delle scorie, di un’assicurazione contro incidenti nucleari e in ultimo quelli di costruzione e di smantellamento dell’impianto. Negli Stati Uniti si è scoperto, ad esempio e di recente, che il costo di smantellamento di una centrale è superore al costo di costruzione. Quando consideriamo la totalità dei costi, una centrale nucleare non esce nemmeno dalla scatola di montaggio: semplicemente non è competitiva. Circa la sicurezza bisognerebbe aprire un capitolo a parte, perché noi andremmo ad impiantare delle centrali non proprio di ultima generazione, senza contare che una centrale nucleare non è mai sicura in un territorio come quello italiano quasi totalmente predisposto a  rischio sismico e in cui molte zone hanno la vocazione al  dissesto idro-geologico (In Italia almeno kl’80% del territorio). Bisognerebbe sapersi arrendere all’evidenza, se in Italia  crollano  scuole e ospedali dopo i terremoti, che fine farebbero le centrali nucleari? Sarebbero sicure come possono esserlo per esempio negli Stati Uniti? Se non siete ancora convinti posso lanciarvi una sfida, le centrali sono così sicure che non esiste  una sola compagnia assicurativa che  sia disposta a stipulare una Responsabilità Civile per assicurare una centrale nucleare. Infine gli aspetti ecologici ed ambientalistici. I sostenitori del programma dicono che il  danno che il nucleare porterebbe in termini di inquinamento è minomo, ma questa è una delle affermazioni più miopi che siano state prodotte intorno al tema. É questo il problema centrale, il motivo che sta spingendo i più grandi produttori di energia nucleare a non investire più un solo centesimo su questa tecnologia: le scorie. Non è stata ancora risolta l’annosa questione dello stoccaggio: purtroppo la radioattività continua ad esserci per anni, ma non cinquanta, cento, ma centomila. Se quindi non si sa dove riporre queste scorie   che senso ha iniziare o continuare  a produrle? Inoltre poniamoci due domande finali. Conviene investire nella costruzione di centrali nucleari se questa tecnologia,   nel 2030 (dati dell’International Energy Agency- IEA), ridurrà solo del 4,5% il contributo al fabbisogno energetico mondiale? Conviene iniziare ora, nel 2010 a spendere soldi per una tecnologia che si basa sull’uranio, minerale piuttosto diffuso ma comunque in via d’esaurimento visto che le scorte di uranio estraibili ci garantiscono copertura per un secolo, se i consumi non fossero aumentati dal 2000?  Razionalizzare i consumi non significa dover tirare la cinghia bensì aumentare la qualità della vita. Mangiar troppo e sprecare metà delle porzioni non significa mangiar bene, significa semplicemente appesantire il fisico e danneggiare l’ambiente. E, a ben vedere, le idiozie sul nuclerare, in Italia, non solo solo queste né solo del governo di destra. Una schifezza bipartisan, con la firma del Governo Prodi, è comparsa  sulla Gazzetta Ufficiale il 16 aprile 2008, numero 90, dove leggiamo che impianti per la produzione di energia, inceneritori e siti per il deposito delle scorie potranno essere coperti dal segreto di Stato. Un qualunque amministratore che vi vorrà dire che vicino casa vostra c’è una struttura dannosa per la vostra salute rischia di beccarsi cinque anni di galera.

Carlo Di Stanisla0

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