Muore bruciato vivo un 13enne Rom nel campo di via Novara

Quando l’intolleranza uccide, chi ha dedicato la vita ai Diritti Umani non prova solo dolore, ma anche un senso di sconfitta. Quando la vittima dell’odio razziale è un bambino, il senso di frustrazione è vicino all’insopportabile. Non bastano le vite salvate, le tragedie evitate, per asciugare il pianto. Il dolore dei pochi, però, cresce così […]

Quando l’intolleranza uccide, chi ha dedicato la vita ai Diritti Umani non prova solo dolore, ma anche un senso di sconfitta. Quando la vittima dell’odio razziale è un bambino, il senso di frustrazione è vicino all’insopportabile. Non bastano le vite salvate, le tragedie evitate, per asciugare il pianto. Il dolore dei pochi, però, cresce così tanto da superare in grandezza l’odio dei molti e il giuramento si rinnova: “Affronteremo la violenza con lo spirito di pace, l’ingiustizia con il diritto, la crudeltà con la solidarietà e non vi daremo pace. Ci impegneremo fino al nostro ultimo respiro per la vita, per un mondo di uguali”.  Questa notte, verso le 3, un ragazzino di 13 anni è morto bruciato vivo nel campo Rom di via Novara, un luogo esemplare della persecuzione istituzionale delle minoranze razziali in Italia. Il programma che le Istituzioni milanesi si prefiggono di realizzare per combattere l’indigenza e l’emarginazione che affliggono tragicamente i Rom di via Novara si concentra, come sempre, in un solo, spietato termine: “sgombero”.

Alfred Breitman

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