Per L’Aquila e la sua attesa senza fine

Quarto appuntamento della Rassegna di Film per l’Aquila, curata dal critico Piercesare Stagni, in collaborazione con Giovani Chinante, realizzata dall’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, con la collaborazione dell’Accademia de l’Immagine, l’Abruzzo Film Commition e la Pronvicia de L’Aquila. Alla sala Sericchi della Carispaq, mercoledì 7 aprile alle 17, verrà proiettato il film del 1976 “Il deserto […]

Quarto appuntamento della Rassegna di Film per l’Aquila, curata dal critico Piercesare Stagni, in collaborazione con Giovani Chinante, realizzata dall’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, con la collaborazione dell’Accademia de l’Immagine, l’Abruzzo Film Commition e la Pronvicia de L’Aquila. Alla sala Sericchi della Carispaq, mercoledì 7 aprile alle 17, verrà proiettato il film del 1976 “Il deserto dei Tartari”, diretto da Valerio Zurlini, tratto dal romanzo omonimo di Dino Buzzati, metafora complessa sull’inaccessibilità della fortezza, il suo isolamento fisico ed esistenziale,  l’idea della frontiera della morte, del deserto, della presenza di un nemico assente e della inutilità del tempo. Tutti temi che ci riguardano, oggi più che mai, molto da vicino, ad un anno da una catastrofe non ancora composta e di un lutto non ancora elaborato. Girato per lo più nell’antica fortezza di Arg-e Bam, un’antica costruzione di fango e argilla, ha alcune parti ambientate a Campo Imperatore, mentre gli interni furono creati a Cinecittà. La cura attenta per le ricostruzioni ambientali, la fotografia (di Luciano Tovoli), un cast internazionale (Giuliano Gemma, Phillippe Noiret, Jacques Perrin, Laurent Terzieff, Fernando Ray) e la colonna sonora di Ennio Morricone,  consentirono la realizzazione di un film di grande livello artistico che vinse il David di Donatello per la regia nel 1977, battendo il favorito Casanova di Federico Fellini. Per convincervi a (ri)vedere il film, leggiamo ujn commento dello Stesso Dino Buzzati:”  Probabilmente tutto è nato nella redazione del Corriere della Sera. Dal 1933 al 1939 ci ho lavorato tutte le notti, ed era un lavoro piuttosto pesante e monotono, e i mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se fosse andata avanti sempre così, se le speranze, i sogni inevitabili quando si è giovani, si sarebbero atrofizzati a poco a poco, se la grande occasione sarebbe venuta o no, e intorno a me vedevo uomini, alcuni della mia età, altri molto più anziani, i quali andavano, andavano, trasportati dallo stesso lento fiume e mi domandavo se anch’io un giorno non mi sarei trovato nelle stesse condizioni dei colleghi dai capelli bianchi già alla vigilia della pensione, colleghi oscuri che non avrebbero lasciato dietro di sé che un pallido ricordo destinato presto a svanire”.

Carlo Di Stanislao

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