L’Ovale taumaturgico

“L’Aquila. Sabato la Ferla L’Aquila Rugby tornerà in campo allo stadio Fattori contro il Petrarca Padova, forte di un nuovo accordo di sponsorizzazione con la Tim, sottoscritto ieri, che lega per tre anni il colosso della telefonia mobile alla società nero verde (…) <<Il brand di telefonia mobile>>, si legge in una nota dell’Aquila Rugby, […]

“L’Aquila. Sabato la Ferla L’Aquila Rugby tornerà in campo allo stadio Fattori contro il Petrarca Padova, forte di un nuovo accordo di sponsorizzazione con la Tim, sottoscritto ieri, che lega per tre anni il colosso della telefonia mobile alla società nero verde (…) <<Il brand di telefonia mobile>>, si legge in una nota dell’Aquila Rugby, <<si lega così a una società sportiva da sempre protagonista ai massimi livelli di una disciplina di grandi tradizioni. Uno sport, il rugby, che promuove valori forti e condivisi – come amicizia, rispetto delle regole e degli avversari – rappresentando uno strumento educativo efficace per il trasferimento di modelli di comportamento positivi>>. Una spinta per costruire un futuro . <<Telecom Italia sarà vicino a L’Aquila>>, si legge ancora, <<che milita nel campionato di eccellenza Super 10, non solo sul campo da gioco, ma anche negli obiettivi sociali che la squadra si è prefissata, a un anno dal terremoto, in quanto elemento di identità collettiva della città e della regione. La società, infatti, si è fatta promotrice di una serie di iniziative  per la ricostruzione guardando soprattutto alla realtà giovanile che rappresenta il perno del tessuto sociale>>.”

Taumaturgia ovale ovvero i benefici psico-sociali di uno sport di gruppo come il rugby.
I prosaici potranno dire che, in fondo, è solo un gioco. Purtroppo oggi, forse più di prima in  Italia, dove regole, moralità, onestà, rispetto appaiono elementi della vita reale e civile sempre meno condivisi, praticare lo sport dilettantistico in ambito educativo è uno dei pochi aspetti concreti e poetici al tempo stesso. La pratica sportiva del rugby minorile appare vera e reale nella più gran parte delle fasi che la connotano: gli allenamenti, le partite di campionato, il tifo, i sacrifici privi di corrispettivo economico.  
Questa può risultare una storia infinita, un dejà vu per chi ha praticato sport  o seguito campionati giovanili. E come tutte le storie vere ha la trama ciclica della vita: sempre simile e mai uguale. Ma qui l’ingrediente differente ed eccezionale è il terremoto del 6 aprile 2009 nell’altopiano aquilano. 
Gli addetti ai lavori sanno che non è tutto oro quello che luccica e che i problemi organizzativi – finanziari della società di rugby cittadina preesistevano al terremoto. La gestione di un vivaio locale, storicamente sempre ricco di talenti, appariva negli ultimi anni difficoltosa, anche in concomitanza con la crisi di risultati della squadra maggiore passata dalla Top ten alla Serie A. Proprio per questo è interessante scavare sotto la polvere di una crisi, per capire i presupposti della persistenza di una sapienza tecnica e di una passione popolare sportiva mai spente: un tentativo di Archeologia del sapere, per dirla con M. Foucault, in ordine al Discorso sportivo del rugby.
Il Discorso sportivo come paradigma della ricerca genitoriale di elevarsi nella perfezione del gesto atletico piuttosto che nel successo tout court. Ma l’adulto aquilano (e in generale  italiano) nelle partite dei figli o dei giovani amici in campo, ricerca una logica condivisa, una purezza che diviene catartica nel breve e profondo lasso di tempo della partita, in cui normalmente le regole esistono e gli infingimenti sono fuori dal rettangolo di gioco. E i genitori hanno la consapevolezza che la giovinezza lascerà il  passo, in questi ragazzi, alle scelte “adulte” e quindi a compromessi, più o meno grandi, ineluttabili.
Non ultima c’è la voglia di comunicare. In tanti altri siti web delle società di rugby si comunicano e si descrivono le attività delle proprie squadre. Il sito aquilano lo ha fatto sempre poco in questi ultimi anni. Scrivere adesso è un modo per restituire qualcosa ai ragazzi della Polisportiva L’Aquila Rugby.
   Ciò che caratterizza uno sport di squadra è l’elemento del gioco abbinato alla volontà di gestire con delle regole il caso, determinato dalle evoluzioni di un oggetto incerto come, nel nostro caso, la palla. Appare forte il desiderio di sublimare la vita sociale o di praticarne una metafora. Tali aspetti riguardano chi pratica lo sport e coloro che lo seguono con passione.
Tra quest’ultimi una componente particolare è rappresentata dai genitori di minori che praticano sport. La differenziazione tra chi pratica e chi non lo fa, ma tifa, diviene minima allorquando si prova la consapevolezza di una condizione di vita generalmente “faticata”. La possibilità di creare, di inventare, di avvicinarsi alla perfezione, di dominare l’imprevisto e l’avversità, di controllare il gioco (la vita) in un campo delimitato nello spazio, con regole precostituite e immutabili (perlomeno durante la partita), con metodologie basate sulla preparazione fisica, la tecnica, la tattica, la comunicazione, la strategia, ecc., viene data dalla pratica del rito (con annessi miti e totem) sportivo.1
Il pallone ovale permette di svolgere e praticare un gioco più vicino alla vita rispetto al pallone tondo ( calcio, basket, pallavolo, ecc.). Il pallone da rugby ha rimbalzi e traiettorie incerte e imprevedibili come la vita reale. Solo la tecnica e il dominio dello spazio permettono di gestire e dominare la palla in questo gioco. Tecnica e spazio si conquistano con un lavoro sul gruppo e sui singoli giocatori, ma tale lavoro è presente in tutti i giochi di squadra. L’ulteriore peculiarità del rugby è l’avanzare passando il pallone indietro ed anche in questo caso il movimento richiama il senso della vita sociale dell’uomo e, per certi versi, le traiettorie fisiche in natura; anche la storia progredisce in modo non lineare e per G. B. Vico si evolve con un movimento a spirale, con i famosi cicli e ricicli.
 C’è qualche legame tra l’imprevedibilità delle piroette della palla ovale e le caratteristiche imprevedibili di un sottosuolo sismico? Forse la volontà ardita e disperata di dominare questo sport complesso e duro sublima il desiderio di gestire un territorio complicato e duro? In fondo lo sviluppo di questa disciplina si è avuto in luoghi e società dove era necessario coordinare e gestire elementi fisici e culturali quali: l’aggressività giovanile, le differenze sociali, le tendenze di dominio imperialiste, habitat difficili (Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda, Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Argentina, Francia e da noi Veneto e L’Aquila). Ma è una teoria tutta da dimostrare.
L’identità in bilico
Il carattere unico e “sotterraneo” (vivere dalla notte dei tempi seguendo comportamenti ed automatismi all’apparenza imperscrutabili )  della gente aquilana è “precipitato” in questo sport e la catastrofe sismica ha “distillato” le qualità di tutto l’entourage: giocatori minorenni, allenatore, dirigenti, accompagnatori, società, genitori.
Si, è chiaro che non si può pretendere una visione olistica o d’avanguardia in una realtà già debole prima del sisma, ma le poche cose da fare per vincere le partite e gestire il gruppo sono state realizzate giorno per giorno, allenamento su allenamento, trasferta dopo trasferta. E quindi, nessun volo pindarico, nessun allargamento di visione o orpello arricchente, tanta mentalità “spartana” nella selezione e poco stile “ateniese” nella cultura delle sinergie. Solo (si fa per dire) i fondamentali, per gestire questo sport fisicamente duro, ma al tempo stesso cerebrale, per la complessità dei fattori in gioco che lo assimila ad una partita a scacchi.

Partendo dall’analisi sociologica di Z. Bauman, convalidata sempre più dalla realtà degli ultimi anni, di relazioni umane “liquide” e instabili, mi soffermerei su una condizione ancor più dura per i minori della comunità locale: la difficoltà di vivere il sogno ed il gioco. L’imbarbarimento della vita sociale in Italia impedisce fortemente la necessità e la gioia di appropriarsi del sogno e del gioco. Questi ultimi sono operazioni umane essenziali per una vita sana. Non poterle gestire con naturalezza genera un cambiamento antropologico di tutti noi.
Una mutazione pericolosa per M. Viroli (docente alla Princeton University) che si evidenzia in una accusa seria nei confronti della politica italiana da parte dei giovani. Quest’ultima li ha resi poveri dal punto di vista ideale; poveri di bellezza (scuole e città degradate); poveri di passato perché non c’è consapevolezza di passato e di futuro; poveri di comunità perché sono soli e cercano di essere gruppo; poveri di maestri. Luoghi pubblici si, ma decorosi e ricchi di bellezza, non degradati. Perché se si vive in luoghi pubblici poveri e trascurati si diviene sudditi. Occorre vedere la bellezza del dovere e l’idea del dovere va trasmessa ai figli, poiché questa idea consente di fare grandi cose. In questa esigenza ci sono il desiderio di fare politica e di partecipare alla comunità, al bene comune: il bene più alto e divino per Aristotele.
Dopo un terremoto tutto è più difficile. Il territorio aquilano aveva ogni presupposto per essere un “acquario circoscritto” prima del 6 aprile 2009; dopo il sisma rischia di trasformarsi in un laboratorio permanente con annesse cavie. La chiusura geografica e sociale ha accentuato e favorito azioni esogene e comportamenti endogeni che hanno messo in luce temi quali: il dialogo, la trasparenza, l’autodeterminazione, la partecipazione. 

L’Accademia L’Aquila Rugby
La crescita del gruppo è partita circa tre anni addietro con la stabilizzazione dell’allenatore Umberto Lorenzetti e dello staff. In concomitanza con l’istituzione di Accademie giovanili di club, volute dalla Federazione nazionale, la società aquilana ha utilizzato la possibilità di ospitare atleti di altre società ottenendo un contributo finanziario per ogni giocatore.
L’Accademia dell’Aquila inizia ad essere operativa con l’anno sportivo 2007/2008. Annovera la presenza di due atleti fuori sede provenienti da Rieti e Cosenza ospitati presso il Convitto nazionale dell’Aquila.
L’anno successivo, 2008/2009, i due ragazzi precursori non ci sono più (entrambi hanno vicende interessanti da raccontare), ma nel frattempo si amplia la presenza con l’arrivo di 4 ragazzi dal Salento ( due di Brindisi città e di cui uno di origini pakistane, uno della provincia di Brindisi e un altro della provincia di Lecce); ulteriori altri  2 da Chieti e Torvaianica. Segnati anche loro dagli eventi sismici, poiché tutti salvi dal crollo del Convitto riuscendo ad uscire poche ore prima della scossa catastrofica.
Con l’anno 2009/2010 i 2 atleti di Brindisi e della provincia di Lecce non ritornano a L’Aquila. Arrivano nel frattempo due nuovi ragazzi da Viterbo e da Enna.
In questo ultimo anno, con l’istituzione di 3 Accademie interregionali in Italia, di cui una a Roma, per tutto il Centro Sud, ben 4 atleti della società aquilana vengono chiamati per risiedere stabilmente nella capitale. Si ritorna al proprio club di provenienza nel fine settimana per partecipare al campionato Elite. Altri 6 ragazzi del club aquilano vengono convocati per stage giornalieri periodici nell’arco di tre mesi.
E sono anche 4 i giocatori aquilani che nel 2009/2010 vengono chiamati per giocare nella selezione nazionale under 18 in incontri internazionali.

Il passaggio all’età adulta: i campioni del Centro-Sud Italia Under 18 – stagione 2009/2010
Ragazzi straordinari o meglio creature fantastiche: è la definizione più spontanea che viene alla mente quando un adulto incontra nei pressi dei campi sportivi o in città questi adolescenti che praticano rugby.
E non per l’aspetto “barbarico” dello sport in questione. Si tratta della consapevolezza “matura” (forse oltremodo?) e benevolmente educata di appartenere ad una tipologia unica di giovani, di praticanti sport; ad un’èlite di persone che hanno ormai superato il confine dei propri limiti, più e più volte. Confini fisici, mentali, familiari, logistici, geografici. E questo apprendendo l’arte di sentirsi tutt’uno con la squadra, affidandosi al gruppo durante la performance della partita, come se fosse un unico corpo pensante e vibrante.
Non si riscontrano facilmente tra i loro coetanei, anche praticanti altri sport, quell’elemento che oserei definire di beatitudine: nel modo di porsi con gli adulti del loro ambiente o di gestire la quotidianità.
Sono ragazzi consapevoli quindi. Hanno acquisito una dote poliedrica, unica e complessa, che è l’anima del rugby, basata su: contatto con l’avversario, fiducia nel compagno, necessità dell’allenamento per rafforzare lo scudo fisico-tecnico, possibilità di incorrere in un infortunio, valore della diversità fisico-tecnica per chi pratica questo sport.
I valori cavallereschi del rugby si distinguono nettamente a questa età, nonostante i tentativi di chi gira attorno ai ragazzi per strumentalizzare questa vocazione. Vocazione risulta un termine adeguato a chi sceglie di non mollare la pratica sportiva rugbystica anche quando giunge il momento della consapevolezza (matura) che non si diverrà campioni. Lì risalta netta la forza di appartenere ad un gruppo e di non essere individualisti o egocentrici.
E inoltre, senza volerlo, una attività sportiva dei ragazzi per scacciare le tensioni familiari e scolastiche nel caos della sopravvivenza nel “cratere”. Questi atleti, pur sempre adolescenti in fase evolutiva, hanno convissuto con le scosse di “assestamento” perduranti dall’autunno/inverno 2008 ai giorni nostri: in casa, a scuola e negli impianti sportivi (sotto la doccia, durante le riunioni, nelle attese e nei pasti in club house).
I ragazzi, ad uno ad uno, sono stati straordinari. Come tutti i ragazzi che fanno sport e rugby in particolare. Ma, ad un anno dal sisma, un grande obiettivo è stato conseguito: gli atleti dell’Under 18 aquilana hanno primeggiato nel campionato Elite del Centro-Sud Italia e ora affronteranno squadre del Centro-Nord in semifinale.
Ognuno di loro ha dato più di quanto poteva in tante occasioni. Conoscere sufficientemente le personalità della quasi totalità dei componenti la squadra da diversi anni, consente di notare come in pochi mesi, dopo il sisma, la loro maturità è sbocciata tra la voglia di divertirsi in gruppo e arrivare in alto negli obiettivi sportivi.
I ragazzi sono diventati sempre più bravi tecnicamente, ottimizzando l’assimilazione degli input dell’allenatore Lorenzetti e del suo staff. Si sono specializzati nella disciplina comprendendone i meccanismi e il valore del gruppo.  Un collettivo coeso che nel suo nucleo portante ha saputo magnetizzare, amalgamando adeguatamente, anche i singoli arrivati di recente e i compagni più individualistici o meno maturi o con lacune tecniche.

(TO BE CONTINUED)

di Roberto Lettere – Sociologo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *