A Baita

Prosegue con un evento in esclusiva per l’Abruzzo la Stagione Teatrale Aquilana organizzata dal Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con l’ATAM: Marco Paolini  con “A baita”, uno spettacolo che esula dal repertorio proposto solitamente nei teatri italiani  e che vuole essere una dedica speciale al pubblico di  L’Aquila.“A Baita”, in scena domenica 2 maggio, alle […]

Prosegue con un evento in esclusiva per l’Abruzzo la Stagione Teatrale Aquilana organizzata dal Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con l’ATAM: Marco Paolini  con “A baita”, uno spettacolo che esula dal repertorio proposto solitamente nei teatri italiani  e che vuole essere una dedica speciale al pubblico di  L’Aquila.“A Baita”, in scena domenica 2 maggio, alle ore 16,30 presso l’Auditorium della Guardia di Finanza, è ispirato all’opera “Il Sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern ed è ambientato nell’inverno 1942-43, il libro affronta uno degli episodi più drammatici nella storia della seconda guerra mondiale: la ritirata dei soldati attraverso la taiga russa. Ormai allo sbando e circondati dall’Armata Rossa, i personaggi del racconto, reali e non di fantasia, cercano di sopravvivere durante la ritirata, passando da un villaggio all’altro con alterne fortune. Li guida un giovane sergente, che diventerà poi lo scrittore del romanzo.
“Per Mario Rigoni – ci racconta Paolini- scrivere è stato un anticorpo alla disumanità. Ecco, forse quello che sto cercando è un anticorpo alla disumanità della condizione di spettatore. È un’illusione credere di esser spettatori di una guerra lontana perché quando pensi di essere spettatore, sei vittima senza saperlo. Senza la coscienza che non puoi chiamarti fuori, che se rimuovi questa cosa dalla tua vita, stai già scivolando in una perdita. Mi ritrovo nella voglia di non arrendersi che era di Rigoni e dei suoi alpini, ma non come gesto di eroismo, lui marciava nella neve portandosi in spalla il peso tremendo delle armi. I volantini russi dicevano: italiani, siete a quattromila chilometri da casa, arrendetevi. Chi si arrendeva all’evidenza della realtà, alla stanchezza, chi rinunciava alle armi che aveva, a oliarle, pulirle e tenerle in efficienza, era finito. Io penso che la democrazia sia la nostra arma, quella che ha bisogno di manutenzione, e la dobbiamo curare.
Non un lavoro di denuncia ma nemmeno un medicamento per l’anima perché credo che il teatro non possa essere ne terapia ne antidoto. Penso alla possibilità di attingere all’esperienza, e che questo serva alla memoria, serva a prepararsi meglio ad affrontare le cose. Un teatro forse come addestramento, come istruzione”.

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