Quanti mondi come noi nella Via Lattea

Negli ultimi 15 anni i progressi fatti in campo spaziale e astronomico hanno permesso di scoprire quasi 500 pianeti extrasolari. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta di giganti gassosi simili a Giove. Sono di sicuro inospitali per la vita, e non ci aiutano a rispondere a un’antica domanda: siamo soli nell’Universo oppure no? […]

Negli ultimi 15 anni i progressi fatti in campo spaziale e astronomico hanno permesso di scoprire quasi 500 pianeti extrasolari. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta di giganti gassosi simili a Giove. Sono di sicuro inospitali per la vita, e non ci aiutano a rispondere a un’antica domanda: siamo soli nell’Universo oppure no?

Le cose, però, stanno per cambiare. A rivoluzionare il panorama dei mondi “alieni” che popolano la nostra galassia è la sonda Kepler della NASA, lanciata tra le stelle un anno e mezzo fa con un obiettivo ben preciso: cercare esopianeti abitabili, ovvero con dimensioni e caratteristiche simili alla Terra. I risultati preliminari, anticipati alla TED Global Conference a Oxford dall’astronomo bulgaro Dimitar Sasselov (i dati ufficiali saranno resi noti  a febbraio), indicano che la sonda avrebbe già stanato circa 150 gemelli della Terra in mezzo a 1160 sistemi solari. Una cifra soprendente che, se estrapolata sull’intera galassia, porta a ipotizzare l’esistenza di 100 milioni di corpi celesti abitabili solo nella Via Lattea.

Come ha spiegato Ennio Poretti, ricercatore dell’INAF- Osservatorio di Brera, nello Speciale Esopianeti su media inaf, i pianeti abitabili sono quelli che orbitano a una distanza dalla loro stella tale da permettere la presenza di acqua liquida. Perché effettivamente la vita possa  svilupparsi su un pianeta roccioso, sono necessarie contingenze molto particolari: “Oltre all’acqua liquida, c’è bisogno di un’atmosfera che filtri le radiazioni ma lasci passare abbastanza energia”, spiega Poretti. “Servono vaste zone di terraferma, forse anche un asse di rotazione abbastanza inclinato per permettere il ciclo delle stagioni… E poi un lungo periodo di tempo senza catastrofi naturali sul pianeta o esplosioni di supernovae nelle vicinanze o  asteroidi che entrino in collisione”.

I dati di Kepler, quindi, pur estremamente interessanti, nulla dicono sull’effettiva probabilità che da qualche parte si siano create condizioni favorevoli per forme viventi. Arricchiscono, però,  lo scenario degli esopianeti finora per lo più composto da gemelli di Giove anziché da gemelli della Terra. Come spiega ancora Poretti, mentre i telescopi terrestri utilizzano la tecnica dell’elastico gravitazionale per rilevare la presenza di un pianeta (come farà lo strumento ESPRESSO), telescopi spaziali come Kepler possono rilevare presenza e taglia di un pianeta osservando la diminuzione di luminosità provocata dal transito davanti alla stella. Una marcia in più, insomma, per vedere quello che finora non era possibile osservare.

“C’è una spiegazione semplice per cui la maggior parte degli esopianeti scoperti fin qui sono simili a Giove” – ha detto Sasselov, a capo del progetto “Harvard Origins of Life”. “Vediamo solo i pianeti grandi”. Ora gli occhi ultrasensibili di Kepler spalancano nuovi orizzonti. La scoperta di molti potenziali pianeti abitabili è solo la prima puntata della nuova “rivoluzione copernicana” che ci aspetta. “Poi potremo studiarli a distanza, – ha specificato l’astronomo bulgaro – con tutte le tecniche di cui disponibiamo per scoprire di cosa sono fatti, se hanno un’atmosfera o presentano tracce di acqua, anidride carbonica, metano”. Tracce potenzialmente vitali.

INAF

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