Popoli in rivolta e piazze piene che chiedono democrazia

L’incendio acceso dalla rivolta tunisina continua a far bruciare Maghreb e Medio Oriente. Dalla Libia allo Yemen, fino al Bahrein, passando per la Giordania e l’Iran. Un’onda lunga di popoli in rivolta e piazze piene che chiedono democrazia. Oggi, l’Algeria, scende in piazza, nonostante l’imponente schieramento di forze dell’ordine che da giorni presidiano la capitale […]

L’incendio acceso dalla rivolta tunisina continua a far bruciare Maghreb e Medio Oriente. Dalla Libia allo Yemen, fino al Bahrein, passando per la Giordania e l’Iran. Un’onda lunga di popoli in rivolta e piazze piene che chiedono democrazia.

Oggi, l’Algeria, scende in piazza, nonostante l’imponente schieramento di forze dell’ordine che da giorni presidiano la capitale Algeri e le maggiori città del Paese. A sfilare contro il potere saranno gli aderenti al “Collettivo per la democrazia e il cambiamento”, il movimento che riunisce sindacati, partiti d’opposizione e associazione. Tra queste la Lega Algerina per i diritti umani e l’Osservatorio sulla violenza contro le donne. Ma soprattutto, come sempre, molta gente comune. Le rassicurazioni del presidente Ahmed Ouyahia, che ha fatto intravedere la possibilità di una revoca della legge d’emergenza, in vigore nel Paese da 19 anni, non placano gli animi.

Anche in Yemen, da diverse settimane, sono in corso manifestazioni per chiedere le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni. Ieri, ad Aden, cittadina del Sud, la Polizia ha aperto il fuoco sulla folla. Si aggrava così il bilancio dei morti, che negli ultimi tre giorni è arrivato a otto manifestanti uccisi. Vittime anche nella città di Taez, 270 chilometri a Sud-Ovest della capitale Saana, dove una granata lanciata sui manifestanti, che da giorni occupano un incrocio della città ribattezzato, sull’onda della protesta egiziana, “Piazza delle Libertà”, ha provocato 2 morti e 27 feriti. Nella capitale Saana, invece, gli scontri più violenti si sono avuti tra manifestanti che chiedevano la fine del regime e manifestanti pro-regime. Il bilancio a fine giornata era di 4 feriti.

In Bahrein, nella capitale Manama, dove la popolazione è in piazza da quasi una settimana per chiedere la fine del regime di Re Sheikh Hamad bin Isa Al-Khalifa, capo di governo da 40 anni, o, almeno, che il premier possa essere eletto dal popolo e non nominato dal sultano, le violenze vanno avanti da due giorni. Ieri, a seguito dell’aggressione della Polizia che ha sgomberato i manifestanti radunati in piazza Lo’lo (Piazza Perla), ha riferito la Tv satellitare in lingua inglese “Press TV”, 18 deputati del parlamento hanno annunciato le proprie dimissioni. Un atto di sdegno, lo hanno motivato, per la violenza inaudita con cui la monarchia ha tentato di soffocare le proteste, causando nella giornata di giovedì la morte di 3 persone. Oltre il 70 per cento della popolazione, in Bahrein, contesta la monarchia. Una guerra che è anche religiosa: sciiti da una parte (la maggioranza del popolo) e sunniti dall’altra (la dinastia regnante). Ai funerali delle 3 vittime, che si sono tenuti nel Sud del Paese, hanno partecipato migliaia di persone, che urlavano slogan per ricordare che il popolo vuole la caduta del regime.

Dopo diversi venerdì di protesta, anche in Giordnaia, ieri, ci sono stati i primi scontri. A fronteggiarsi manifestanti anti-governativi e sostenitori del nuovo governo insediato da re Abdallah II di Giordania nel tentativo di accogliere almeno in parte le richieste della piazza, che hanno provocato 7 feriti.

Andrea Bernardi (inviato di Unimondo)

Foto: Fusiorari

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