Cuore a rischio anche dopo due anni per le vittime dei terremoti

Rischio cardiovascolare in aumento del 20% per le vittime dei terremoti, anche a distanza di due anni. Uno studio italiano condotto su 47 sopravvissuti al sisma dell’Aquila del 6 aprile 2009 ha infatti rilevato in loro l’aumento della pressione del sangue. La ricerca, condotta dalla Divisione di Medicina interna dell’Università dell’Aquila e presentata in occasione […]

Rischio cardiovascolare in aumento del 20% per le vittime dei terremoti, anche a distanza di due anni. Uno studio italiano condotto su 47 sopravvissuti al sisma dell’Aquila del 6 aprile 2009 ha infatti rilevato in loro l’aumento della pressione del sangue. La ricerca, condotta dalla Divisione di Medicina interna dell’Università dell’Aquila e presentata in occasione del congresso nazionale della Società italiana per la prevenzione cardiovascolare (Siprec), ha analizzato i dati delle 47 vittime, che si erano sottoposte a misurazione della pressione 24 ore prima del sisma. “Non tutti erano ipertesi – specifica Paolo Giorgini, responsabile dello studio – In quasi tutti i partecipanti però abbiamo verificato lo stesso andamento: i valori di pressione sono mediamente aumentati dopo il sisma”. La pressione massima media, ad esempio, è passata da 125 millimetri di mercurio a 132; lo stesso andamento si è registrato anche per la minima, salita da 76 a 81 mmHg. “Nel gruppo di pazienti che già avevano una diagnosi di ipertensione – aggiunge Giorgini – è stato spesso necessario aumentare i dosaggi della terapia antipertensiva”. I dati testimoniano che l’effetto di aumento della pressione si mantiene molto a lungo, anche oltre un anno dopo l’evento. “Questo potrebbe spiegare perché le popolazioni colpite da terremoti gravi vedono un maggior numero di morti per cause cardiovascolari sia nell’immediatezza del sisma che nei mesi e anni successivi – commenta Massimo Volpe, presidente Siprec – L’incremento della pressione arteriosa potrebbe essere imputabile non solo allo stress che un evento simile inevitabilmente comporta, ma anche alle modificazioni obbligate dello stile di vita della popolazione colpita da un terremoto: moltissimi sono costretti ad abbandonare le loro case e vivono un disagio abitativo consistente, a questo si aggiunge il peggioramento della qualità della vita in generale”. Secondo Volpe “i dati suggeriscono quindi, non soltanto di migliorare, per quanto possibile, le condizioni igienico-sanitarie e l’assistenza medica e psicologica nel breve termine, ma anche la necessità di seguire nel tempo le popolazioni che hanno subito un evento catastrofico”.

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