L’Aquila e i laboratori di quartiere: strumenti per costruire una cittadinanza attiva

“Lo spazio pubblico è il luogo in cui la dimensione individuale dell’abitare torna fertilmente ad aprirsi e a confrontarsi con quella dell’esperienza intersoggettiva.” Tra gli aspetti connaturati all’abitare vi è il potere da parte degli abitanti di configurare il proprio ambiente di vita e le relazioni di convivenza che in esso trovano manifestazione, intervenendo attivamente […]

“Lo spazio pubblico è il luogo in cui la dimensione individuale dell’abitare torna fertilmente ad aprirsi e a confrontarsi con quella dell’esperienza intersoggettiva.” Tra gli aspetti connaturati all’abitare vi è il potere da parte degli abitanti di configurare il proprio ambiente di vita e le relazioni di convivenza che in esso trovano manifestazione, intervenendo attivamente nel processo di organizzazione degli spazi di uso comune. A l’Aquila, tuttavia, continuano a manifestarsi azioni calate dall’alto, nelle vesti di sommatorie di interventi settoriali e predefiniti su spazi aperti della città ed erogazione di servizi. L’auditorium di Renzo Piano nel parco del Castello ed il mercato degli ambulanti a piazza d’Armi, ne rappresentano gli esempi paradigmatici. D’altra parte, presso gran parte dei quartieri C.A.S.E. si assiste alla totale assenza di luoghi di aggregazione sociale per le diverse fasce di età: un problema di grande drammaticità, che va affrontato al più presto per consentire le relazioni di convivenza da parte di coloro che vi abitano. Dalle precedenti riflessioni traspare che, in un ambiente fortemente istituzionalizzato, molte pratiche ordinarie che hanno a che fare con l’abitare appaiono ancora disabilitate e la limitatezza degli usi degli spazi aperti ne è quasi sempre testimone. A fronte di un generale disinteresse che le politiche urbane e urbanistiche della nostra città hanno finora dimostrato nei confronti delle periferie, o a fronte di un pacificante ripiego in nuove, improvvisate e inefficaci forme di istituzionalizzazione dei bisogni, facenti capo ad una ripetitiva applicazione di protocolli operativi e decisionali, va operato un radicale cambiamento di prospettiva, che veda i cittadini direttamente impegnati nella costruzione dei loro spazi di relazione. Migliorare l’abitabilità della città e dei quartieri C.A.S.E. significa innanzi tutto restituire a chi vi risiede la capacità di intervenire attivamente nel processo di organizzazione dello spazio e, in particolare, di quegli spazi di uso comune che appaiono sempre più spesso svuotati di significati, di immaginari, di desideri. Promuovere un’azione pubblica orientata a riconfigurare il ruolo degli abitanti, da semplici consumatori a co-produttori di processi di manipolazione, ri-invenzione e ri-significazione di spazi esistenti, o di nuova progettazione, costituisce il punto chiave che consente di sfuggire al tradizionale e persistente scollamento tra disegno fisico ed esigenze degli abitanti. D’altronde, orientare la produzione e la riproduzione di relazioni sociali quale obiettivo centrale della dotazione e della gestione dei servizi, significa orientare il welfare alla creazione di nuovi spazi del pubblico. La qualità dell’habitat diventa quindi un parametro di riferimento per misurare la qualità del welfare. La ridefinizione di una base di dialogo tra cittadini e istituzioni, il superamento della sfiducia che i primi ancora frequentemente nutrono nei confronti delle seconde, non può che avvenire attraverso una esplicita dimostrazione della volontà di tornare a investire sulla riqualificazione dello spazio, a partire dall’ascolto delle esigenze di chi, come nei quartieri C.A.S.E., lo vive quotidianamente. A l’Aquila, sperimentazioni sulla partecipazione attiva della popolazione, volte alla ri-appropriazione degli spazi della città sono venute alla luce subito dopo il terremoto con la formazione di Comitati e di Assemblee e hanno visto un forte coinvolgimento emotivo dei cittadini. Col trascorrere del tempo, queste insostituibili strutture partecipative si sono affievolite, registrando una sempre minore partecipazione ai dibattiti, in gran parte imputabile alle difficoltà connesse alla distanza dai luoghi dell’abitare, che hanno influito soprattutto su quelle fasce sociali impossibilitate a fruire di un loro mezzo privato di trasporto. Il tendone di piazza del Mercato ritrae comunque l’avamposto più rappresentativo che nei tre anni scorsi ha coniugato “contesto sociale con contesto ambientale”. In esso si sono svolti dibattiti ed assemblee che hanno maturato, nella popolazione e nelle istituzioni, processi di sensibilizzazione, orientati alla riappropriazione degli spazi della città. Tuttavia, la centralità del tendone, se è riuscita a configurarsi efficacemente come icona riaggregativa della città intorno al suo cuore, ha messo anche in luce i segni di debolezza di un laboratorio ispirato al modello radiocentrico. Pur configurandosi per tradizione una città-territorio con i centri minori diffusi a ragnatela sulla vallata dell’Aterno, l’Aquila si è sempre fregiata di avere come unico luogo di regia il suo centro storico. Il forzato processo di polarizzazione avvenuto dopo il sisma, manifestandosi sempre più come indizio significativo di un nuovo scenario, ha frantumato nell’immaginario collettivo questa visione piramidale. Quasi in concomitanza alle assemblee cittadine, nasceva una “parrocchietta culturale” che fondava i suoi principi progettuali proprio prendendo spunto dal nuovo scenario urbano che si andava configurando per effetto di trasformazioni silenziose. Insinuatesi nel territorio aquilano già prima del terremoto, queste avevano minato l’immagine di città radiocentrica, lasciando al sisma solo il ruolo di catalizzatore verso una visione policentrica, con più centri di attrazione. Senza entrare nel merito di questa tematica, già abbondantemente dibattuta, va rilevato che la costruzione di un Laboratorio, espressione di una cittadinanza attiva che intende riappropriarsi della città, va coniugata con la visione policentrica. Ciò comporta il trasferimento dell’idea di Laboratorio, facendolo approdare nei diversi quartieri della città, in particolare nei quartieri C.A.S.E., che preveda un’immersione attiva di diverse fasce sociali (abitanti, operatori, ricercatori e artisti, docenti, architetti paesaggisti, antropologi, studenti delle università e delle scuole dell’obbligo), disposte a condividere e contaminare le proprie percezioni, con l’intento di promuovere immaginari e domande di trasformazione volte a favorire interventi concreti. L’attivazione della capacità degli abitanti dei quartieri di intervenire nella trasformazione di forme e modi di funzionamento del proprio spazio di vita, costituisce l’obiettivo primario dei Laboratori di quartiere, a cui si aggiunge quello di stimolare una riflessione sul ruolo che interventi interattivi e inclusivi di riqualificazione-costruzione di spazio pubblico possono giocare nella produzione di condizioni di ben-essere fisico e sociale. L’intento di “riflettere attraverso l’azione”, rappresenta un’importante opportunità per tentare di costruire un nesso tra azione pubblica, spazi e luoghi in cui essa si dispiega. I Laboratori, intesi come organizzazione attiva congruente alla nuova visione policentrica di città, mostrano una fertilità di espressioni che attribuisce significato alle esperienze quotidiane dello spazio, mediante la messa in rete di risorse umane, sociali e istituzionali attraverso un loro coinvolgimento diretto, nel riconoscimento delle potenzialità di trasformazione insite nei singoli contesti e non solo delle loro carenze e problematicità.

Giancarlo De Amicis

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