Pratiche rianimative al capezzale di un morente

Un Paese vecchio, povero, ingessato e pieno di diseguaglianze: questo è il quadro de l’Italia secondo il rapporto ISTAT pubblicato ieri. Il rapporto, che fotografa l’Italia all’uscita di un intero ventennio, non consente alcun ottimismo e descrive un Paese che oramai da molti anni “gioca in difesa”, per cercare di conservare le conquiste del passato. […]

Un Paese vecchio, povero, ingessato e pieno di diseguaglianze: questo è il quadro de l’Italia secondo il rapporto ISTAT pubblicato ieri.
Il rapporto, che fotografa l’Italia all’uscita di un intero ventennio, non consente alcun ottimismo e descrive un Paese che oramai da molti anni “gioca in difesa”, per cercare di conservare le conquiste del passato.
Il potere d’acquisto dei salari è fermo al 1993 e la crescita è la più bassa fra i 27 Paesi europei. Esistono ampie diseguaglianze fra nord e sud, uomini e donne, vecchi e giovani, con questi ultimi privi di lavoro, di prospettive ed anche solo di speranze.
La disuguaglianza, peraltro, imperversa anche al momento di pagare le tasse: c’è chi paga tutto sino all’ultima lira e si ritrova tartassato e chi continua ad evadere. L’economia sommersa spiega l’Istat è un fenomeno rilevante che influenza negativamente il posizionamento competitivo del sistema paese.
Come chiosa Rossella Bocciarelli su il Sole, l’Istituto stima che quest’anno il prodotto interno lordo subirà una flessione dell’1,5%, per effetto di una contrazione dei consumi pari al 2,1% e una flessione degli investimenti del 5,7.
Ma c’è un driver che ci porterà fuori dalla crisi in quest’analisi, costituito dalle esportazioni che, nonostante tutto aumenteranno dell’1,2%, mentre l’import scenderà in picchiata (-4,8%).
Per effetto di questa tenuta delle esportazioni, che l’anno prossimo marcerà al 4%, l’Italia dovrebbe vedere una ripresina già nel 2013 con un aumento dello 0,5 per cento.
Lo stesso Giovannini, direttore dell ’Istat, tuttavia, non ha nascosto che in questa previsione esistono rischi al ribasso, ricordando come “il 2012 sarà ricordato come un anno molto difficile sul piano economico e sociale” e sottolineando l’importanza delle evidenze presentate nel rapporto sui temi della crescita e dell’equità”.
Allarmante è il fatto che le famiglie italiane guadagnano di più, ma il loro potere d’acquisto e’ sceso. E la propensione al risparmio si e’ ridotta. ”Tra il 1993 e il 2011 le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla, mentre per quelle di fatto si rileva una crescita di quattro decimi di punto l’anno.
Negli ultimi due decenni la spesa per consumi delle famiglie e’ cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio. Complessivamente dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie e’ aumentato del 2,1 per cento in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) e’ sceso di circa il 5 per cento.
E, sempre Giovannini, scrive che L’Italia, negli anni Duemila, ha “dilapidato il dividendo dell’euro”., utilizzando male, in questi venti anni di rafforzamento dell’integrazione europea, l”’opportunità’ di risolvere alcuni dei suoi problemi storici, dagli squilibri di finanza pubblica, al divario Nord-Sud, alle differenze di genere, al sottoutilizzo delle risorse umane, soprattutto giovanili, al disagio delle famiglie numerose o maggiormente vulnerabili”.
Dopo la crisi del 92-93, ricorda Giovannini, “l’Italia aveva prodotto uno sforzo eccezionale” pur di “rispettare i parametri di Maastricht”: alla fine degli anni 90 “l’avanzo primario era di circa il 5% del Pil e l’indebitamento netto vicino al 2%; la pressione fiscale era pari al 42% del prodotto e la spesa pubblica, al netto degli interessi, al 41%; il rapporto debito/Pil risultava in costante discesa”. Ma a metà degli anni 2000 “l’indebitamento era nuovamente superiore al 4% del Pil, l’avanzo primario quasi annullato, la tendenza alla riduzione del rapporto debito/Pil interrotta: dopo un nuovo contenuto miglioramento, la situazione e’ poi tornata a peggiorare a causa la crisi”.
Per cui c’è poco da stare allegri e ci si aggrappa a reflui di speranza, come la notizia che il governo mette in campo, senza rinvii, un plafone da 20 miliardi, per ridurre i debiti della pubblica amministrazione e dare un po’ di liquidità alle imprese, che hanno la sfortuna di avere crediti con lo Stato.
Lunedì l’accordo governo-associazioni imprenditoriali. Ieri l’intesa tra le imprese e l’Associazione bancaria italiana che promuoverà la costituzione di un primo plafond di 10 miliardi di euro.
Servirà per ottenere l’anticipazione del credito o la sua cessione. A questi, ha annunciato il presidente dell’ Abi Giuseppe Mussari, se ne aggiungeranno altri 10 per finanziare investimenti. Lo sblocco del plafond delle banche è stato reso possibile dal via libera ai quattro decreti che regolano la certificazione dei crediti delle aziende con lo Stato e con gli enti locali, la compensazione debiti-crediti e l’utilizzazione del Fondo centrale di garanzia.
Confermate tutte le anticipazioni, anche se è spuntata una limitazione, che rischia di tagliare fuori dai pagamenti gli imprenditori di un bel pezzo di Sud.
Come ricordano da Il Giornale, la certificazione del credito, quella che serve per ottenere dalle banche una parte del credito, non sarà un obbligo per “gli enti commissariati e le regioni sottoposte a piani di rientro”. Allo stesso modo non sarà possibile la compensazione tra crediti e debiti “verso enti locali commissariati e regioni sottoposte ai piani di rientro”.
Al tavolo si è parlato di Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e del Piemonte, anche se la lista delle regioni con piani di rientri dal debito sanitario è più ampia.
Ma per il Sud arriva un altro mini-piano, con liberazione di 2,3 miliardi, che non sono tantissimi ma rappresentano ossigeno vitale.
Presentato dal presidente del Consiglio Monti, insieme al ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca, al ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione Andrea Ricciardi e al ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero, il piano offe opportunità per giovani e imprese, obiettivi di inclusione sociale e investimenti per la cultura, come priorità della riprogrammazione dei fondi comunitari destinati al Mezzogiorno.
Le regioni interessate dal piano sono Campania, Calabria, Puglia e Sicilia (l’Abruzzo non sembra essere nella lista), che subiranno una ridefinizione degli interventi sul territorio attraverso il de-finanziamento a progetti obsoleti, inefficaci o con criticità di attuazione, con l’obiettivo di individuare azioni più celeri ed efficaci.
Di questi 2,3 miliardi, secondo una nota di Palazzo Chigi, 845 milioni sono destinati a obiettivi di inclusione sociale: cura dell’infanzia (400 milioni); cura degli anziani non auto-sufficienti (330), integrazione della politica dell’istruzione contro la dispersione scolastica con azioni per la legalità nel territorio (77), progetti promossi da giovani del privato sociale (38 milioni).
Gli altri interventi, per 1,498 miliardi, sono rivolti alla crescita attraverso iniziative per i giovani, azioni per promuovere lo sviluppo delle imprese e la ricerca, promozione dell’innovazione dal lato della domanda attraverso bandi commerciali, valorizzazione di aree di attrazione culturale e riduzione dei tempi della giustizia.
Lo scopo è di rifocalizzare il sostegno alla competitività e all’innovazione delle imprese nelle quattro regioni del Meridione.
A tal scopo il piano  prevede investimenti per 900 milioni.
E c’é anche un “‘piano-Sicilia’ che è un aiuto alla regione per un’assistenza tecnica qualificata di monitoraggio per l’introduzione di meccanismi di qualità nell’offerta formativa regionale”. Insomma – aggiunge Fornero – “dobbiamo aiutare le regioni meridionali a spendere meglio”. Anche perché intanto le famiglie italiane – afferma il ministro per l’Integrazione Andrea Riccardi – sono diventate “fragili e vulnerabili” e “dentro la crisi c’é un’altra crisi che è una crisi umana”.
Così si ‘contano’ tutte le risorse disponibili e si tenta di impiegarle al meglio.
Tra le iniziative anche la valorizzazione di 20 poli culturali, sul modello del ‘Grande Progetto Pompei’, il bonus per le assunzioni nel Sud (già approvato in Stato-Regioni il decreto di attuazione).
Ma anche interventi dedicati all’Università come il progetto ‘Angels’ per far crescere una nuova classe dirigente del Sud più moderna e consapevole.
Inoltre (e la cosa non può che farci piacere), l’Italia potrebbe presto negoziare un accordo bilaterale con la Svizzera, come quello intercorso tra Germania e Confederazione elvetica, per il rientro dei capitali.
Questo ha detto il premier, che ha spiegato che: “Con l’evoluzione recente sono venuti meno i due ostacoli a questo negoziato. Quello derivante dalla Svizzera, per quanto riguarda il problema transfrontaliero che siamo lieti di aver superato, e quello di carattere Ue dovuto alle eccezioni che l’Unione europea aveva mosso ai due accordi bilaterali con la Svizzera e la Gran Bretagna. Questi due ostacoli non ci sono più e io, in tempi brevi, avrò un incontro con il presidente della confederazione elvetica e con il ministro delle Finanze che affronteremo con mente aperta e spirito costruttivo”.
Insomma pare proprio che ora Mario Monti, “robot” per la satira di Crozza e ‘Rigor Montis’ per i grillini, abbia avviato, con un pronto scatto di reni, la “fase due”, per trovare fondi veri per le “fragilità” del Paese e, al contempo, lanciato un’operazione d’immagine con l’obiettivo di ‘sbrinare’ la sua creatura da quella patina di ‘ghiaccio tecnico’ che la avvolge, generando una nuova immagine di un Governo che non è freddo né tiene a distanza l’opinione pubblica.
“Non siamo freddi, ma il nostro intervenire sulla povertà e in particolare sulla fragilità segue in maniera incessante i sentieri del possibile”, ha detto il premier; il che, tradotto, significa che ci sono pochi soldi per aggredire le ampie sacche di povertà del Paese ma il Governo ci prova con attenzione.
Come dice Aldo Cazzullo sul Corriere, è importante, in questo momento davvero critico, con una crisi che dura ed è lunga a morire, non vestire i panni di un facile e sciocco ottimismo, ma neanche quelli di un pinetenzialismo sepolcrale ed avvilente.
Certo l’Italia degli ultimi anni fatica più a garantirsi il quotidiano che il superfluo, non cresce e non crea né lavoro, né benessere.
Ma dobbiamo ancora augurarci che il governo sappia invertire questa tendenza e dopo il rigore sappia dare spazio ad un autentico rilancio.
Le prospettive vi sono, ma l’elettorato inquieto ora chiede anche il resto.

Carlo Di Stanislao

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