Emozioni e tenacia al cinema e fuori

Lo scorso 7 dicembre, all’Haus der Berliner Festpiele, il cinema italiano sugli scudi, con il maestro Morricone che riceve , con tanto di standing ovation (una delle due della serate, l’altra riservata ad Almodovar, premio alla carriera), il premio come compositore dell’anno per “La migliore offerta” e “La grande bellezza” che si porta a casa […]

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Lo scorso 7 dicembre, all’Haus der Berliner Festpiele, il cinema italiano sugli scudi, con il maestro Morricone che riceve , con tanto di standing ovation (una delle due della serate, l’altra riservata ad Almodovar, premio alla carriera), il premio come compositore dell’anno per “La migliore offerta” e “La grande bellezza” che si porta a casa quattro premi su cinque nomination: film, regia, protagonista (Toni Servillo) e montaggio (Cristano Travaglioli), fallendo solo quello per la sceneggiatura originale.
Per un soffio, poi, non va a “Miele” di Valeria Golino il premio per la migliore opera prima, andato a “Oh Boy” del tedesco Jan Ole Gerster e ancora per una incollatura, non vincono né il docu-film di Riccardo Milani con Claudio nella neonata categoria della commedia, né Enzo d’Alò, che era in lizza con “Pinocchio” per l’animazione.
Siamo felici ed orgogliosi lo stesso ed anzi ci emozioniamo per i premi e le parole rivolte al nostro cinema, dopo un lungo periodo buio lontano da tutti i podi.
Ancora emozioni, ma stavolta da una madre ed irlandese, ostinatamente alla ricerca di un figlio forzatamente dato in adozione, in “Philomena” di Stephen Frears, dal 19 dicembre sugli schermi, distribuito da Lucky Red, con una fenomenale Judi Dench, dama del cinema e del teatro inglese, 78 anni di bravura ed eleganza, Oscar da non protagonista per “Shakespeare in love” e probabile nuovo Oscar con questo eccellente film tratto dalla assurda storia vera di una donna che per cinquant’anni ha cercato quel figlio che da giovane ragazza madre aveva dovuto dare ‘forzatamente’ in adozione ad una coppia americana, seguendo la volontà delle suore di un istituto religioso irlandese in cui aveva partorito.
Critica al perbenismo cattolico che non solo in Irlanda e non solo negli anni cinquanta vede nelle ragazze madri donne degeneri ed incapaci di educare, esempio di cinema capace di affrontare un tema scabroso senza esagerare né scadere nel melodramma, affrontando il tutto con tocco leggero e, a tratti, con uno humor che stempera le lacrime emozionando lo spettatore.
Presentato in anteprima modiale il 31 agosto al Mastra del Cinema di Venezia (altro orgoglio per noi italiani), trionfatore a Toronto, il film è basato su uno romanzo di Martin Sixsmith (intitolato “The Lost Child of Philomena Lee)” è, a mio avviso, il migliore in giro nella sale per questo Natale, nato da un giusto equilibrio tra passione, intensità, dramma ed ironia, certamente l’opera più matura di Stephen Fears, regista capace di prove diverse per contenuto e livello, come “My Beautiful Laundrette”, “Alta Fedeltà”, “Lady Henderson Presenta” e “The Queen”, che qui trova la giusta armonia per realizzare il progetto voluto tenacemente da Steve Coogan, sceneggiatore, produttore e co-protagonista, in cui, con l’aiuto delle soffici melodie di Alexandre Desplat, ci restituisce pienamente la sensazione di trovarsi su un sentiero che non sappiamo dove condurrà: costantemente in equilibrio tra la voglia di sapere e la paura della verità, tra registro drammatico e ironico, la tenerezza dell’istinto e la rigidità dell’intelletto, il cinismo  e la disillusione di un ateo e la speranza e l’ingenuità di una credente.
La stessa ingenuità pertinace e che serve a sopravvivere che porta me e molti altri, oggi, a gioire per la elezione col 68% di preferenze di Matteo Renzi, una vittoria annunciata ma non troppo scontata, che lascia sperare in un sentiero nuovo e più fattivo nel campo non solo della sinistra, ma della’ intera Nazione.
“Ora basta alibi” ha detto Renzi nel giorno del suo trionfo, facendoci sperare che sia vero e si possa ritrovare quel “figlio perduto” che fu il nucleo del vero riformismo italiano, dimenticato per tanti anni, smarrito fra lotte per il potere e ricerche inutili di equilibri ed identità.
Renzi ha stravinto a Nord ed espugnando le roccaforti avversarie a Sud, portato ad una affluenza record di 3 milioni di votanti, ma da adesso in avanti si vedrà se davvero saprà ritrovare il “partito perduto” e superare la crisi identitaria che ha aperto alla non politica ed al disamore di questi ultimi anni.
Sullo schermo, Philomena ed il giornalista che l’aiuta ce la fanno grazie alla loro incrollabile costanza e a noi non resta che sperare che anche lui, il neo segretario, con lo staff che sta costruendo, abbia la stessa chiarezza e pertinacia.
Ci auguriamo, insomma, che dopo anni di confusione e decadenza si possa tornare davvero a fare politica in favore di una Nazione che ha bisogno di segni importanti per riprendersi dal crollo economico e di valori in cui è attanagliata.
Tornando al cinema, guardando agli Oscar Europei e alla attenzione riservate sia a “La migliore offerta” di Tornatore, battuto per la sceneggiatura da Francois Ozon per “Dans la maison”, sia “La grande bellezza”, vero trionfatore della kermesse 2013, ci dicono che abbiamo bisogno di speranza, con la stampa internazionale che incorona Renzi come “il Blair italiano”, capace di ridare respiro e futuro, appunto, ad un partito ormai carrozzone ed ad una Nazione che sembra avviata sul viale della rottamazione, senza ritorno.
Se in queste primarie non ha vinto il nuovissimo con Civati, certo ha perso il vecchio apparato di Cuperlo e con Renzi si è prodotto comunque un mutamente di segno, certamente emblematico, legato al passato migliore ed ad un futuro tutto da tracciare, riempendolo di coraggiose novità; gli stessi motivi (ponte fra passato glorioso e futuro prospettico), che hanno portato Win Winders e la giuria di Berlino a dare il premio alla carriera a Catherine Deneveue, che non è nuovissima ma neanche anchilosata in ruoli che ormai sono privi di attualità e significato.
Su “Vois Magazine”, il terzetto delle primarie Pd è stato paragonato a quello de “Il buono, il brutto e il cattivo” e Renzi assimilato al personaggio che fu di Lee Van Cleef, perché è quello che pone più in forse il governo Letta voluto e difeso da Napolitano.
Alcuni , in queste ore, parlano di una bolla di sapone, almeno per un semestre abbondante, mentre altri ipotizzano diktat renziani che potrebbero trovare nel nuovo centrodestra alfaniano un’inaspettata sponda.
Per quanto ci riguarda, ci poniamo in osservazione attenta e con una apprensione ben superiore a quella di una semplice pellicola che corre sullo schermo.

Carlo Di Stanislao

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