Sa(n)remo salvati?

Il sipario che non funzione ed il blitz di due disperati, che lavorano da 16 mesi senza stipendio, in bilico sulle strutture più alte dell’Ariston, hanno aperto nel gelo l’edizione 2014 del Festival di Sanremo, dopo l’antipasto di Beppe Grillo che, gridando slogan in giro per le strade della cittadina ligure, si era preso il […]

Sanremo 2014: Photocall with Fabio Fazio and Luciana LittizzettoIl sipario che non funzione ed il blitz di due disperati, che lavorano da 16 mesi senza stipendio, in bilico sulle strutture più alte dell’Ariston, hanno aperto nel gelo l’edizione 2014 del Festival di Sanremo, dopo l’antipasto di Beppe Grillo che, gridando slogan in giro per le strade della cittadina ligure, si era preso il proscenio del Festival per un’ora.

Ancora più elettrico l’incipit, con la scenografia che non funziona, Fazio in imbarazzo e poi due uomini, un deja-vu che ricordava tanto la celebre edizione del Baudo salvatore di “Cavallo Pazzo”, che si sporgono pericolosamente dalla balaustra in cima al teatro gremito, minacciando di buttarsi giù se Fazio si rifiutasse di leggere una loro lettera.

Fazio è bravo, bravissimo, gestisce la cosa con calma e professionalità, introduce una toccante versione della Deandreiana “Creuza de ma” di Ligabue e Pagano, legge la missiva e dopo venti minuti di tensione allo spasimo, introduce la Littizzetto che si produce in un balletto stile Moulin Rouge e poi parte con uno sketch, sbeffeggiando questo e quello.

Si può tirare un sospiro di sollievo e l’edizione n. 64 del Festival canoro più famoso dello Stivale, può decollare, con il tema della bellezza al centro, sette cantanti che interpretano 14 buone canzoni, due a testa, voto che funziona meglio del solito, regia ispirata, luci idonee, eccellenti coreografie ed ospiti bravissimi.

Dopo quindici anni, ma con un fascino intatto, si palesa sul palco l’atomica Laetitia Casta, accolta da un Fazio versione strehleriana, con i due che si scambiano canzoni d’amore, tra Brel e Modugno, Jannacci e Sordi e con un ballo finale in cui lei, la bella francese, è molto sexy e piuttosto brava.

Altro duetto riuscito (anzi riuscito ancor meglio), quello della Littizzetto con la inossidabile Carrà, che balla, canta e gesticola come una ventenne o trentenne e fa capire a tutti cosa voglia dire essere una vera star dello spettacolo telivisivo.

L’emozione tocca il culmine con Cat Stevens, da tempo Yusuf Islam, chitarra e voce, che intepreta la storia della canzone d’autore, che si cimenta anche in una medley beatlesiana e regala un “Father and Son” , che commuove la platea ed i telespettatori.

E mentre l’emozione corre ancora sul filo, Luciana Littizzetto ricorda il compianto Freak Antoni, cita alcuni suoi folgoranti aforismi e ne traccia in breve u profilo veritiero; così come, prima, la Carrà, aveva ricordato senza retorica, la triste sorte dei nostri marò detenuti in India, vittime di 26 rinvii processuali e di una questione sempre più avvelenata e contorta.

“Chiedo al popolo indiano – ha detto – di far giudicare in Italia i due marò, è una vicenda che dura da due anni e ci sta straziando. Probabilmente il mio appello non conta niente ma ci tengo ad aggiungermi al coro”. Una “monument woman”, la definisce la Littizzetto, con ancora in dosso l’abito nero originale di “Rumore”, con grandi spalline spaziali e una parrucca con carré d’ordinanza.

Una edizione partita male ma sviluppata bene, all’insegna del bello come buono e dei ricordi, quelli più lusinghieri e migliori della Rai che fa 90 anni in radio e 60 in televisione, con Tito Stagno, 84 anni, protagonista, insieme a Ruggero Orlando, della mitica diretta dell’allunaggio nel luglio del 1969; con Jannacci, ricordato da Fazio che canta Silvano con Laetitia Casta, mentre sul palco c’è anche il figlio di Enzo, Paolo; e ancora la coppia Fazio-Casta che riporta al festival il grande Modugno con Meraviglioso e lei da sola che si esibisce, fra piume e trasparenze, in Ma ndo Hawaii, “inno” di Alberto Sordi e Monica Vitti in Polvere di stelle.

I campioni in gara sono bravi: si comincia con Arisa, delle sue due canzoni passa Controvento; Frankie HI NRG invece prosegue la gara con Pedala; poi è la volta di Antonella Ruggiero, passa Da lontano; Raphael Gualazzi & The Bloody Beetroots passano con Liberi o no; Cristiano De André canta Invisibili e Il cielo è vuoto, e passa la seconda; poi si chiude con i Perturbazione, e, infine Giusy Ferreri.

Fazio sostiene che la bellezza ci salverà e Gramellini ci ricorda di essere creativi e di credere nella creatività come riscatto e speranza. A parlare di bellezza e creatività come elementi salvifici è stato, un anno fa, Massimiliano Fuksas che, partendo da Dostoevskij, che ci disse che l’uomo ha biosogno di esprimersi creativamente e di generare bellezza (vedi video-intervista su: http://www.filosofia.rai.it/articoli/fuksas-la-bellezza-salver%C3%A0-il-mondo-7-di-8/22623/default.aspx).

Nella costruzione russa della frase, “Mir spasët krasotà”, Dostoevskji, con una inversione di oggetto e soggetto, genere il concetto, diverso da quello usuale: “Il mondo salverà la bellezza”, intentendo (come ben si comprende leggendo per intero “L’idiota”), che sarà il binomio, Bellezza-Bene a salvarci e salvare il mondo.

Tzvetan Todorov, non soltanto uno degli intellettuali più originali della scena europea, ma anche autore di un libro, Les Aventuriers de l’absolu, che l’editore italiano Garzanti ha provvidenzialmente intitolato La bellezza salverà il mondo, prendendo a prestito l’affermazione contenuta ne L’idiota, pubblicandolo due anni fa., ci dice che mentre lungo tutta la modernità bellezza e arte sono andate a braccetto, nel postmoderno lo scenario cambia radicalmente. Non si parla neppure più di arte: si preferisce utilizzare termini come performance, gesto, azione.

Presto o tardi qualcuno ci dirà che questo non è bellezza e che “il re è nudo” e ricordando Rilke o Jean Clair il quale sostiene che nell’arte contemporanea non contano più né il “vedere” né il “pensare”, ma il “sentire”, ci ricorderà che il guaio è che spesso e volentieri l’unica emozione si lega allo stupore per certi impressionanti valori di mercato.

Ma, come sempre, anche in questo mondo brutto ed imbruttito, può essere che la bellezza si sia rifugiata altrove, perché, come ci insegna il pensiero orientale, la possiamo trovare anche nei gesti minimi della quotidianità: curare un giardino, comporre un mazzo di fiori, impacchettare con cura un oggetto o godere di uno spettacolo di canzonette, ma molto ben costruito.

Perché non sempre il colto ed il complesso portano ad essere migliori e, anche se Brodskij sostiene che chi ha letto a fondo Dickens fa più fatica a uccidere un suo simile di chi non ne abbia letto neppure una pagina, Stalin era un grande lettore e amava Cechov e Mao conosceva bene i classici della poesia cinese, ma non sono stati né buoni né giusti, né tantomeno amanti del bello come futuro e salvezza.

Certamente poi, in letteratura ad esempio, George Sand non è una grande romanziera, come il suo amico Flaubert, ma è più saggia di lui. Come uno scultore scolpisce il marmo per estrarne la sua opera, lei scolpisce la propria vita per renderla più bella.

E mentre Flaubert, come un martire dell’invenzione artistica se ne sta chiuso nella sua stanza a tornire di continuo le sue frasi, lei coglie la bellezza nell’istante, accetta la finitezza umana e soprattutto riconosce, al contrario dei romantici, degli gnostici, dei manichei, la continuità che esiste tra l’assoluto e il relativo, il celeste e il terrestre, la canzonetta ed il mondo profondo di ciascuno.

Carlo Di Stanislao

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