Sogni e follie

Mentre per Luciano D’Alfonso gli Ufo da cui difendersi in Adriatico sono le piattaforme petrolifere progettate da Ombrina al largo della costa abruzzese, lo scorso 10 maggio, a Benevento, esperti del Centro Ufologico Mediterraneo, riuniti in congresso a Benevento, hanno analizzato fenomeni controversi come le abduction e le scie chimiche, sostenendo che la campagna di […]

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Mentre per Luciano D’Alfonso gli Ufo da cui difendersi in Adriatico sono le piattaforme petrolifere progettate da Ombrina al largo della costa abruzzese, lo scorso 10 maggio, a Benevento, esperti del Centro Ufologico Mediterraneo, riuniti in congresso a Benevento, hanno analizzato fenomeni controversi come le abduction e le scie chimiche, sostenendo che la campagna di meticolosa disonformazione su questi temi, sostenendo che tutto questo è voluto per distoglierci dalla verità e dal fatto che stiamo subendo una lenta “intossicazione” a cui i “grandi” della Terra sarebbero immuni grazie ad appositi vaccini.
Mi sono ricordato allora di quanto scrive Manzoni nel suo capolavoro a proposito delle idee che in molti maturano in momenti di carestia e di difficoltà e di come, da sempre, basti ripetere più volte una cosa perché questa sembri vera. Dopo l’infelice frase di D’Alfonso a Rete 8 è scoppiato il tormentone su lui e gli UFO, sul web e sui social network, con il video che è stato ripreso su diversi siti che hanno fatto registrare un boom di click e di ironie su Radio 1, da parte del duo Fiorello e Ballantini.

Intanto, mentre le nuove rivelazioni fanno di Berlusconi una vittima e pongono Germania e Francia al centro delle responsabilità per il nostro default e mentre l’ISTAT, nelle prime righe del report “Le prospettive per l’economia italiana nel 2014-2016“, afferma che la caduta del Pil italiano, iniziata nel 2011, si è arrestata nell’ultimo trimestre del 2013 , nei prossimi anni, l’evoluzione dell’attività economica è attesa proseguire secondo ritmi moderatamente positivi, favorita anche dal graduale venire meno di alcuni principali fattori di incertezza, si continua a chiudere industrie ed esercizi al ritmo di 400 al giorno.
Mentre per alcuni, come ad esempio gli esperti moderati da Gennaro Spigola, riuniti il 12 scorso a Rocca di Papa, la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché porta progressi, in quanto la creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura; la più parte di noi è affranto e privo di speranze dopo il fallimento di avariate governi tecnici e moderati e con questo che, contnuando amuoversi sul terreno delle promesse, porta a casa davvero molto poco sul piano delle riforme e dei risultati.
Con più di 3.600 fallimenti di imprese nei primi tre mesi del 2014 e con l’80% delle famiglie che dichiarano di vivere “una situazione di precarietà e instabilità”, c’è poco da stare allegri e, nonostante le note di Istat, è evidente a tutti che la crisi economica continua a mostrare i muscoli nel gravoso e lungo braccio di ferro con l’economia.
Secondo quanto emerso dall’analisi di Confcommercio e Censis sui dati economici del primo trimestre dell’anno 2014 infatti la situazione generale non sembra migliorare in alcun modo: i dati sugli imprenditori che mettono fine alla propria attività fanno registrare un +22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e solo una famiglia su cinque dice di ritenersi in una situazione generale di solidità economica.
Sconfortanti anche i dati di Unioncamere che vedono Abruzzo, Liguria, Puglia, Umbria e Marche come le regioni dove maggiormente si registrano procedure di concordato per le imprese, mentre in calo figurano le procedure di concordato o fallimentari per le società nate da consorzi.
Quanto poi alle famiglie, domina un sentimento di incertezza, con una quota di quasi il 40% delle famiglie che vive adottando un comportamento di inqueieto attendismo.
Per le famiglie,le priorità dell’esecutivo devono essere la creazione di nuovi posti di lavoro (56,3%)e la riduzione del peso fiscale (32,1%) e tutti i partiti, impegnati nelle Eropee, puntano su questi punti, proponendo facili soluzioni a portata di mano, salvo poi non entrare nei dettagli realizzativi.
La maratona televisiva del premier incaricato Matteo Renzi non conosce soste e i suoi appelli si trasformano spesso in vere e proprie sfide.
“Riforme presto o me ne vado”, è stato uno dei passi della puntata di Porta a Porta che lo ha visto come protagonista assoluto, puntata incui, incalzato dal conduttore Bruno Vespa: “E’ una minaccia o una promessa?”, ha aggiunto: “Magari è una promessa”.
Sulle ultime affermazioni di Silvio Berlusconi, Renzi ha dichiarato: “Vedo che in questi giorni di ritrovata vivacità di Berlusconi gira la battuta del simpatico tassatore. Lo ringrazio per il simpatico, ho dubbi di esserlo ma certo non sono un tassatore”.
Non perde poi occasione (l’ultima per lo scandalo Expo 2015) che lui ci mette la faccia, che equivale a dire che ci crede ma non certo che avrà modo di risolverli i problemi.
Forse ha ragione Adriana cerrettelli che su Il Sole 24 Ore lo paragona ad un giovane Don Chischiotte alle prsse con i mulini a vento e c’è già chi è convinto che la forte affermazione alle elezioni del 25 maggio dei partiti euroscettici sarà lo shock provvidenziale della rigenerazione, la leva della svolta che l’Italia si prepara a intercettare per rimettere l’Ue su nuovi binari più umani, sostenibili e convincenti a tutti i livelli.
Ma c’è anche chi invece teme l’effetto opposto: la maggiore confusione delle lingue, degli interessi e degli obiettivi in campo, con conseguente paralisi politica e istituzionale di un’Unione che, già ostaggio delle proprie contraddizioni e dei propri sistemi democratici in crisi di consenso, che diventerà sempre più prona alle logiche di breve termine e allergica ai progetti di lungo respiro.
In queste ore, inoltre, nuvole sempre più nere si addensano nel cielo del nostro semestre europeo e delle sue ambizioni, con il concreto rischio di una guerra inter-istituzionale all’indomani delle europee qualora il Consiglio Ue decidesse di non nominare automaticamente il candidato alla presidenza della Commissione Ue uscito vincente dalle urne.
E c’è il grande problema della percezione dell’Italia in Europa, della sua perduta credibilità politica, tutta da ricostruire, con i fatti e non con chiacchiere e promesse.
Nel capitolo 12 del suo romanzo più noto, Manzoni, descrivendo la rivolta di S. Martino, attraverso Renzo compie una digressione sulle ragioni delle crisi che sono legate ad egoismo e a povertà e si innescano, incendiarie, quando il polo non ha speranza ed ilgoverno continua a sioglare solo editti e promesse.
Rileggendomi una lunga intervista a Robert Harris, ghostwriter con Alastair Campbell, di Tony Blair, penso che il problema di questi ultimi anni è stato anche quello della mancanza di scrittori politici, capaci di chiarezza espositiva e che, con un linguaggio semplice, scarno, fossero in grado di far crescere la società.
Come nota il curatore Ranieri Polese nel bel saggio di Guanda “Il romanzo della politica. La politica nel romazo”, uscito nel 2008, in Italia, dopo i grandi siciliani (Verga, De Roberto, il giovane Pirandello), dopo gli scrittori a cavallo della Grande guerra, i neorealisti (legati alla tematica dell impegno), alla fine degli anni 70, è invalsa una tendenza narrativa drasticamente privata, chiusa a ogni esigenza non solo di critica, ma anche di rappresentazione del reale sociale e politico.
E non sono bastate le sparute eccezzioni di Silone, Pasolini, Tabucchi, Sciascia o, in tempi più recenti, di Saviano e di alcuni scrittori “noir” (Lucarelli, De Cataldo, Fois, ecc.) o di alcuni romanzi fuori dal genere ma fortemente ancorati al panorama politico, di Franco Cordelli (Il duca di Mantova) e Walter Siti (Troppi paradisi, Contagio, Ristere non serve a niente, Exit strategy) a cambiare le coscienze e, attraverso loro, la classe politica e la società che la elegge.
Aveva ragione Albert Camus quando diceva che i libri sono un modo per correggere il mondo a parole e tanto più la politica con le sue elezioni, quella politica italiana già figlia della letteratura a partire dalle prose di Cesare Abba con il suo Da Quarto al Volturno , fino alle famose Confessioni di un Italiano scritte dal tesoriere di Giuseppe Garibaldi, misteriosiamente annegato, Ippolito Nievo.
A ben vedere, giunti ormai alla III Repubblica, che non appare migliore delle due precedenti, con elezioni imminenti, non rimane che “L’onorevole” di Sciascia, che racconta la corruzione di un uomo onesto, il professore Barbarino scelto per la sua terzietà a salvare il partito e cangiato dal partito sia nell’anima quanto nelle idee perché il “governare è come un cadere da una condizione umana a una condizione meno umana, nessuno può governare senza colpa”.
Tutti, tranne Sancio, governatore eletto dell’isola del Don Chisciotte, che abdica come un papa, con la convinzione tuttavia di essere nudo e candido perché solo “andandomene nudo come me ne vado, è chiaro che ho governato come un angelo”.
Oppure ci appigliamo, ancora una volta, al sogno di avee un leader ideale, ma stavolta dal teatro e dal cinema, un presidente del consiglio che convincesse Angela Merkel facendola volteggiare a passo di tango, un leader appassionato che in una piazza gremita indica il volto spaesato di un ragazzo recitando A chi esita di Bertolt Brecht, un leader matto come quello de “Il trono vuoto” di Roberto Andò, con il volto di Tony Servillo.
Il film è uscito nel 2012 quando Renzi era solo sindaco ma già volto nuovo e su cui puntura, nella sinistra.
E racconta di un politico in crisi, di sinistra manco a dirlo, che si trova davanti a una scelta netta: o si cambia o si muore. Lui sceglie di scomparire, trascinando con sé un modo di fare politica che non gli appartiene più o che forse  non appartiene più neppure all’Italia. Roberto Andò ce lo racconta in maniera ironica, grottesca, cinematografica. Con la storia e il turbamento del “segretario”, Andò ci consegna una sua personale riflessione sulla situazione italiana attuale. Personale ma anche molto condivisibile: la politica oggi è in un momento di profonda crisi. Ma da questa crisi si può uscire, si deve. Nel film questo succede grazie, prima di tutto, a uno scambio di persona, ma anche scommettendo su un tema a me molto caro, la bellezza: il segretario in fuga viene sostituito dal gemello filosofo, letterato e pazzo, la cui carica poetica, le citazioni illuminate, la capacità di prendere posizione, di trascinare il ragionamento sociale fuori dai confini dell’opportunità e dei giochi di potere spiazzano i professionisti degli accordicchi e rilanciano il sogno del popolo.
Andò ci consegna un pensiero netto: l’imprevisto è ciò che ci può salvare, il sogno è la strada da costruire. Non è una follia, ma la capacità di alzare lo sguardo verso un orizzonte più alto di quello del meschino calcolo dei vantaggi e degli interessi; si tratta di ritrovare la voglia di crederci per raggiungere quegli obiettivi che abbiamo nel cuore. La politica, raccomanda Andò, deve uscire dal suo stato di “figlia della paura” per tornare a essere “un varco verso ciò che non è ancora accaduto”.

Carlo Di Stanislao

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