Guerre visibili ed invisibili

L’Iraq è nel caos, sprofondato in una guerra in cui tutti sono contro tutti, con l’ombra di un possibile colpo di stato dopo il massacro delle minoranze etniche e l’avanzata degli integralisti islamici, mentre il potere costituito si sgretola, con il premier uscente, lo sciita Nouri al Maliki, che non intende rinunciare al tentativo di […]

L’Iraq è nel caos, sprofondato in una guerra in cui tutti sono contro tutti, con l’ombra di un possibile colpo di stato dopo il massacro delle minoranze etniche e l’avanzata degli integralisti islamici, mentre il potere costituito si sgretola, con il premier uscente, lo sciita Nouri al Maliki, che non intende rinunciare al tentativo di formare per la terza volta un governo e chiede al Parlamento la messa in stato d’accusa del presidente, il curdo Fuad Masum, per violazione della costituzione, sostenuto dalla Corte federale che ha riconosciuto che il partito del premier è il vincitore delle ultime elezioni.

La Lega Araba ha bollato come crimini gli eccidi delle Yazidi nel nord e cristiane a Mosul, mentre nella notte di sabato, con il sostegno dell’Onu, Obama ha dato il via libera a raid aerei non solo per rifornire i profughi, ma anche per colpire dal cielo le postazione dei miliziani dello Stato Islamico Isis che, comunque, continua ad uccidere a migliaia i civili soprattutto della minoranza degli Yazidi, intrappolati da giorni sui monti di Sinja.

Alcune migliaia di loro, seguaci di una religione pre-islamica considerati miscredenti dallo Stato islamico, sembra siano riusciti a fuggire grazie ad un corridoio aperto dai curdi di Siria, che li hanno fatti passare nel Paese vicino, per poi farli tornare sotto scorta nel territorio curdo iracheno.

Oltre agli Stati Uniti, anche la Gran Bretagna, ha cominciato a paracadutare aiuti umanitari per coloro che rimangono bloccati, mentre il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, volato a Baghdad, ha ricordato alle autorità irachene, come aveva già fatto nella notte fra sabato e domenica il presidente Obama, che la soluzione alla crisi dovrà passare per la formazione di un governo in cui tutti gli iracheni si sentano rappresentati.

Ieri, in un’intervista telefonica alla Reuters, il ministro per i Diritti Umani del governo iracheno sciita, Mohammed Shia Al Sudani, ha dichiarato che sono state rinvebute fosse comuni in cui i miliziani dello Stato islamico avrebbero gettato i corpi anche donne e bambini vivi ed ha parlato a di centinaia di donne fatte schiave

Il timore di un massacro delle minoranze irachene – yazidi, cristiani e i curdi della città di Erbil, alle cui porte si trovano da giorni i miliziani islamisti – che ha spinto nelle scorse ore l’America a tornare con gli aerei da guerra nei cieli dell’Iraq, tre anni dopo il ritiro delle sue truppe dal Paese, è il motivi della mobilitazione di USA, Gran Bretagna, Francia e Lega Araba, congiuntamente al timore, sempre più fondato, che l’avanzata dello Stato islamico possa sconfinare dalla regione e devastare quel quadrante inquieto di mondo.

La ribellione jhadista sunnita ha preso il via nella prima metà di giugno, con la presa il controllo di vaste zone del territorio a nord e ovest dell’Iraq.

Il 18 luglio i cristiani di Mosul sono fuggiti in massa dopo un ultimatum dei jihadisti che, ai primi di agosto, dopo che il presidente iracheno in carica aveva ordinato alle forze aeree di appoggiare i Peshmerga curdi, si sono impadroniti di Qaraqosh, la più grande città cristiana in Iraq, spingendo decine di migliaia di persone a fuggire.

L’8 agosto, infine, per la prima volta dopo il ritiro delle loro truppe nel 2011, gli Usa sono rientrati in Iraq, bombardando le postazioni jihadiste, mentre l’Onu ha iniziato a fissare e rendere agibile un “corridoio umanitario” nel Nord del Paese per permettere l’evacuazione dei civili.

Sul Post dell’8 agosto, si è fatto il punto della situazione in Iraq e ricordato che in quella nazione esistono di fatto tre poteri che si affrontano: il governo centrale iracheno si trova a Baghdad ed è guidato dal primo ministro sciita Nuri al-Maliki, con gli sciiti che sono una minoranza nel paese; il nord-ovest è finito negli ultimi mesi nelle mani dei miliziani dello “Stato Islamico” – organizzazione prima conosciuta come ISIS – che hanno attaccato una città dopo l’altra avvicinandosi progressivamente alla capitale ed il nord-est che invece è sotto l’influenza della regione autonoma del Kurdistan Iracheno.

Il meno conosciuto e più recente di tali poteri è l’Isis, ora noto come Stato Islamico (IS), gruppo estremista sunnita che opera sia in Siria che in Iraq, che non ha un sistema di alleanze definito e che, in definitiva, non è stato sostenuto apertamente da nessuno ed è odiato praticamente da tutti, la cui inaspettata avanzata si deve alla debolezza dei governi a cui ha sottratto territorio (in Siria quello di Bashar al Assad, che da oltre tre anni è impegnato in una violentissima e complicatissima guerra con diverse fazioni di ribelli; in Iraq quello di Nuri al-Maliki, che dopo il ritiro dei soldati americani ha perso progressivamente il controllo sul suo territorio nazionale); oltre alla capacità à di trovare le risorse per governare i territori conquistati.

Ora sono in molti, e fra questi Charles Lister, analista del Brookings Doha Center e uno dei più preparati esperti di Stato Islamico e cose irachene, ad affermare che l’intervento americano è l’ennesimo errore di politica estera di Obama, poiché ha già avuto l’immediata conseguenza di legittimare lo Stato Islamico come seria e credibile minaccia per l’Occidente e come gruppo emergente per il panorama jihadista, per cui, secondo costoro, si è trattato di “un bonus per l’IS, niente di più”.

Secondo Loretta Napoleoni del il Fatto Quotidiano, la destabilizzazione del Medio Oriente ridisegna i confini del passato e mette a nudo l’ultimo fallimento del ricco occidente nella creazione di nuovi stati, con l’esportazione del proprio modello democratico. Ad undici anni dall’attacco preventivo in Iraq, per evitare che Saddam lanciasse armi nucleari inesistenti contro le capitali europee e per ricostruire questa nazione secondo i principi sacrosanti della democrazia occidentale, l’Iraq non ha nulla di democratico, tanto che una èlitè sciita, guidata da un leader di parte, Maliki, ha apertamente discriminato unniti e curdi cancellando persino la memoria della convivenza delle etnie e della tolleranza religiosa.

Di certo il focolaio iracheno rischia di precipitare una situazione grave con una Ucraina in guerra fratricida ed un Medio-Oriente in fiamme fra quella per procura in Siria, quella tribale in Libia ed infine quella di religione fra Palestina ed Israele.

Padre Pietro Ghetto, missionario del Pime, ha detto a Sussidiario.net, che la lotta dei mussulmani contro l’Occidente è in realtà una conseguenza della loro divisione all’interno, divisione che non accenna fatto a placarsi.

Ma, secondo il Prof. Giancarlo Elia Valori, soprattutto in Qatar, indipendente dalla Gran Bretagna fin dal 1971, e che vuole mediare le tensioni (e talvolta favorirle) in tutto il Grande Medio Oriente, in contrasto primario con l’Arabia Saudita che desidererebbe avere degli Emirati totalmente proni al suo volere; siiti e sunniti stanno tentando manovre di avvicinamento per il “Grande Califfato Universale”.

Dice lo studioso di storia ed economia, che di fatto il Qatar, con politiche ambigue, che favoriscono sia sciiti che sunniti, ne auspicano l’unione, per creare quella grande massa critica islamista che possa ridurre ed eliminare l’egemonia mondiale degli “infedeli”.

Il tutto favorito da una serie successiva di circostanze: la fuoriuscita degli USA dal quadrante del Grande Medio Oriente; l’UE insignificante sul piano militare e del tutto dipendente a livello economico ed energetico; infine la riduzione, tramite guerre di attrito costanti, di Israele ad una entità marginale sul piano militare e economico, con uno Stato Ebraico del tutto isolato dagli USA e dall’Europa.

Secondo Valori, dipingere i “sionisti” come feroci repressori delle popolazioni civili, e creare una corrente di opinione antisraeliana in tutto l’Occidente, serve ad isolare Israele e ad isolare lo stesso Occidente, che è costretto a fare riferimento all’Islam per tutelare i suoi stessi interessi nel Grande Medio Oriente.

A ciò si aggiunga il conflitto strisciante e continuo fra Iran e Arabia Saudita, le forze armate iraniane, che possono contare su circa 950 mila unità attive, facendone il secondo esercito più potente del Medio Oriente dopo le Forze di Difesa Israeliane e l’Arabia Saudita, che pur spendendo miliardi di dollari ogni anno per l’esercito, conta di soli 150.000 e non potendo scontrarsi direttamente contro l’Iran, utilizza le alleanze e il denaro per minare le ambizioni di Teheran di imporsi come Stato leader del Medio Oriente.

Come ricorda su il Giornale Massimo Introvigne, il califfato è l’istituzione che divide i musulmani sunniti dagli sciiti, poiché per questi ultimi l’islam dove essere guidato da discendenti diretti del genero e cugino di Muhammad e, dopo la scomparsa dell’ultimo di questi discendenti, da un clero alla cui testa ci sono dei “grandi ayatollah”; mentre per i sunniti il califfo è guida elettiva , anche se in pratica scelto per secoli nell’ambito delle stesse dinastie e famiglie, fino all’abolizione del califfato stesso da parte della Repubblica turca nel 1924.

Immagine (7)Per quanto riguarda la rivendicazione del leader delle feroci milizie sunnite siriane e irachene dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante, detto anche Isis o Isi) al-Baghdadi, che si è autoproclamato califfo,; esse non sono riconosciute da nessuno al di fuori di chi è costretto a ossequiarlo nei territori che controlla militarmente e perfino al Qaida lo ha sconfessato per le sue pretese grottesche e metodi troppo brutali persino per dei terroristi.

Ma obbiettivi non meno brutali sono quelli degli interessi che tirano le fila di una situazione drammatica ed incresciosa che dura da troppi anni senza nessuna vera soluzione che non sia una inutile guerra.

Interessi che usano le differenze culturali e religiose come pretesti per discriminare ed affermare diritti propri ed egoismi, per guardare agli altri come a eretici nemici, come è accaduto in passato per chi non era cristiano ed accade per gli yezidi, etnia piccola e misteriosa, che in un’epoca imprecisata durante il Medioevo, emerge in una zona a cavallo fra l’attuale Iraq e Turchia, con una religione separata da tutte le altre, di natura sincretista ed esoterica, con elementi tratti dall’ebraismo cabalistico, dallo gnosticismo, dal sufismo islamico e dallo zoroastrismo, che ha al suo centro una cosmologia di sapore gnostico, dove Dio crea dapprima sette arcangeli incaricati di governare l’universo, il cui capo è Tawuse Melek, l’Arcangelo Pavone, poi Adamo e ordina agli arcangeli d’inchinarsi a lui. Tawuse Melek rifiuta, ma l’atteggiamento di Dio nei suoi confronti è complesso: da una parte lo biasima per la sua disubbidienza, dall’altra lo loda per il suo spirito indomito e indipendente e gli lascia il governo di tutto il bene e il male del mondo, per frammentarci che è (o dovrebbe essere) la libertà il principio fondante per l’uomo e l’umanità

Carlo Di Stanislao

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