Pentaquark la nuova particella esotica venuta dall’impossibile

“Quegli idioti dei fisici, ormai incapaci di farsi venire in mente una bella parola greca, hanno chiamato questo tipo di polarizzazione con l’infelice parola ‘colore’, che non ha niente a che vedere con il colore di senso comune” (Richard Feynman). Pentaquark! Alle origini della Supermateria e della Superenergia, c’è ancora altrettanta sapiente ignoranza. La nuova […]

“Quegli idioti dei fisici, ormai incapaci di farsi venire in mente una bella parola greca, hanno chiamato questo tipo di polarizzazione con l’infelice parola ‘colore’, che non ha niente a che vedere con il colore di senso comune” (Richard Feynman). Pentaquark! Alle origini della Supermateria e della Superenergia, c’è ancora altrettanta sapiente ignoranza. La nuova particella esotica scoperta al Cern di Ginevra promette meraviglie. Pare venuta dall’impossibile come qualsiasi viaggiatore del tempo. È quasi “mistica” la sua comparsa nel mondo della Scienza. Non è stata ancora battezzata, un nome ancora non ce l’ha, ma di sicuro sentiremo parlare molto di lei. Magari per volare sulle altre stelle. La ricetta del Creatore è servita. Come con i mattoncini per le costruzioni, l’Universo con le sue leggi impone che si possano combinare particelle solo a patto di rispettare precise, rigorose e sicure regole naturali come il Matrimonio tra un uomo e una donna. Altrimenti tutto finisce per collassare, come nella Guerra dei Mondi, a colpi di Mesoni! Per cui risulta naturale ottenere solo coppie o triplette di mattoncini. Se qualcuno, però, illuminato dalla Sapienza del Signore, si mette in testa di trovare matematicamente delle combinazioni con un numero più alto di mattoncini, senza violare le regole di base, accade il “miracolo” della scoperta totalmente inattesa nella verifica sperimentale. A questo gioco della Scienza si sono dedicati per lunghissimi anni i fisici teorici di tutto il Mondo fin dalla seconda metà dei magici Anni Sessanta dei Beatles. Come? Interrogando Colui che ha fatto l’Universo non con dei mattoncini ma con i Quark e le strane regole della Cromodinamica Quantistica, la Teoria che descrive la loro interazione. Il 14 Luglio 2015 è la data storica dell’annuncio ufficiale degli scienziati del Cern di Ginevra. LHCb, uno dei quattro grandi esperimenti del Large Hadron Collider (Lhc), il supercollisore di Protoni cui l’Italia collabora nell’Infn, osserva i Pentaquark, particelle esotiche composte da cinque Quark, con un altissimo livello di attendibilità statistica, ben oltre sigma 5. Lo studio, sottomesso alla rivista Physical Review Letters, viene pubblicato sul sito “open access” arXiv.org (http://arxiv.org/abs/1507.03414). L’importanza cruciale di questa scoperta è ben spiegata da Guy Wilkinson, portavoce dell’esperimento LHCb: “il Pentaquark osservato non è soltanto una nuova particella, ma anche un nuovo modo in cui i Quark, che rappresentano i costituenti fondamentali di Neutroni e Protoni, possono combinarsi tra loro, in uno schema mai osservato prima in oltre cinquant’anni di ricerche sperimentali. Ulteriori studi sulle proprietà dei Pentaquark ci permetteranno di comprendere meglio la natura di Neutroni e Protoni, i costituenti della materia di cui siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda”. La nuova particella pare degna di Superman. Ulteriori studi sulle proprietà dei Pentaquark permetteranno di comprendere meglio la natura di Neutroni e Protoni, mattoni della materia di cui siamo fatti e tutto ciò che ci circonda, magari facendo dono all’Umanità del volo interstellare grazie alla Supermateria. Il 27 Luglio 2015, a pochi giorni dalla pubblicazione delle misure sui Pentaquark, l’esperimento LHCb, al Large Hadron Collider del Cern, pubblica su Nature Physics, in contemporanea alla conferenza internazionale della European Physical Society (EPS) di Vienna, i risultati di una nuova misura di elevata precisione effettuata sui decadimenti di Barioni che contengono il Quark b. Lo studio (www.nature.com/nphys/journal/vaop/ncurrent/full/nphys3415.html) contribuisce a chiarire il quadro sperimentale per la possibile esistenza di Nuova Fisica nelle interazioni elettrodeboli. Il risultato ottenuto studiando il decadimento della particella barionica chiamata Lambda b (Λb) che decade in un Protone, un Muone e un Antineutrino muonico, però potenzia il Modello Standard. A livello dei Quark, in questo processo un Quark b della Λb si trasforma in un Quark u, dando origine a un Protone, emettendo nel contempo un Bosone W che decade in un Muone e nel suo Antineutrino. Questo tipo di misura viene detta esclusiva perché considera solamente un preciso tipo di decadimento. Il parametro misurato nella ricerca, chiamato Vub, descrive la probabilità di un Quark b di trasformarsi in un Quark u. Questo parametro fa parte della matrice di Cabibbo-Kobayashi-Maskawa (CKM) che descrive tutti i possibili mescolamenti tra i Quark. Poiché il Modello Standard non è in grado di predire il valore assoluto dei parametri della matrice CKM ma, più semplicemente, relazioni di consistenza che questi devono soddisfare, accurate misure sperimentali di vari processi, che coinvolgono le differenti tipologie di Quark, sono di estrema importanza per comprendere se il meccanismo CKM sia l’effettiva chiave di interpretazione di tutti i fenomeni di mescolamento mesonici tra i Quark nel mondo sub-microscopico. Qualora si riscontrasse un’inconsistenza tra i vari elementi della matrice, ciò rappresenterebbe un’indicazione dell’esistenza della Nuova Fisica oltre la Teoria nota. Il risultato pubblicato da LHCb non sembra in accordo con le misure inclusive di questo parametro pubblicate in letteratura.  In queste misure inclusive, Vub viene ricavato studiando tutti i possibili decadimenti di Mesoni B nei quali un Quark b diventa un Quark u, ma senza considerare uno stato finale in particolare. Il valore di Vub da misure inclusive non è compatibile, entro le incertezze sperimentali, con quanto previsto dal Modello Standard, e questo può essere interpretato con la necessità di correggere il Modello Standard introducendo una Nuova Fisica. La misura di Vub fatta da LHCb, in perfetto accordo con le misure esclusive precedentemente realizzate dallo stesso LHCb e dagli esperimenti BaBar e Belle, è invece perfettamente consistente con il Modello Standard così come lo conosciamo, contribuendo così a dissipare i dubbi sulla possibile esistenza di nuovi aspetti delle interazioni elettrodeboli. La discordanza tra misure inclusive ed esclusive di Vub resta però al momento un problema aperto che continuerà ad essere indagato nei prossimi anni sia a livello sperimentale sia teorico. Previsti dalla Teoria, i Pentaquark rappresentano un nuovo stato della materia, un nuovo modo “super” in cui i Quark possono combinarsi tra loro in uno schema mai osservato prima. Il risultato è il primo di questo tipo ad essere stato ottenuto da un esperimento che utilizza collisioni tra Adroni, come Lhc, come anche il primo che si ottiene studiando il decadimento di un Barione contenente un Quark b. La precisione richiesta per questo tipo di misura è stata ottenuta grazie alle ottime prestazioni di LHCb e di Lhc. La comprensione della struttura della materia è stata rivoluzionata nel 1964, quando il fisico americano Murray Gell-Mann propone che una categoria di particelle, note come Barioni, e che comprende Protoni e Neutroni, fosse composta di tre oggetti chiamati Quark, e che un’altra categoria, i Mesoni, fossero invece formati di coppie Quark-Antiquark. Gell-Mann fu insignito per questo lavoro del Premio Nobel per la Fisica nel 1969. Ma il modello a Quark elaborato da Gell-Mann permette anche l’esistenza di altri stati di aggregati di Quark, come il Pentaquark composto da quattro Quark e un Antiquark. Finoora, nonostante una ricerca serrata durata mezzo secolo e condotta da parte di molti esperimenti sulla Terra, non era mai stata portata nessuna prova conclusiva dell’esistenza del Pentaquark. I ricercatori di LHCb hanno cercato stati di Pentaquark esaminando il decadimento di un Barione, conosciuto come Λb (Lambda b), in altre tre particelle: una J/ψ (J-psi), un Protone e un Kaone (particella formata da una coppia Quark-Antiquark) carico. Lo studio sulla distribuzione dell’energia della J/ψ e del Protone rivela che stati di aggregazione di materia intermedi, i Pentaquark appunto, si formano a volte nel corso del decadimento di questi Barioni. Magari esistono stelle di Pentaquark là fuori. “Approfittando della grande mole di dati forniti da LHC, e potendo contare sull’eccellente precisione del nostro rivelatore – rivela Tomasz Skwarnicki il fisico della collaborazione internazionale LHCb della Syracuse University negli Stati Uniti d’America, che ha coordinato la ricerca – abbiamo esaminato tutte le possibilità per questi segnali, e abbiamo concluso che si può spiegare solo con stati di Pentaquark. Più precisamente gli stati devono essere formati da due Quark up, un Quark down, un Quark charm e un Anti-Quark charm”. Lo studio di questi nuovi agglomerati di Quark conta numerosi risultati che inizialmente erano sembrati positivi ma che successivamente, sottoposti a ulteriori verifiche, si sono rivelati invece inconcludenti. Ora, il risultato dell’esperimento LHCb pare forte di un’analisi dei dati estremamente accurata e rigorosa, basata su un’elevatissima statistica, mai raggiunta prima, e su un’altissima precisione del rivelatore. LHCb è stato così in grado di studiare i Pentaquark da molte prospettive. E tutte sembrano puntare alla stessa conclusione. È come se gli studi precedenti avessero individuato delle silhouette nel buio (le ombre di Platone nel mito della caverna!) e le avessero associate ai Pentaquark, mentre LHCb ha condotto la sua ricerca a luci accese e da tutte le angolazioni. “L’esistenza di particelle esotiche, quelle che non riusciamo a inquadrare nei modelli che descrivono Mesoni e Barioni, è ormai un fatto sperimentalmente accertato: stati con quattro Quark sono già stati scoperti in diversi esperimenti, incluso LHCb – fa notare Pierluigi Campana, a capo della collaborazione internazionale LHCb dal 2011 al 2014 – però adesso abbiamo una forte indicazione di qualcosa di equivalente per i cinque Quark. E questo grazie alla capacità di LHCb di riconoscere la natura delle particelle, in mezzo a quella tempesta di tracce che ci è generosamente offerta dalle collisioni a Lhc”. Ma questo risultato non è affatto conclusive. Perché i pentaquark sono una classe di particelle che può aprire le porte a una comprensione molto più approfondita della Supermateria. Infatti, se conosciamo bene la Forza elettromagnetica che tiene legati assieme gli Atomi, cioè i Nucleoni e gli Elettroni, non altrettanto possiamo dire della Forza forte che tiene legati sia i Protoni e i Neutroni all’interno del Nucleo, sia i Quark che li compongono tra di loro. “La scoperta della collaborazione LHCb, di uno stato composto da cinque Quark, se sarà confermata, arriva gradita, ma non inattesa – spiega Luciano Maiani, fisico teorico – nel lavoro in cui introduceva i quark, Gell-Mann aveva anche suggerito che, oltre ai Mesoni noti fatti da una coppia Quark-Antiquark, potessero esistere particelle mesoniche composte da due coppie Quark-Antiquark (Tetraquark) e che, oltre alle particelle barioniche composte da tre Quark, potessero esserci dei Pentaquark. Ci attende adesso l’esplorazione di un nuovo mondo di particelle, al Cern e ai collisori elettrone-positrone in Giappone e in Cina. Speriamo di trovare, nei Pentaquark, quella pistola fumante che convinca anche gli scettici dell’esistenza di una nuova serie di particelle subnucleari che ci daranno informazioni cruciali sulle, ancora misteriose, interazioni forti”. E, quindi, sulla Gravità quantistica. Il Nobel per la Fisica, dunque, sarà certamente americano, mentre si apre tutto un nuovo filone di ricerca. Il passo successivo per l’analisi sarà perciò studiare come i Quark sono legati all’interno dei Pentaquark. I Quark, infatti, potrebbero essere strettamente vincolati, oppure potrebbero essere tenuti assieme più debolmente in una sorta di Molecola Mesone-Barione, in cui il Mesone e il Barione risentono del residuo dell’interazione forte, la stessa forza che lega Protoni e Neutroni a formare i Nuclei. Saranno quindi necessari ulteriori studi per distinguere tra queste possibilità, e per vedere che cosa i Pentaquark possono insegnarci. I nuovi dati che LHCb raccoglierà durante il RUN2 di Lhc consentiranno di compiere progressi in questo campo a 13 TeV tra il 2016 e il 2018. Idee sulla struttura di Tetra e Pentaquark sono state avanzate da diversi autori a partire dagli Anni ’70 del XX Secolo (R. Jaffe, poi G. Rossi e G. Veneziano e successivamente R. Jaffe e F. Wilczeck) ma nessuna prova sperimentale indicava allora la presenza di particelle più complicate del minimo necessario. La situazione è cambiata con la scoperta di particelle costituite da Quark pesanti, il Quark charm e il Quark beauty. “Nel decadimento di una particella con Quark pesanti – rivela Luciano Maiani – questi ultimi non possono sparire: li possiamo rintracciare nelle particelle dello stato finale e vedere se nella particella iniziale non ce ne dovessero essere degli altri. L’idea che alcuni Mesoni, osservati a partire dal 2003 e non interpretabili nello schema tradizionale, fossero Tetraquark formati da una coppia di Quark pesanti e una di Quark leggeri, è stata avanzata nel 2005 dal nostro gruppo (L. Maiani, A. Polosa, F. Piccinini, V. Riquer) e approfondita negli anni successivi, tra gli altri da S. Weinberg e da S. Brodsky, negli Usa. Mesoni contenenti una coppia di Quark beauty sono stati interpretati come Tetraquark da A. Ali e altri collaboratori del laboratorio DESY in Germania. Nel 2007, la scoperta del mesone Z+, da parte della collaborazione Belle in Giappone, è stata confermata nel 2014 da LHCb. Oltre a una coppia Charm-Anticharm, che ha nel complesso carica elettrica zero, lo Z+ deve contenere una coppia di Quark leggeri, per arrivare alla carica elettrica positiva osservata, proprio come previsto dai nostri Tetraquark. I Pentaquark osservati sono di questo tipo: decadono in un Mesone Charm-Anticharm e in un Protone, quindi devono contenere, in aggiunta, due Quark up e un Quark down. L’esistenza dei Pentaquark è una logica conseguenza dell’esistenza dei Tetraquark”. Dunque, i fisici predissero l’esistenza di strutture formate da cinque Quark. I segni di qualcosa che sembra proprio essere un Pentaquark, sono il risultato dello studio effettuato analizzando dati su collisioni avvenute in Lhc nel 2012. La scoperta, nonostante il doppio sigma 5, è opportuno sottolinearlo, è ancora preliminare e da confermare con studi successivi, ma sta già creando tsunami di entusiasmo nella comunità scientifica mondiale. “È la scoperta più eccitante nel campo della Cromodinamica Quantistica che potessi immaginare”, rivela Frank Wilczek del Massachusetts Institute of Technology (MIT), tra i principali esponenti della Teoria. Il team di LHCb ha osservato due varianti di un unico Pentaquark, di massa rispettivamente 4,38 e 4,45 GigaElettronVolt (multipli della massa di un Protone). La differenza tra le due versioni del Pentaquark osservato a Lhc è data dal differente stato rotazionale di “spin” dei Quark che lo compongono. Gli ingredienti della Ricetta di Dio rimangono gli stessi. In Natura, i Quark si presentano in sei tipi differenti, a cui i fisici hanno dato nomi piuttosto bizzarri come la Fisica dei Quanti suggerisce. Si conoscono, quindi, Quark up, down, charm, strange, top e bottom. A ogni Quark di materia è associato un Antiquark di Antimateria, uguale in tutto e per tutto al primo tranne per la carica elettrica che è opposta. Il Pentaquark di LHCb sarebbe formato da due Quark up, un Quark down, un Quark charm e un Antiquark charm. Cioè, materia e Antimateria, insieme! Come nei Mesoni. Si tratta, quindi, di un evento memorabile nella storia della Fisica delle particelle. Predetti teoricamente dalla Cromodinamica Quantistica, i Pentaquark non fecero capolino nei lavori dei fisici sperimentali fino al 2002, quando un team di ricercatori al sincrotrone SPring-8 di Harima, in Giappone, annunciò per la prima volta la scoperta di una particella formata da cinque Quark. Sembrava solida, anche perché confermata da altri laboratori indipendenti, ma nel 2005 venne stroncata definitivamente dal team di ricerca del Thomas Jefferson National Accelerator Facility, negli Usa. Così lavora la Scienza sempre pronta a mettere in discussione tutti e tutto. Da allora non si parlò quasi più di Pentaquark, quasi fosse diventato un argomento tabù. Almeno fino alla storica scoperta annunciata il 14 Luglio 2015, che riguarda un Pentaquark molto diverso da quello nipponico. La stessa Teoria che aveva previsto anche l’esistenza di Tetraquark, dimostrata sperimentalmente nel 2014, sempre in Lhc, rende solida la presenza del Pentaquark in Natura. L’esperimento LHCb è destinato a rimanere in prima linea in questo settore di ricerca, perché ha a suo favore due vantaggi cruciali: l’enorme precisione del rivelatore e la sterminata mole di eventi analizzabili, prodotti dalle collisioni sempre più collimate che avvengono in Lhc ad energie sempre più potenti, su cui il trattamento statistico può dare dei risultati altamente significativi. Se verrà confermata da ulteriori analisi, la scoperta del Pentaquark effettuata dal team di LHCb promette di aprire una nuova strada di ricerca sulla Cromodinamica Quantistica. Nell’immediato sarà interessante scoprire i dettagli precisi del modo in cui l’interazione Forte tra Quark tiene insieme queste particelle all’interno del Pentaquark. Quanto sono amalgamati i cinque Quark della nuova struttura esotica osservata da LHCb? Al momento si ritengono possibili due possibili scenari della nuova particella da Premio Nobel per la Fisica: uno in cui tutti i Quark sono strettamente legati tra loro, e una in cui un Barione con 3 Quark e un Mesone con una coppia Quark-Antiquark sono tenuti insieme da una forza simile a quella che lega Protoni e Neutroni, anch’essi costituiti da Quark, nei Nuclei atomici. LHCb è specializzato nell’investigazione della materia e dell’Antimateria dallo studio dei Quark beauty. A differenza dei sensori Atlas e Cms in Lhc che vengono investiti da entrambi i fasci di Protoni nel supercollisore, il dispositivo LHCb utilizza una serie di sub-rivelatori che analizzano un solo fascio di particelle: uno posto in prossimità del punto di collisione e gli altri lungo l’anello di Lhc, ogni 20 metri. Una grande varietà di Quark viene create da Lhc prima che essi decadano in altre particelle. Per catturare i Quark b, LHCb ha sviluppato un sofisticato braccio mobile di sensori in prossimità dei fasci di Protoni. Con le sue 5600 ton., i 21 metri di lunghezza, i 10 mt. di altezza, i 13 mt. di larghezza, a 100 metri di profondità nei pressi del villaggio Ferney-Voltaire in Francia, LHCb assicura il futuro della Nuova Fisica grazie a 700 scienziati di 66 differenti istituti e università della Terra. Nel 1964, poco dopo che fu postulata l’esistenza dei Quark da Gell-Mann e Zweig, Wally Greenberg avanzò l’ipotesi che i Quark possedessero un’ulteriore proprietà nascosta che poteva assumere tre valori distinti. In altre parole, il numero di Quark nella Teoria di Gell-Mann e Zweig doveva essere triplicato. Dovevano esistere perciò tre Quark distinti di tipo up, tre di tipo down e tre di tipo strange. Mentre i Quark di tipo up e down differiscono tra di loro per la carica elettrica, e lo strange differisce dall’up e dal down per la massa e la stranezza, nessuna ulteriore differenza fisica doveva essere associata a questa nuova proprietà che fu chiamata “colore”, in quanto esistono tre colori primari. Ma questo colore non ha niente a che vedere con la nostra percezione fisiologica del colore. Al posto di blu, verde e rosso, potremmo usare un indice numerico, ed è infatti questo che appare nelle equazioni che governano la dinamica dei Quark. La tendenza a utilizzare nomi strani e poco poetici nella Fisica delle particelle elementari è illustrata dal grande Richard Feynman che scrive: “Quegli idioti dei fisici, ormai incapaci di farsi venire in mente una bella parola greca, hanno chiamato questo tipo di polarizzazione con l’infelice parola colore, che non ha niente a che vedere con il colore di senso comune”. La necessità del colore è bene esemplificata dall’esistenza della Δ++, una particella costituita da tre Quark di tipo up. I Quark, come gli elettroni, obbediscono al principio di esclusione di Pauli, che sancisce che non vi possono essere due Quark nello stesso stato. Nella Δ++ anche la proprietà dello spin è identica per i tre Quark, e ciò porterebbe a pensare che vi debba essere una violazione del principio di Pauli. Ammettendo invece l’esistenza del colore, si può assumere che i tre Quark up abbiano colori diversi tra loro, rispettando così il principio di Pauli. Nonostante l’aspro giudizio di Feynman, una certa analogia tra il colore dei Quark e il colore di senso comune pare proprio esistere. Se è vero infatti che questa proprietà dei Quark, detta più correttamente carica di colore, non ha nulla a che vedere con i colori che percepiamo con i nostri occhi nella luce alle diverse lunghezze d’onda, le regole matematiche con cui i colori si sommano sono molto simili a quelle con cui si accoppiano i Quark nella Creazione. Se Tutto esiste lo dobbiamo ai Quark. Che, tra l’altro, ci rendono tutti così simili e diversi. Con soli tre colori fondamentali (rosso, verde e blu, in inglese RGB) possiamo costruire tutti i colori, basta sommarli con un’opportuna combinazione. Funziona così lo schermo del computer: assegnando il valore zero a tutti e tre i colori (0,0,0) otteniamo il nero, assegnando il valore massimo permesso (MB,MG,MR) otteniamo il bianco e, ad esempio, il viola si ottiene con la combinazione (MB,0,MR). Le particelle adroniche, cioè quelle fatte di Quark, non possiedono una carica complessiva di colore. Semplificando la matematica dei colori quantistici che è molto più complessa, possiamo descrivere i Barioni come formati da tre Quark di colore diverso. I Mesoni, invece, possiamo immaginarli come coppie formate da un Quark di un colore e un Antiquark che ha colore complementare, cioè quello che neutralizza il corrispondente colore primario. Per definizione, nei colori ordinari il complementare del rosso è il ciano, del verde il magenta e del blu il giallo. Anche i colori complementari formano una terna, CMY (Cyan, Magenta, Yellow) molto usata nella stampa su carta. Ma attenzione, in questo caso la sovrapposizione dei colori genera il nero! Quest’analogia permette di fare ancora un passo in più: possiamo descrivere l’Antiprotone e l’Antineutrone come formati da tre Antiquark che portano altrettanti anticolori. La matematica dei colori e degli anticolori permette di formare sistemi ancora più complessi come il Tetraquark e il Pentaquark. Dal fatto che differenze di colore non implicano differenze di altre proprietà fisiche, segue che esiste un’invarianza delle leggi fisiche sotto una permutazione del colore. Nel mondo microscopico, tuttavia, tale invarianza risulta più ampia e complessa. La Meccanica Quantistica insegna infatti che non solo è possibile che un sistema abbia valori definiti di una certa grandezza, ma che è anche possibile che il sistema sia in una sovrapposizione di stati con valori diversi di questa grandezza, con ciascuna componente avente un peso diverso. Si può ricorrere all’analogia con un punto dello spazio, che è caratterizzato, in coordinate cartesiane, dalle sue componenti x, y e z. Analogamente lo stato di colore di un Quark è caratterizzato dalle sue componenti di colore blu, verde e rosso. Le leggi fisiche sono invarianti, oltre che sotto una permutazione del colore, anche sotto vere e proprie rotazioni nello spazio dei colori, le trasformazioni del gruppo SU(3) di colore, analoghe alle rotazioni spaziali del nostro esempio. L’introduzione del colore deve essere accompagnata da una considerevole restrizione degli stati ammissibili. Se così non fosse, il Pione positivo, una particella composta da un Quark up e un Antiquark down, dovrebbe essere presente in nove repliche, corrispondenti alle nove possibili scelte per il colore del Quark e dell’Antiquark. Si postulò quindi che solo gli stati invarianti sotto le rotazioni del colore siano possibili. Utilizzando questa restrizione si arriva a giustificare l’esistenza di tutti gli Adroni, le particelle soggette a interazioni forti, effettivamente osservati, senza introdurne altri. In particolare, questa restrizione vieta l’esistenza nel nostro Universo di Quark liberi che, sebbene attivamente cercati, non sono mai stati rivelati. Inizialmente, i fisici erano incerti se considerare i Quark come vere e proprie particelle, o se considerarli invece come un artificio matematico. Successivi sviluppi hanno convinto, senza ombra di dubbio, che i Quark sono particelle esattamente come lo sono gli Elettroni. A distanze inferiori al Fermi (pari a metri 10 elevato a meno 15) le interazioni forti si indeboliscono e i Quark si comportano come se fossero liberi. Un’osservazione che conferma brillantemente l’esistenza dei Quark e del colore è la misura di R, il rapporto tra la probabilità di produzione di Adroni e la probabilità di produzione di Muoni in esperimenti di collisione di Elettroni e Positroni ad alte energie. I Muoni sono particelle in tutto simili agli Elettroni, che differiscono da questi solo perché più pesanti, cioè dotati di una massa circa 200 volte maggiore di quella degli Elettroni. Per quanto riguarda la produzione nelle collisioni Elettrone-Positrone, essi differiscono dai Quark solo nel fatto che questi ultimi hanno carica elettrica frazionaria e portano il colore. Se non fosse per il colore, il valore di R dovrebbe essere uguale alla somma dei quadrati delle cariche elettriche del Quark. L’esistenza delle tre repliche di colore porta a un ulteriore fattore 3 nel valore di R, ma porta anche a una correzione dovuta alle interazioni forti che agiscono tra i Quark. Ma la Meccanica Quantistica insegna che lo stato di una particella elementare è caratterizzato da un’onda, con una lunghezza tanto più piccola quanto più alta è la sua energia. Per energie molto al di sopra del GeV (10 alla 9 ElettronVolt) la lunghezza d’onda delle particelle è molto più piccola di un Fermi. Quindi le interazioni forti si indeboliscono e la correzione forte svanisce. Ne segue che, nel limite delle alte energie, il valore di R è proprio dato da tre volte la somma dei quadrati delle cariche dei Quark prodotti. Oggi abbiamo una Teoria completa delle interazioni forti, nota come Cromodinamica Quantistica (QCD), con le interazioni forti determinate dalle cariche di colore, come le interazioni elettromagnetiche sono determinate dalle cariche elettriche. La neutralità in colore corrisponde all’invarianza di un sistema sotto rotazioni di colore. Si può dimostrare che l’intensità dell’interazione forte descritta dalla QCD diminuisce a piccole distanze e aumenta a grandi distanze. Perciò, è possibile separare a grandi distanze solo particelle prive di carica di colore. La piccola intensità delle interazioni della QCD a piccole distanze (e quindi ad alte energie) rende la Teoria particolarmente trattabile in questi regimi, per cui gli scienziati sono in grado di calcolare con precisione diversi processi ad alte energie. Come, ad esempio, quelli che hanno luogo nelle collisioni tra Protoni in Lhc. I calcoli della QCD sono stati essenziali per la progettazione degli esperimenti di Lhc e sono oggi quotidianamente utilizzati nell’analisi dei dati sui Pentaquark. Quasi non passa giorno dove non venga scovato un nuovo stato della materia. L’ultimo, in ordine di tempo, fino al 14 Luglio 2015, era il Tetraquark. Il vastissimo gruppo di ricerca della collaborazione Large Hadron Collider beauty ha di nuovo fatto centro. Nel frattempo, si possono già cogliere le implicazioni astrofisiche di questa scoperta, in particolare sulla struttura interna delle Stelle di Neutroni. Brian Koberlein, professore di Fisica al Rochester Institute of Technology, lo aveva già fatto notare a proposito dei Tetraquark. “I Quark sono molto differenti dalle altre particelle – spiega Koberlein – in quanto hanno una carica elettrica che corrisponde a 1/3 o 2/3 di quella dell’Elettrone o del Protone. Possiedono anche un altro tipo di carica, chiamata colore. Mentre le cariche elettriche sono due, positive e negative, esistono tre tipi di cariche di colore assieme ai loro opposti (anti-rosso, anti-verde, anti-blu). Per ragioni legate al modo di agire della forza nucleare Forte, i Quark non si osservano in maniera libera ma aggregati a formare particelle di colore neutro. Oltre alle note composizioni neutre di due o di tre quark (Mesoni e Barioni, rispettivamente) teoricamente si potrebbero avere anche combinazioni in cui due quark avrebbero un particolare colore e gli altri due il corrispondente anti-colore. Andando oltre, sono stati proposti anche i Pentaquark e gli Esaquark. Ma fino a questo punto si trattava di semplici illazioni su ipotetiche particelle che, sebbene neutre dal punto di vista del colore, potrebbero essere instabili e semplicemente decadere in Barioni o Mesoni”. Gli ultimi risultati dell’esperimento al Cern rappresentano la più forte evidenza dell’effettiva esistenza di gruppi di Quark a formare una particella di colore neutro. Questo significa che i Quark si possono combinare in modalità molto più complesse di quanto gli scienziati sperimentali s’aspettassero. Un fatto che ha ripercussioni, dal punto di vista astrofisico, sul modo in cui si concepisce la struttura interna delle Stelle di Neutroni. In maniera estremamente semplificata, si può dire che il modello tradizionale di Stella di Neutroni prevede che questo piccolo corpo supermassiccio sia composto esclusivamente da Neutroni sostentato dalla pressione quantistica dei gas degeneri in grado di contrastare l’immensa massa gravitazionale. I Neutroni sono costituiti da tre quark (due down e uno up) ma si pensa che l’interazione tra particelle all’interno della Stella di Neutroni consista essenzialmente nell’interazione tra Neutroni. Se invece si postula l’esistenza dei Tetraquark e Pentaquark, diviene allora possibile ipotizzare che i Neutroni del nucleo interagiscano così intensamente da formare nuove esotiche particelle, finanche Esaquark. O addirittura che i Quark possano interagire individualmente, senza essere legati all’interno di particelle di colore neutro, dando origine a un ipotetico oggetto chiamato Stella di Quark, ossia Stella Strana perché composta da Supermateria, al confine tra Stella di Neutroni e Buco Nero. “Tutto ciò è ancora a livello di ipotesi ma – precisa Koberlein – l’evidenza sperimentale dell’esistenza del Pentaquark spingerà necessariamente gli astrofisici a riconsiderare alcuni degli assunti riguardo alla composizione interna delle Stelle di Neutroni”. A proposito dei Mesoni K, chiamati anche Kaoni. Essi hanno costituito una vera miniera di novità nella Fisica delle particelle. A loro si deve il concetto di “stranezza” ed è anche per spiegare alcuni loro modi di decadimento che nacque l’idea stessa della possibile violazione nelle interazioni deboli della parità P, la simmetria ottenuta quando si osserva un fenomeno allo specchio. Quello dei Mesoni K è oggi uno dei pochissimi esempi in cui si osserva la violazione della simmetria CP, la trasformazione che si ottiene applicando al contempo la parità e la coniugazione di carica C che trasforma le particelle in antiparticelle. Il segreto dell’energia infinita.
I K sono Mesoni, particelle composte da un Quark e un Antiquark, a differenza dei Barioni (i Neutroni e i Protoni) che sono formati da tre quark. I Barioni e i Mesoni formano la famiglia degli Adroni. Di Mesoni, come di Barioni, esiste un vastissimo zoo particellare: oltre ai K, il Mesone π, il Mesone D, il Mesone B e così via. Che effettivamente si osservano sperimentalmente. I Mesoni K esistono nella versione carica K± e nella versione neutra K0, ma a differenza di quanto succede per i loro cugini, i Mesoni π anche chiamati Pioni, il K0 non coincide con l’anti-K0. La ragione sta proprio nella proprietà della “stranezza”. Nella seconda metà degli Anni ’40, in esperimenti con i raggi cosmici, si era osservato che alcuni processi di interazione Forte, per esempio alcuni urti di Mesoni π con nuclei atomici, producevano particelle instabili (tra queste anche i K) che decadevano con vite medie incompatibili con l’interazione Forte, troppo lunghe per oltre dieci ordini di grandezza. Di questi decadimenti poteva essere responsabile solo l’interazione debole: in questo senso le particelle erano “strane”. Un po’ come se la costante elastica di una molla avesse dato valori completamente diversi in fase di compressione e in fase di estensione, queste particelle originate dalla forza Forte decadevano in particelle più leggere tramite la forza debole.
Abraham Pais osservò che la produzione di queste particelle strane avveniva sempre in coppia, come se esistesse una sorta di carica conservata nell’interazione, alla base del processo di produzione. L’idea fu sviluppata da Nakano, Nishijima e Gell-Mann e fu quest’ultimo a battezzare la nuova carica “stranezza”, indicandola con la lettera S. Una quantità che doveva essere conservata nelle interazioni forti ed elettromagnetiche, ma non in quelle deboli. Poiché Protoni, Neutroni e Mesoni π erano supposti avere stranezza nulla, la loro interazione Forte poteva sì generare particelle con stranezza, ma solo a coppie di stranezza opposta. È quanto avviene effettivamente.
Una volta prodotta, la particella con stranezza non poteva più decadere attraverso l’interazione Forte o elettromagnetica verso stati con stranezza nulla, e quindi il decadimento poteva procedere, molto più lentamente, solo attraverso l’interazione debole. In questo schema, il K0, avendo stranezza S = +1, non poteva coincidere con la propria antiparticella che, per definizione, doveva avere stranezza S = -1 (nella trasformazione particella-antiparticella tutte le cariche cambiano di segno, quindi anche la stranezza). Ma questa non è l’unica meraviglia dei Mesoni K. Ce n’è una ancora più insolita, che rende speciali queste particelle: sebbene sia più sfuggente e complicata da descrivere, è di fondamentale importanza per la comprensione della Fisica dei Quanti dove l’osservatore influenza l’oggetto osservato. Si considerino gli stati K0 e anti-K0, costituiti rispettivamente da un Antiquark strange e un Quark down, e un Antiquark down e un Quark strange. Si passa da uno all’altro applicando la trasformazione CP (sono CP-coniugati). Costruiamo, seguendo le consuete regole della Meccanica Quantistica, le loro combinazioni lineari simmetrica (somma) e antisimmetrica (differenza) che chiameremo, rispettivamente, K1 e K2. Di queste, la prima è CP pari (CP=+1), rimane cioè identica a se stessa se riflessa nello specchio CP che in questo caso sostituisce particelle ad antiparticelle e ne cambia la parità; la seconda, invece, cambia di segno sotto CP ed è quindi CP dispari (CP=-1). In questo schema, nell’ipotesi in cui CP sia una simmetria esatta anche per le interazioni deboli (come si riteneva allora), il K1 può decadere solo in due Mmesoni π (un sistema sempre CP pari) e il K2, a sua volta, quando “sceglie” di decadere in Mesoni π, può farlo solo in tre ;esoni π il cui stato può essere CP dispari. Da questa differenza di stato finale segue che, anche se in entrambi i casi la responsabile del decadimento è comunque l’interazione debole, il K1 deve avere una vita media più breve del K2, ossia deve decadere più in fretta. Sperimentalmente era nota l’esistenza di un Mesone K-short (KS) e un Mesone K-long (KL), con masse quasi uguali ma vite medie molto diverse; questo sembrava quindi potersi spiegare molto semplicemente identificando il KS con il K1 (CP-pari) e il KL con il K2 (CP-dispari). Nel 1964, però, Christenson, Cronin, Fitch e Turlay mostrarono che il Mesone KL decadeva, seppur raramente (0,2 percento dei casi), anche in due Mesoni π e quindi non poteva coincidere esattamente con il K2 se CP era conservata. Era dunque violata anche la simmetria CP? I fatti sperimentali presto condussero a un’unica possibile conclusione, secondo cui lo stato KL non coincideva con lo stato K2, ma aveva una piccola “contaminazione” quantistica di K1. In modo complementare, il KS doveva coincidere con la sovrapposizione di un K1 e una piccola contaminazione quantistica di K2. In questo caso, lo stato KL non aveva CP definita e poteva quindi decadere talvolta anche in due Mesoni π, senza che ci fosse necessariamente una violazione di CP nella dinamica del decadimento debole: è il meccanismo della violazione indiretta di CP. Ma perché c’era questo mescolamento? Il quadro teorico andava in ogni caso rivisto, perché non era in grado di dare una spiegazione. Nel 1973, l’estensione a sei del modello a Quark (up, down, charm, strange (stranezza), top e beauty) consente al modello standard di fornire una possibile spiegazione della violazione di CP nelle interazioni deboli di corrente carica, attraverso il meccanismo del mescolamento di sapore dei Quark (meccanismo CKM). Restava allora da verificare se nel sistema dei K0, la violazione di CP era unicamente del tipo indiretto, oppure se c’era anche una violazione diretta. Cioè se accadeva che il K0 e l’anti-K0, che sono CP-coniugati, avessero diverse probabilità di decadimento verso uno stesso stato finale invariante per trasformazioni CP. Come, appunto, quello di due Mesoni π carichi oppure neutri. Fu questo, a partire dal 1984, il compito degli esperimenti Na31 e poi Na48 realizzati al Cern, i quali hanno potuto verificare, in accordo con le previsioni del Modello Standard, l’effettiva esistenza di entrambi i tipi di violazione, aprendo così una nuova era nella Fisica del sapore. Evidentemente assente in Expo2015. Nel 1964, James Bjorken e Sheldon Glashow, per simmetria con il mondo dei Leptoni, che qualche anno prima era stato organizzato nei due doppietti Elettrone e Neutrino elettronico, Muone e Neutrino muonico, ipotizzano l’esistenza di un quarto Quark, oltre ai tre introdotti da Gell-Mann, che chiamano Charm (in inglese, fascino). L’idea, inizialmente basata solo sul parallelismo Leptoni-Quark, acquista fondamento fisico nel 1970, grazie allo stesso Glashow, John Iliopoulos e Luciano Maiani, i quali mostrano che il Charm spiega in maniera semplice e naturale alcuni fenomeni, altrimenti indecifrabili, riguardanti i Mesoni K neutri, particelle composte da un Quark down e un Antiquark strange. La conferma dell’esistenza del Charm arriva nel 1974, con la cosiddetta Rivoluzione di Novembre: tre esperimenti, a Brookhaven, Stanford e, immediatamente dopo, a Frascati, osservano un nuovo Mesone con una massa di 3097 MeV, circa tre volte quella del Protone. Alla particella viene dato un doppio nome, J/ψ, per riconoscere il merito dei due scopritori, Samuel Ting (inventore del futuro esperimento AMS-02 sulla ISS) e Burton Richter, ai quali sarà conferito il premio Nobel nel 1976. Dieci giorni dopo l’annuncio della scoperta della J/ψ, l’esperimento di Stanford scopre un secondo Mesone, chiamato ψ‘, con una massa di 3686 MeV e caratteristiche simili alla J/ψ. Le due nuove particelle sono stati legati del Quark charm, molto più pesante degli altri tre, e del suo Antiquark: un sistema chiamato genericamente Charmonio, in analogia con il Positronio, lo stato legato di un Elettrone e un Positrone. Come ogni sistema quantistico che si rispetti, il Charmonio è caratterizzato da uno spettro di livelli energetici equivalenti alle masse dei diversi stati: la J/ψ e la ψ‘ sono due di questi stati. Ma, mentre nel caso del Positronio, che è legato dalla forza elettromagnetica, la differenza di energia tra gli stati è dell’ordine di alcuni eV, nel caso del Charmonio, che è legato dalla forza Forte, molto più intensa, la differenza di massa tra gli stati è dell’ordine delle centinaia di MeV, cioè cento milioni di volte superiore. Il Modello a Quark prevede che esistano anche dei Mesoni contenenti il Charm e un Antiquark leggero, Antiquark up o Antiquark down. Questi Mesoni, chiamati D, sono l’analogo Forte dell’atomo di Idrogeno che è tenuto assieme dalla forza elettromagnetica: una particella leggera, come l’Antiquark (l’Elettrone nell’atomo di Idrogeno) che orbita intorno a una particella pesante, il Quark charm (il Protone nell’Idrogeno). La scoperta del Charm, nell’Autunno del 1974, venne complicata da una incredibile coincidenza, Come si capì qualche mese dopo, nella stessa regione di energie esplorata a Stanford venivano prodotte coppie di un nuovo Leptone pesante, il τ, la cui presenza, che all’inizio nessuno sospettava, alterava l’interpretazione dei dati sperimentali riguardanti il Charmonio. È in questa situazione confusa che Haim Harari suggerisce di introdurre due nuovi Quark, che chiama Top e bottom, o in alternativa Truth e beauty. Sebbene il suo modello si rivelerà sbagliato perché i risultati di Stanford si spiegano in termini del solo Charm, l’idea di una nuova coppia di Quark, già proposta per altri motivi da Kobayashi e Maskawa, era corretta e i nomi proposti da Harari rimarranno. Ci vorranno ancora vent’anni per completare sperimentalmente il quadro, con la scoperta del Top, il sesto Quark, ma l’esistenza del quinto Quark non tarderà ad essere confermata. Nel 1977, il gruppo di Leon Lederman (il famoso divulgatore scientifico della Particella di Dio) al Fermilab scopre un nuovo Mesone che viene battezzato particella Υ, con una massa di 9,46 GeV, più di tre volte quella della J/ψ. La Υ è un esempio di Bottomonio, stato legato del Quark bottom e dell’Antiquark corrispondente. Successivamente, nel 1983, viene scoperto l’analogo del Mesone D, il Mesone B0, composto da un Quark bottom e un Antiquark down. Il sistema dei Mesoni B è particolarmente importante perché permette di studiare un fenomeno di grande rilevanza per la comprensione dell’Universo, la violazione della simmetria CP. Le moderne B-factories, come Babar negli Usa e Belle in Giappone, sono state progettate proprio per produrre in abbondanza questi Mesoni. La caccia ai Quark liberi ha inizio con l’idea stessa di Quark. Fu l’ideatore dei Quark, Murray Gell-Mann, a proporre per primo di verificare l’ipotesi secondo cui non esisterebbero Quark isolate nel nostro Universo, non associati ad altri Quark, cercando alle più alte energie prodotte dai grandi collisori. I primi esperimenti portano la data del 1964 e furono compiuti al protosincrotrone del Cern e all’acceleratore Ags del Brookhaven National Laboratory. Che, lavorando alle alte energie dell’epoca, centinaia di volte inferiori a quelle ottenute oggi da Lhc, permettevano di rivelare nuove particelle in una camera a bolle. I risultati, come Gell-Mann stesso si aspettava, furono negativi. Da allora, gli scienziati non hanno mai smesso di cercare i Quark liberi, nonostante nessuno si aspetti davvero di trovarli. Sembra che a rendere appetitosa la sfida sia proprio quel pregiudizio iniziale: e se invece esistessero, da qualche parte, nascosti in un luogo diverso da quello in cui si è cercato? Componenti della maggior parte delle particelle, quindi dei Nuclei degli atomi, i Quark hanno cariche elettriche pari a un terzo ovvero a due terzi di quella dell’Elettrone. Se esistessero in forma libera, cioè slegati da altri Quark, si dovrebbero poter misurare cariche frazionarie di questo valore, ma fino ad oggi nessun esperimento ha mai osservato cariche frazionarie. I Quark sembrano presentarsi sempre in associazione con altri Quark o Antiquark, confinati in stati legati a gruppi di due o di tre, dando luogo a cariche intere. Concepire un esperimento per trovare Quark liberi è quindi un’impresa coraggiosa, anche perché le aspettative degli scienziati possono influenzare l’analisi dei dati e il loro risultato. Lo scenario non è quindi molto incoraggiante e forse è questo a rendere la sfida ancora più entusiasmante. L’esperimento più famoso sulla ricerca dei Quark liberi è certamente quello che William Fairbank e i suoi colleghi della Stanford University condussero nel 1977. La fama dell’esperimento di Fairbank si deve al fatto che è stato l’unico nella storia della Fisica ad avere riportato risultati positivi sull’esistenza di cariche frazionarie, che si sarebbero potute associare naturalmente ai Quark. L’esperimento non utilizzava la tecnologia dei grandi acceleratori, prendeva spunto piuttosto dal lavoro del fisico Robert Millikan, che con il famoso esperimento delle gocce d’olio fu in grado di rivelare e misurare quella che per tutti oggi è l’unità elementare della carica elettrica della materia, la carica dell’Elettrone. E, come avverrà con i Pentaquark, se fossero scoperti i Quark isolati, quel risultato consegnò a Millikan il premio Nobel nel 1923. Fairbank e colleghi sostituirono alle gocce d’olio delle sfere di Niobio, un materiale superconduttore, tenendole in sospensione sfruttando la levitazione magnetica per bilanciare la Gravità. Dopo avere monitorato accuratamente il modo in cui le singole sfere si muovevano sotto l’effetto di un campo elettrico variabile, il gruppo di Fairbank affermò di avere misurato la presenza di cariche frazionarie pari a +1/3 e -1/3 dell’unità di carica elettrica. Dopo la pubblicazione di questo risultato, il fisico statunitense Luis Alvarez, premio Nobel nel 1968, animato da giustificato sospetto, suggerì di ripetere l’esperimento facendo un’analisi alla cieca dei dati ottenuti, aggiungendo cioè valori casuali e sconosciuti alle cariche elettriche misurate, in modo che chi conduceva l’esperimento non conoscesse il reale valore delle singole cariche fino al completamento dell’analisi dei dati. Metodi analoghi sono applicati anche oggi nei moderni esperimenti, per evitare che la pressione di eventuali pregiudizi condizioni l’analisi e porti a una falsa interpretazione dei dati, facendo emergere forzatamente il risultato atteso. La procedura fu applicata a un nuovo insieme di dati dell’esperimento di Fairbank e, quando l’analisi fu conclusa, il valore dei numeri casuali fu reso pubblico e sottratto alle cariche misurate. Dopo l’apertura (unblinding) l’esito dell’esperimento non mostrava più la quantizzazione della carica a +1/3 o -1/3. L’analisi alla cieca portava quindi a risultati in disaccordo con quanto pubblicato da Fairbank: non c’era alcuna evidenza di cariche frazionarie libere. Già alcuni anni prima, a partire dal 1966 e per una quindicina d’anni a seguire, era stata condotta anche a Genova, dal fisico Giacomo Morpurgo, una lunga sperimentazione che sfruttava la levitazione magnetica di piccole sfere e grani di grafite, senza che fosse mai osservato il minimo segnale della presenza di cariche elettriche frazionarie libere. È ormai opinione comune che l’esperimento di Fairbank sia stato affetto da qualche influenza esterna, forse un effetto di fondo magnetico, e che dunque non abbia realmente osservato Quark liberi. Ma le gocce d’olio di Millikan hanno continuato ad ispirare i fisici anche dopo l’esperienza di Fairbank. Sempre con l’idea di verificare la presenza di cariche frazionarie, la sola firma possibile dell’esistenza dei Quark liberi, nel 1996 un gruppo di ricercatori condotto da Martin Perl ripropose nei laboratori americani dell’acceleratore Slac di Stanford l’esperimento delle gocce d’olio. La prova condotta da Perl ripercorreva quella di Fairbank, con poche ma significative differenze: l’uso di uno stroboscopio e di una videocamera permise al gruppo di monitorare automaticamente milioni di gocce, ottenendo valori molto precisi del diametro di ogni goccia, della loro velocità finale e della carica elettrica. In tutto, l’esperimento mostrò che, se ci fossero Quark isolati con cariche ±1/3 o ±2/3, allora questi sarebbero presenti in quantità inferiori a uno su centinaia di miliardi di miliardi di Protoni e Neutroni. Questo non permette di affermare che i Quark liberi non esistono. E la cosa è per definizione impossibile da dimostrare sperimentalmente. Risultati come quello di Perl consentono soltanto di concludere che è molto improbabile che i Quark isolati esistano o che, se esistono, sono estremamente rari. Mai dire mai.

© Nicola Facciolini

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