Non si educa alla libertà con metodi che portano all’obbedienza

La paura di sbagliare ci fa sentire impotenti? Quanto il nostro senso di inadeguatezza ci blocca e ci frena? Quanto di ciò che facciamo è spinto dal desiderio di approvazione? Spesso non riusciamo ad essere in connessione con i nostri reali desideri perché sopraffatti da pregiudizi e doveri… Stiamo attraversando un periodo di grandi trasformazioni […]

La paura di sbagliare ci fa sentire impotenti? Quanto il nostro senso di inadeguatezza ci blocca e ci frena? Quanto di ciò che facciamo è spinto dal desiderio di approvazione?

Spesso non riusciamo ad essere in connessione con i nostri reali desideri perché sopraffatti da pregiudizi e doveri…

Stiamo attraversando un periodo di grandi trasformazioni a tutti i livelli. Pensare ancora che questo sia il mondo migliore che possiamo aspettarci significa non accorgersi che la crisi ambientale ed economico-finanziaria che stiamo vivendo è solo il riflesso di una crisi umana senza precedenti. Essa sta mettendo a rischio la sopravvivenza del pianeta terra e di quanti lo abitano. L’analisi quindi di ciò che è stato fatto fino ad ora, soprattutto in campo educativo, è doverosa visti i risultati che ha prodotto.

I nostri attuali modelli educativi tendono a classificare e a giudicare ogni cosa che facciamo. A scuola ciò che produciamo viene valutato secondo una scala numerica. A casa l’educazione viene spesso ancora impartita con ordini, sgridate, divieti e castighi. I premi spettano ai “più bravi” e le punizioni ai “monelli”. Impariamo che dobbiamo guadagnarci l’amore e la stima degli altri, la loro fiducia. Impariamo ad essere dipendenti, docili e obbedienti.

E’ necessario dunque essere consapevoli che una relazione basata sulla paura diventa direttiva e coercitiva, produce nell’individuo frustrazione e insoddisfazione che può sfociare, per chi si ribella, in violenza e dipendenze di vario genere. In un contesto di questo tipo siamo cresciuti senza dare troppa importanza a quello che accade dentro di noi. Per questo tendiamo a scollegarci dalla nostra interiorità che non corrisponde a ciò che viene richiesto dal mondo esterno. Disimpariamo a comunicare con il cuore e usiamo atteggiamenti e parole che alienano dalla vita. Ci domandiamo se quello che pensiamo sia giusto o sbagliato e viviamo un dualismo che ci divide nel profondo del nostro essere. Così restiamo fermi nelle nostre paure e insicurezze in balia di ciò che gli altri hanno già deciso per noi.

Non siamo più in grado di esprimerci ed ascoltarci in modo empatico per non strumentalizzare le persone, come suggerisce Marshall Rosenberg ideatore della Comunicazione Nonviolenta (fondatore dei Servizi Educativi del CNVC – The Centre for Nonviolent Comunication), che riprende il termine “nonviolenza” nel modo in cui lo usava Gandhi.

“La CNV si basa su abilità di linguaggio e di comunicazione che rafforzano la nostra capacità di rimanere umani… Il suo scopo è quello di farci ricordare ciò che già sappiamo” M. Rosemberg

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Da troppo tempo esiste una concezione piramidale nell’ordinamento delle cose che ha determinato un sistema asimmetrico nelle relazioni tra le persone. Ciò ha creato le basi della subordinazione e della gerarchia: un modello che ha origini molto lontane nella storia e nella cultura. Siamo ancora abituati a pensare che sia naturale che ci sia qualcuno che comanda e altri che obbediscono, anche se è trascorso un po’ di tempo dalla Costituzione della Repubblica Italiana (1947) nella quale è chiaramente indicato come costruire una società in cui la persona sia capace di esercitare la propria libertà.

Lo dice con molta forza il magistrato Gherardo Colombo quando scrive “Una cosa è certa: non si può educare alla libertà usando metodi che portano all’obbedienza” nel libro “Imparare la libertà” scritto con l’insegnante Elena Passerini.

Oggi, dopo circa settant’anni dalla delibera di quella Assemblea Costituente, è più che mai necessario ed urgente superare questi vecchi concetti affinché tutti possano godere di pari dignità sociale che va oltre le distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica e di condizioni personali e sociali come sancito nell’articolo 3 della Costituzione.

Eppure ci sono state e ci sono ancora persone che credono e lavorano per cambiare la situazione partendo dall’individuo. Parlo di pionieri che hanno avuto grande seguito come Maria Montessori e Rudolf Steiner, per citarne alcuni fra i più conosciuti. Penso a “maestri” d’eccezione come ad esempio Mario Lodi, Don Milani eGianfranco Zavalloni, ma anche di altre persone che con discrezione e costanza cercano ogni giorno di portare il loro contributo al cambiamento: genitori, insegnanti, educatori, pedagogisti che per primi hanno il compito di formare le nuove generazioni ma anche economisti, registi, scrittori…

Un educatore ancora poco conosciuto in Italia è certamente Arno Stern creatore del Closlieu (originale laboratorio espressivo di pittura).

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La sua pedagogia rivoluzionaria inizia a trovare qualche consenso in più oggi quando, ormai più che novantenne, può mettere a nostra disposizione oltre settant’anni di esperienza in campo educativo. Egli lavora ancora instancabilmente per salvare i bambini dall’omologazione che li sta opprimendo. Ancora conduce stage di formazione e conferenze in tutto il mondo parlando di Educazione Creatrice. La sua pedagogia oppone al condizionamento e alla dipendenza un percorso verso l’autonomia dell’individuo e l’affermazione delle sue peculiari potenzialità. Per seguire questa pratica educativa e quindi per realizzare qualcosa di nuovo bisogna partire dal nostro immaginario. É necessario attingere a qualcosa di noi che è stato a lungo soffocato, domato, represso. C’è bisogno di un’ecologia dell’infanzia come propone Andrè Stern (figlio di Arno Stern): un modo di accompagnare i bambini fin dal concepimento a scoprire la loro vera natura (hwww.ecologiedelenfance.com). Dobbiamo ridare spazio a quelle attività espressive (teatro, musica, pittura, danza) che favoriscono un maggior coinvolgimento dei sensi.

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Cosa accade dunque in un gruppo di persone quando, durante lo svolgimento di un’attività come la pittura nel Closlieu, viene sospeso il giudizio? Nel Gioco del Dipingere (ideato da Arno Stern) la pittura diviene mezzo educativo e formativo della persona. I rapporti, sganciati dal condizionamento e dalla competizione permettono all’individuo di realizzarsi in mezzo agli altri e non contro gli altri. Il Praticien (Servente del Gioco del Dipingere) riporta l’attenzione sull’esperienza e sull’importanza del processo creativo, sulla cura e sull’impegno nel fare. Il prodotto finale non viene classificato, screditato o lodato ma semplicemente accolto. Si recupera così il piacere di fare per se stessi e non per compiacere gli altri. Ritorna l’entusiasmo: l’impulso che guida ogni nostro apprendimento. Non ci sono quindi programmi prestabiliti da seguire, obbiettivi da raggiungere. Si risponde solo alla primordiale necessità di esprimere una traccia che sgorga dalle profondità della nostra memoria organica (la memoria delle sensazioni registrate nell’utero materno).

Mettere dei vincoli, fare degli esercizi di copiatura con modelli a cui fare riferimento equivale a negare l’individualità.

La figura del Praticien può davvero diventare fonte d’ispirazione per quanti desiderano cambiare prospettiva. La sua attitudine principale è di avere immensa fiducia nelle capacità innate del bambino: un essere che la natura ha dotato di tutto quanto gli serve per vivere.

Questi temi verranno affrontati in un seminario dal titolo “Libertà di espressione, libertà nella relazione” il prossimo 9 aprile presso l’Associazione “Il Cerchio” Atelier d’Espressione. Nella giornata si alterneranno laboratori pratici ed esperienziali, presentazioni e confronto. Un modo per ripartire da noi iniziando questo lavoro di destrutturazione che rimetterà in luce le nostre migliori qualità…e oggi essere persone felici ed entusiaste è ciò che dobbiamo alle nuove generazioni.

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