Tumori, la fertilità è preservata solo nel 10% delle pazienti under 40

Meno del 10% delle donne che hanno avuto una diagnosi di tumore accede a una delle tecniche di preservazione della fertilità. Il numero è leggermente superiore fra gli uomini, ma ancora troppo basso. Nel nostro Paese vi sono 319 oncologie e sono 178 i centri di procreazione medicalmente assistita che applicano non solo la fecondazione […]

Meno del 10% delle donne che hanno avuto una diagnosi di tumore accede a una delle tecniche di preservazione della fertilità. Il numero è leggermente superiore fra gli uomini, ma ancora troppo basso.

Nel nostro Paese vi sono 319 oncologie e sono 178 i centri di procreazione medicalmente assistita che applicano non solo la fecondazione in vitro, ma anche la crioconservazione (cioè il congelamento e la conservazione a temperature bassissime) dei gameti.

“Ma va migliorata la comunicazione fra le due realtà- fanno sapere gli esperti- e va promossa la rete nazionale dei centri di oncofertilità che consenta ai pazienti di rivolgersi astrutture pubbliche specializzate e organizzate per fare fronte a tutte le loro esigenze”.

La richiesta è contenuta nelle ‘Raccomandazioni sull’Oncofertilità’ firmate da Aiom (Associazione italiana di Oncologia Medica), Sie (Società italiana di Endocrinologia) e Sigo (Società italiana di Ginecologia e Ostetrica) e presentate oggi nel corso di una conferenza stampa a Roma. Nel nostro Paese, intanto, ogni anno circa 8mila cittadini under 40 (5mila donne e 3mila uomini) sono colpiti da tumore, 30 ogni giorno, pari a circa il 3% del numero totale delle nuove diagnosi.

Il desiderio di diventare genitori dopo la malattia è stato per troppo tempo sottovalutato– ha spiegato Paolo Scollo, presidente Sigo- Questo documento, indirizzato alle istituzioni, riassume i principi chiave da seguire per un cambiamento sostanziale. In ogni Regione dovrebbe essere istituito almeno un centro di riferimento in cui operino team multidisciplinari composti da ginecologi, senologi, andrologi, biologi e psicologi collegati in rete con i centri oncologici ed ematologici che abbiano esperienza nella gestione di pazienti in età fertile. Bastano poche strutture specializzate distribuite su tutto il territorio nazionale a cui devono fare riferimento altri centri connessi, in modo da realizzare un sistema efficiente ed efficace, senza spreco di risorse e con un’immediata attivazione e potenziamento delle strutture riconosciute idonee e già operanti in Italia. In questo modo potranno essere applicati i più aggiornati e validati strumenti diagnostici, terapeutici, laboratoristici e chirurgici così da garantire ai malati un percorso di cura appropriato e uniforme in tutta Italia”.

LE TECNICHE

Le principali tecniche di preservazione della fertilità nella donna sono costituite dalla crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico e dall’utilizzo di farmaci (analoghi LH-RH) per proteggere le ovaie, mentre nell’uomo dalla crioconservazione del seme o del tessuto testicolare. Il materiale biologico può rimanere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. “Per i cittadini- ha proseguito Giuseppe Procopio, consigliere nazionale Aiom- la rete costituirà un grande vantaggio perché, dal momento in cui al paziente viene diagnosticata una neoplasia, l’oncologo sarà in grado di metterlo direttamente in contatto con il centro pubblico di riferimento per procedere, dopo adeguato counselling, alla crioconservazione dei gameti prima dell’inizio delle terapie, bypassando tutte le liste di attesa. La consulenza specialistica dovrà infatti avvenire entro 24-48 ore. Diversamente da quanto accade nell’uomo, nella donna l’utilizzo di alcune di queste tecniche è associato a un ritardo nell’inizio dei trattamenti antineoplastici: da qui l’importanza di avviare quanto prima le pazienti agli esperti in questo campo. Questo sicuramente è un ambito che necessita di un’implementazione della sanità pubblica”.

I TUMORI E LA GRAVIDANZA

I più comuni tipi di cancro nei giovani sono rappresentati nell’uomo dal tumore del testicolo, del colon-retto, della tiroide, dal melanoma e dal linfoma non Hodgkin, mentre nella donna dal carcinoma mammario, della tiroide, della cervice uterina, del colon-retto e dal melanoma.

“Chiediamo al ministro della Salute- ha sottolineato Andrea Lenzi, presidente Sie- di attivare un confronto con le società scientifiche per programmare il numero, le dimensioni, la distribuzione territoriale e i volumi minimi di attività per la definizione di un centro. Uno dei nostri obiettivi è anche migliorare fra i clinici la cultura della preservazione della fertilità dopo il cancro”. Nelle giovani sottoposte a trattamenti antitumorali, sono due le preoccupazioni principali nei confronti di una gravidanza, talvolta condivise anche dai medici: da un lato i possibili effetti nocivi delle terapie sullo sviluppo del bambino, dall’altro le conseguenze della gestazione sulla donna in termini diripresa della malattia, in particolare in caso di neoplasie ormono-sensibili come quelle del seno.

“Riguardo al primo punto- ha aggiunto ancora Scollo- i dati disponibili non dimostrano un aumento del rischio di difetti genetici o di altro tipo nei bambini nati da donne precedentemente sottoposte a terapie antineoplastiche. Per quanto riguarda il secondo aspetto, oggi è noto che le pazienti che hanno avuto un figlio dopo la diagnosi di tumore mammario non hanno una prognosi peggiore rispetto alle altre. Al contrario, i risultati di uno studio, condotto su 1.244 donne, segnalerebbero addirittura un effetto protettivo della gestazione, con una significativa riduzione del rischio di morte. Va quindi ritenuta definitivamente caduta la storica controindicazione alla gravidanza nelle pazienti con pregresso carcinoma mammario. Nonostante non sussistano reali controindicazioni, la quota di coloro che hanno almeno un figlio dopo la diagnosi di carcinoma mammario è tuttora molto bassa: solo il 3% tra le donne di età inferiore a 45 anni e l’8% se si considerano le under 35″.

Anche per i giovani pazienti di sesso maschile, in assenza di una sindrome neoplastica ereditaria, non esiste alcuna evidenza scientifica che una precedente storia di cancro aumenti il tasso di anormalità congenite o di tumori nella loro prole. “È importante- ha concluso infine Lenzi- che tutte le persone con diagnosi di tumore in età riproduttiva vengano adeguatamente informate della possibile riduzione della fertilità in seguito ai trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, delle strategie oggi disponibili per limitare questo rischio. Le nostre ‘Raccomandazioni’ indicano tutti gli sforzi che dovrebbero essere messi in atto per aumentare lo scambio di informazioni fra i clinici per puntare non solo alla guarigione dei malati, ma anche al mantenimento dei loro obiettivi futuri, compresi quelli di una progettualità familiare”. (Dire)

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