Bambini in guerra

Quando affrontiamo con l’italiano medio il problema della guerra costui si affretta a replicare che l’argomento tutto sommato non gli interessa, essendo di ben altro genere le preoccupazioni che riempiono la sua giornata; un minimo di riflessione imporrebbe per contro risposte più ponderate sull’argomento, se è vero che i conflitti sono in costante aumento e […]

Quando affrontiamo con l’italiano medio il problema della guerra costui si affretta a replicare che l’argomento tutto sommato non gli interessa, essendo di ben altro genere le preoccupazioni che riempiono la sua giornata; un minimo di riflessione imporrebbe per contro risposte più ponderate sull’argomento, se è vero che i conflitti sono in costante aumento e che la piaga del terrorismo dimostra come la violenza non conosca confini e possa essere esportata anche in paesi che da oltre settant’anni convivono con la pace.
Nel momento in cui scrivo i conflitti in corso coinvolgono quasi settanta paesi ed un numero altissimo e difficilmente quantificabile di combattenti, il grosso dei quali non è composto da soldati professionisti ma da semplici cittadini catapultati da un giorno all’altro in una dimensione allucinante e senza via di uscita; il reclutamento avviene sempre più spesso via web, a dimostrazione di come le tecnologie informatiche costituiscano un formidabile strumento per diffondere l’ideologia della morte e rendervi partecipi centinaia di migliaia di sventurati, una inesauribile riserva di carne umana che regimi privi di scrupoli utilizzano per soddisfare le proprie ambizioni di egemonia.

In una situazione del genere al peggio non esistono limiti, ed accade così che all’aumento dei combattenti si accompagni un incremento quasi naturale di quelli in tenera età, i cosiddetti “soldati-bambini”, fenomeno quest’ultimo tutt’altro che recente ma che negli ultimi tempi ha assunto sviluppi tali da assumere quasi il carattere della normalità.
Secondo una serie di studi compiuti prevalentemente dall’Unicef allo stato attuale sarebbero più di 300.000 i minori di 18 anni impiegati in eserciti o milizie belligeranti che dir si voglia ed impegnati in quanto tali in operazioni militari, la maggioranza di costoro ha una età compresa tra i 15 ed i 18 anni ma, dato ulteriormente allarmante, l’età degli aspiranti combattenti tende ad abbassarsi e a scivolare fino ai dieci anni, il che dimostra come l’arruolamento di questi sventurati sia un fenomeno in costante ascesa che le parti in conflitto intendono sfruttare fino in fondo, senza farsi scrupolo delle Convenzioni internazionali ed in barba ai più elementari principi di civiltà.

Un dramma del genere, ampiamente sottovalutato dai media, registra la maggiore penetrazione in Africa vuoi per l’alto numero di guerre che per una cultura della violenza più radicata che altrove ed alimentata generosamente da motivazioni politiche, etniche e religiose, tuttavia la prassi di reclutare dei bambini-soldato è talmente diffusa da toccare tutti i teatri bellici e da interessare oltre venti paesi, in particolare Repubblica Democratica del Congo, Sudan del Sud, Somalia, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Siria, Yemen, Iraq, Filippine ed Afghanistan, mentre l’Etiopia registra il triste primato del più alto numero di ragazze in armi, costrette queste ultime non solo ad imbracciare un fucile ma anche a subire violenze sessuali e a vivere in condizioni di schiavitù.
I bambini-soldato rappresentano senza alcun dubbio l’aspetto più aberrante delle guerra e l’eredità più pesante che i conflitti lasciano dietro di sé, e chi di loro è tanto fortunato da sopravvivere ai combattimenti avrà un’esistenza segnata per sempre da problemi fisici (altissimo è il numero di coloro che contraggono l’Aids e malattie a sfondo sessuale), patologie psichiche e difficoltà di reinserimento sociale, mentre per le ragazze la prostituzione rappresenta l’immancabile finale di una esperienza da incubo.
E’ bene rimarcare come in questi tunnel degli orrori non si finisca per scelta ma per pura ed autentica costrizione, dunque in seguito ad un reclutamento forzato fatto di violenze e sequestri, ed anche quando l’adesione alle armi ha una parvenza di volontarietà essa in realtà è la conseguenza di situazioni che non lasciano alternative di sorta, nello specifico traumi familiari, condizioni di povertà estrema e di accentuato disagio sociale o, più semplicemente, la disgrazia di vivere in una zona di guerra ed in cui anche i più piccoli sono destinati immancabilmente a combattere.

Il diritto internazionale non è rimasto a guardare ma le norme, che pure esistono, si rivelano insufficienti a frenare un simile fenomeno: il Protocollo opzionale alla convenzione sui diritti del fanciullo, datato 2000, proibisce senza mezzi termini l’utilizzo nei conflitti armati dei minori di anni diciotto, mentre lo Statuto della Corte Penale Internazionale del 1998 definisce tale arruolamento come un crimine di guerra, una normativa alquanto esplicita di cui però né gli stati direttamente coinvolti né i gruppi terroristici sembrano tener conto.

Al contrario l’impiego sui fronti di guerra di soggetti minorenni si va decisamente accentuando, facilitato da una serie di circostanze fin troppo elementari; i minori sono particolarmente sensibili e dunque subiscono più di altri il richiamo del fanatismo religioso o della propaganda di stampo ideologico, che attecchiscono a meraviglia su soggetti immaturi ed in quanto tali fragili; a ciò si aggiungano condizioni di ignoranza e di povertà estrema e si comprenderà appieno come in molti paesi, soprattutto dell’Africa, la piaga dei bambini-soldato sia destinata ad avere lunga vita.
Quest’ultimi vengono arruolati, spesso senza rendersene conto, da soggetti privi di scrupoli o a seguito di un efficace indottrinamento condotto anche via web, ed una volta imbracciato un fucile si trovano catapultati in una dimensione allucinante nel duplice ruolo di carnefici e vittime; chi decide di servirsene sa benissimo di avere a disposizione una riserva inesauribile di aspiranti combattenti e di agire su di un terreno particolarmente favorevole, fatto di illegalità e corruzione e della possibilità di disporre di armi in quantità industriale.

Gli eserciti regolari fino a questo momento hanno fatto la parte del leone nell’utilizzo di questi innocenti a fini militari, situazione esemplificata alla perfezione dalla recente guerra del Congo (1998-2003) in cui hanno combattuto migliaia di adolescenti, mentre un rapporto dell’Unicef del 2014 ha stabilito che nella Repubblica Centrafricana diecimila bambini sarebbero stati impiegati da gruppi armati e situazioni similari hanno luogo in Ciad, Uganda e Yemen, quel che è peggio il fenomeno è in netta evoluzione ed anche le organizzazioni di stampo terroristico hanno deciso di adeguarvisi.
Accade così che l’Isis non si faccia scrupolo nell’addestrare, utilizzare e, spesso, uccidere, i bambini reclutati nell’ottica di una Jihad senza quartiere; in Siria ed in Iraq lo stato islamico si è in più di una occasione avvalso di ragazzini di 14-13 anni calati loro malgrado nel ruolo di combattenti, portaordini o di insospettabili quanto letali attentatori suicidi ed uno di essi, il siriano Abu al Hassan, a meno di 14 anni si è fatto esplodere nel territorio iracheno di Salahuddin.

L’arruolamento dei bambini soldato è largamente praticato anche dalle formazioni jihadiste del Mali e da quelle della Somalia, che nei confronti dei minorenni attuano da anni un vero e proprio lavaggio del cervello attraverso una propaganda religiosa allucinante che si conclude per questi sventurati con un durissimo addestramento in campi militari regolarmente immortalato sul web, ennesima riprova di come le tecnologie informatiche svolgano un ruolo di primissimo piano anche in vicende del genere.
A ciò si aggiunga la vendita delle armi, emblema di un’industria che non conosce crisi e che ha fatto registrare un aumento delle spese di oltre l’otto per cento negli ultimi cinque anni, agevolando gli arruolamenti di massa e senza distinzioni di età; se dunque le persone più giovani sono maggiormente ricercate perché manipolabili ed indottrinabili con relativa facilità, è parimenti certo che tale prassi trova nella sempre più generosa industria bellica un alleato diabolico ed imbattibile.

Avviluppare gli adolescenti in una rete mortale che li trasforma seduta stante in macchine da guerra e li degrada in una condizione che ha poco o nulla di umano si trasforma così in un modus operandi che non presenta eccessive difficoltà e come tale attuato da una pletora sempre più ampia di soggetti, dai governi legittimamente riconosciuti a formazioni di stampo militare fino ad arrivare alle recenti organizzazioni terroristiche, additate come le principali protagoniste di questo dramma ma che in realtà non fanno altro che adeguarsi ad una linea di condotta largamente condivisa e praticata.

Sarebbe opportuno sottolineare, ma pochissimi lo fanno, che arruolare degli adolescenti in eserciti o formazioni di stampo militare si traduce in un doppio delitto, non solo per la trasformazione di costoro in assassini, spesso inconsapevoli, ma anche perché una esperienza del genere annienta personalità e dignità, privando i diretti interessati di un futuro da esseri umani e consegnandoli ad un presente tetro ed allucinante.

Nessuno ha il diritto di privare un fanciullo del diritto ad una esistenza libera e felice; chi lo fa commette un crimine, chi fa finta di nulla se ne rende complice.

Giuseppe Di Braccio

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