Sociale, storia di Francesco: “Non sono finito sotto terra grazie al rugby”

Francesco e’ un gigante buono. Che ha sofferto, che ha faticato a superare i momenti bui. Ma che, grazie ad una infinita forza di volonta’ e voglia di uscire dalle difficolta’ in cui era finito, alla fine ce l’ha fatta. E non ha dubbi su chi deve ringraziare: il “rugby”. Gia’, perche’ e’ grazie alla […]

Francesco e’ un gigante buono. Che ha sofferto, che ha faticato a superare i momenti bui. Ma che, grazie ad una infinita forza di volonta’ e voglia di uscire dalle difficolta’ in cui era finito, alla fine ce l’ha fatta. E non ha dubbi su chi deve ringraziare: il “rugby”. Gia’, perche’ e’ grazie alla palla ovale, con cui e’ entrato a contatto in carcere, ‘Lorusso e Cotugno’ di Torino, e’ riuscito a cambiare tutto della sua vita. A margine della firma del protocollo ‘Ovale oltre le sbarre’, che ha visto protagonisti il presidente della Federugby Alfredo Gavazzi, il presidente del Coni Giovanni Malago’ e i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria’, la Dire lo ha incontrato. Francesco si e’ raccontato, non ha nascosto gli errori commessi, si e’ fatto riprendere e non ha voluto neanche omettere il proprio cognome (“Deidda, scrivetelo pure, non c’e’ problema”). “Sono un ex detenuto- ha detto Francesco- Sono un prima linea, ho partecipato per due anni al progetto, nel carcere Lorusso e Cotugno di Torino. Ho giocato a rugby per la prima volta. Per me e’ stata una esperienza molto importante, mi ha cambiato la vita radicalmente. Dopo l’ennesima carcerazione, 5 anni in totale, la mia vita e’ cambiata. In carcere non si parlava piu’ di rapine, di violenza, ma di sport, di rugby, di spirito di fratellanza, una cosa bellissima”. Francesco e’ un ex giocatore de ‘La Drola’. Si tratta di una associazione costituita nel maggio 2011 sulla base di uno statuto regolamentare, conforme ai regolamenti della Federugby: i detenuti-giocatori, selezionati attraverso un bando di reclutamento a livello nazionale, sono chiamati a sottoscrivere un codice di comportamento e a rispettare un programma di recupero sviluppato in stretta collaborazione con il personale carcerario ed e’ finalizzato principalmente “a sviluppare uno spirito aggregativo e solidaristico che possa agevolare il reinserimento nella vita sociale”.

Ma non e’ in carcere, in cui e’ finito per reati contro il patrimonio, che Francesco e’ entrato a contatto la prima volta con il rugby: “Sono un ex lottatore, ho fatto lotta greco-romana, vengo da sport individuali. I nostri allenatori ci portavano al campo da rugby, ci davano un pallone e ci dicevano ‘divertitevi’. Questo e’ uno sport di contatto e di squadra”. A questa prima esperienza e’ legato un ricordo forte per Francesco: “In quel periodo pensavo di farmi sei anni. Volevo riflettere, se farmi la galera e finire sottoterra o partecipare al progetto. E io l’ho fatto, rifiutando i domicliari: ho partecipato, mi dicevano ‘sei matto’. I risultati oggi si possono vedere: sono 4 anni che gioco a rugby, ho sposato il mio avvocato, e’ mi e’ nato mio figlio da poco. Che spero sara’ una buona terza linea, spero lo voglia fare. Io un pilone? Ho perso chili e mi hanno messo tallonatore. Ma ora che sono al limite dei 120 kg credo che tornero’ pilone… Sicuramente ora penso a giocare, lo posso fare fino ai 42 anni come prevede la Federazione”, mentre per il futuro vorrebbe “giocare un altro rugby, vorrei tornare indietro e incontrare i ragazzi che sono dentro e spiegare loro quanto mi e’ stato di aiuto. E poi vorrei partire dai bambini, sta partendo il progetto ‘La Drola junior’, coinvolgera’ tanti ragazzini, abbiamo gia’ tanto iscritti e io mi dovro’ relazionare con i genitori. Vogliamo partire dal basso”. Ma perche’ proprio il rugby e non un altro sport, come ad esempio il calcio? “E’ evidente- risponde sorridendo- Per la fratellanza, l’onesta’, il sacrificio. Il fatto che quando vedi un tuo fratello che soffre, trovi forze che pensavi non avere. Per esempio avevo degli screzi con dei compagni di carcere, ma con una partita abbiamo fatto pace”. Un pensiero va alla mamma, “che prima veniva a trovarmi in carcere, ora invece e’ felice ed e’ nonna”.

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