E tre

Domenico Cardarelli, romano, 39 anni, è il terzo decesso nel carcere di Sulmona dall’inizio dell’anno, il 13° in dieci anni e il numero 11 quanto a suicidi. Il cadavere è stato rinvenuto ieri, 11 aprile, dal compagno di cella e secondo il referto del medico del carcere, la morte è avvenuta per edema polmonare da […]

Domenico Cardarelli, romano, 39 anni, è il terzo decesso nel carcere di Sulmona dall’inizio dell’anno, il 13° in dieci anni e il numero 11 quanto a suicidi. Il cadavere è stato rinvenuto ieri, 11 aprile, dal compagno di cella e secondo il referto del medico del carcere, la morte è avvenuta per edema polmonare da overdose. Naturalmente è stata aperta un’inchiesta per chiarire meglio le circostanze, ma intanto i dati forniti dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, ci ricordano che nel 2009 i decessi nei penitenziari sono stati 175 (di cui 72 suicidi) e dal 2000 ad oggi 1.651 (578 i suicidi):  “Numeri impressionanti – ha sottolineato l’Osservatorio – se si tiene conto che la popolazione detenuta è costituita prevalentemente da persone giovani. Se la stessa frequenza dei decessi in carcere si verificasse nell’intera popolazione italiana assisteremmo ogni anno alla scomparsa di tanti under 40 quanti ne abitano in una città delle dimensioni di Firenze”. Nelle carceri, rileva ancora l’Osservatorio, “si muore così spesso perché negli ultimi 20 anni sono diventate il ricettacolo di tutti i disagi umani e sociali, con decine di migliaia di detenuti tossicodipendenti, 5 o 6mila malati di mente, migliaia di sieropositivi Hiv. Una recente ricerca della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria ha riscontrato che soltanto il 20% dei detenuti è in buone condizioni di salute. Ma si muore anche perché le condizioni detentive sono sempre più difficili: il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti, il personale adibito al ‘trattamento’ e alla sorveglianza è sempre più scarso, il lavoro per i detenuti sempre meno, negli ultimi 3 anni le risorse destinate alle ‘mercedi’ per i detenuti lavoranti sono diminuite del 32%, da 71 milioni a 48 milioni”. Ciò vuol dire che in carcere “c’è maggiore povertà, che la manutenzione e le pulizie sono meno curate, che i detenuti trascorrono più ore in cella”, sottolinea l’Osservatorio, mentre in molti penitenziari “mancano anche i prodotti per la pulizia personale, carta igienica e sapone vengono forniti dal volontariato, la Regione Toscana ha dovuto comperare i materassi per 4.500 detenuti, il vitto giornaliero è fornito dall’Amministrazione con una spesa complessiva di 3 euro a detenuto con la qualità e quantità che si possono immaginare”. Di sicuro il risultato del nostro sistema giudiziario è quello di annientare i detenuti e ci si chiede se veramente è questo il sistema voluto dal popolo, se veramente le sentenze dei tribunali sono emesse in nome del popolo italiano, come è scritto in ogni aula di tribunale, poiché  questo sistema non mette al centro l’uomo, bensì qualcosa d’altro. Mentre si preparano i festeggiamenti per i 150 anni della nostra Repubblica, casi come questi ci rimordono frasi imparate sui banchi di scuola, del tipo: “Ora che l’Italia è fatta dobbiamo pensare a fare gli italiani” e, ancora “Governare gli italiani non è difficile: è inutile”. In circostanze come queste si sentono ancora risuonare le fucilate del generale di Casa Savoia, Bava Beccalis, che sparava sugli scioperanti di Milano, in tutto eguali a quelle del generale inglese Edward H. Dyer ad Amritsar, con la piccola differenza che gli inglesi sparavano sugli indiani colonizzati e non su loro connazionali e ci si chiede cosa è rimasto del grande insegnamento di cesare Beccarla, in un’Italia ottusamente repressiva e solo punitiva.

Carlo Di Stanislao

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