Generoso Uruguay

Un’Olanda brutta e vincente ed un Uruguay generoso, perfetto ma sconfitto. Una partita splendida ed avvincente, decisa, in fondo, da due giocate micidiali, di due diversi fenomeni. Per tutta la durata dell’incontro “La Celeste” gioca a viso aperto e con orgoglio, rischiando di subire il quarto gol in contropiede, accorciando al 47′ con Pereira, chiudendo […]

Un’Olanda brutta e vincente ed un Uruguay generoso, perfetto ma sconfitto. Una partita splendida ed avvincente, decisa, in fondo, da due giocate micidiali, di due diversi fenomeni. Per tutta la durata dell’incontro “La Celeste” gioca a viso aperto e con orgoglio, rischiando di subire il quarto gol in contropiede, accorciando al 47′ con Pereira, chiudendo gli “Orange” nella loro area, ma non riuscendo a portare in finale il calcio Sudamericano. Perde l’Uruguay, vince l’Olanda a dispetto di una prestazione scricchiolante, con una squadra che non riesce a capitalizzare lo Jabulani-gol del capitano Giovanni Van Bronckhorst, che azzecca, anche grazie al volatile pallone 2010, un sinistro su cui Muslera fa la figura del pollo. Il vantaggio è un grande aout per una squadra arancione che però, pur cercando di imprimere il suo marchio alla partita, non riesce a scavare il fossato, a creare problemi se non sfruttando le pochezze del lato sinistro della difesa uruguagia, presidiata dal fresco ex-juventino Caceres. Il vecchio maestro Tabarez ha detto di non mollare ed il quartetto di grandi solisti olandesi è dentro fino al collo nella ragnatela sudamericana, retta dai “sette polmoni” Arevalo e Gargano, lasciato in naftalina nella prima parte del cammino mondiale. Neanche l’ingresso di van der Vaart, che si installa alle spalle dei trequartisti, restituisce un minimo di geometria e di supremazia all’Olanda, che ha come unica arma la velocità e la tecnica di Arijen Robben. L’intero Uruguay ci aveva creduto, il miracolo era a un passo e la squadra ha venduto cara la pelle. Erano 40 anni che la nazione del Rio de la Plata non vedeva una propria Nazionale entrare tra le prime quattro in un mondiale ed anche se la sconfitta un po’ amareggia, la partita giocata è tale da inorgoglire chiunque. Nonostante le cattive condizioni meteo, in tanti – da neonati con i genitori a signori anziani – hanno seguito la partita nella Plaza Independencia e negli altri punti della Capitale, dove erano state piazzati i mega-schermi tv. Dappertutto sembrava dominare un unico colore, il ‘celeste’, con il quale un gruppo di sconosciuti ha dipinto una statua di Giovanni Paolo II, in mezzo alla città, forse nella speranza di un ‘aiuto divino’. Nel tardo pomeriggio, sulle ‘rambla’, il bel lungomare in faccia all’oceano sonante, in tanti commentavano la ‘partitona’ del bomber Diego Forlan e compagni e l’impresa dell’intera squadra guidata da Oscar ‘maestro’ Tabarez. ”E’ finita l’odissea’, titolava malinconicamente il principale quotidiano locale, El Pais, ma le parole sotto, mostravano un orgoglio ancora intero e niente affatto ferito. Quando la squadra tornerà a casa, comunque andrà la partita per il terzo e quarto posto, sarà accolta in modo trionfale. Le due coppe vinte nel 30 e nel ’50, sembreranno più vicine e si parlerà a lungo del ritorno di un tipo di calcio fatto di cuore, oltre che di tecnica e sportività. La prestazione de la “Celeste” è stata una grande impresa che ha coniugato la propensione alla nostalgia con l’ottimismo verso il futuro: sentimenti molto diffusi in questo Paese. Il cammino dell’Uruguay in questo primo mondiale africano, inizia con un beneaugurante 5-0 rifilato a Montevideo alla Bolivia. Il prosieguo, però, è tutt’altro che facile: le successive 15 partite portano alla Celeste solo 4 vittorie, a fronte di 6 pareggi e 5 sconfitte. l 4 dicembre 2009 il sorteggio di Città del Capo inserisce l’Uruguay nel gruppo A, contro i padroni di casa del Sudafrica, il Messico e la Francia. Il 2 luglio al First National Bank Stadium di Johannesburg, l’Uruguay affronta il Ghana che supera solo ai calci di rigore. Nella partita con l’Olanda l’Uraguay ha dato tutto, giocando con cervello e con cuore e regalando una grande emozione all’intero mondo del calcio. Il 10 luglio, al Nelson Mandela Bay Stadium di Port Elizabeth, l’Uruguay affronterà la perdente di Spagna-Germania nella finale per il 3° e 4° posto e state pur certi che molti italiani tiferanno “celeste”: squadra che lotta su ogni pallone, simboleggiata da Forlan, giocatore con classe, ma soprattutto con tanto cuore. Guardandolo mi pare di rivedere il grande Schiaffino, raccontatomi da mio padre, “el maracanazo”, “l’interno impareggiabile” delle note di Gianni Brera, il vero eroe della vittoria della “celeste” per 2-1 contro il Brasile, il 18 luglio del 1950. Col Milan vinse scudetti guidando la squadra attraverso le invisibili redini di un carisma inarrivabile e sfiorò , nel 1958 all’Heysel, la conquista della Coppa Campioni, persa ai supplementari con il Real Madrid, in una gara dove brillò, ormai anziano, più del grande Di Stefano. In Italia confermò il suo carattere difficile “e il suo talento incommensurabile che ora, sembra aver assunto la forma più gentile e meno spigolosa di Diego Forlan. Vincitore per due volte de La Scarpa D’Oro, cosa cheè capitata pochissime volte nella storia di questo trofeo, Diego da ragazzo voleva dedicarsi al tennis, ma il padre Pablo è riuscito, per fortuna, ha portarlo sui campi di calcio. Pablo giocò nel giugno 1974 ad Hamnnover, con la sua “celeste” e contro l’Olanda di allora, venendo sconfitto 2-0, ma uscendo dal campo (lui e la squadra) anche allora a testa alta. Fu quello l’inizio del periodo noto come “Arancia Meccanica” olandese: capelli lunghi, mogli al seguito e calcio totale nella valigia. Chissà che questo nuovo incontro “celeste-arancio”, non significhi una rinascita per la nazione europea. Anche questo, comunque, sarà merito dell’Uruguay, statura di eroi più simpatici di coloro che hanno sconfitto senza minimamente piegare.

Carlo Di Stanislao

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