Tra brogli, scontri e bassa affluenza

In Egitto elezioni sospette, fra brogli e pestaggi. Dicono gli osservatori che stavolta il regime ha oltrepassato ogni limite nel fabbricare l’esito del voto tanto da suscitare la “costernazione” anche degli accondiscendenti alleati americani. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley, ha denunciato le intimidazioni attuate delle forze di sicurezza che hanno minato la trasparenza […]

In Egitto elezioni sospette, fra brogli e pestaggi. Dicono gli osservatori che stavolta il regime ha oltrepassato ogni limite nel fabbricare l’esito del voto tanto da suscitare la “costernazione” anche degli accondiscendenti alleati americani. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley, ha denunciato le intimidazioni attuate delle forze di sicurezza che hanno minato la trasparenza e la regolarità delle votazioni alle quali, dicono le Ong egiziane, avrebbero preso parte solo il 10% degli aventi diritto (il governo parla del 25%). Per il governo invece tutto è andato per il meglio e non ci sono state irregolarità. Il ministro per l’informazione Anas el Fekki ha affermato che alcuni episodi di violenza (due morti nella regione del Delta e sette feriti ad Assiut) non hanno inciso sullo svolgimento e sull’integrità delle elezioni. Ieri, durante una conferenza stampa,  i leader dei Fratelli Musulmani, commentando risultati delle elezioni che hanno visto la loro organizzazione non ottenere alcun candidato eletto al primo turno e solo 13 andare al ballottaggio, il 5 dicembre, hanno annunciato che con ogni probabilità si ritireranno totalmente dal voto. “I brogli a cui abbiamo assistito sono palesi”, ha denunciato inoltre sul sito il movimento islamico che è comunque fuorilegge e  che cita come esempio il caso della sezione elettorale 234 dove c’erano 378 voti validi e nessuna scheda annullata. I candidati del Pnd in quella sezione, aggiunge il sito, hanno ottenuto 910 voti mentre il candidato islamico non ha ottenuto alcuna preferenza. Per il presidente del partito Tagammu (sinistra), Rifat al Said, queste elezioni “sono state le peggiori mai tenute in Egitto”. Secondo i dati sin’ora disponibili, il Pnd ha conquistato 107 dei 508 seggi della Camera bassa,  ma è probabile che arrivi ai 2/3 contando gli “indipendenti” che in realtà fanno capo al partito di Mubarak. In Egitto si svolgono elezioni parlamentari fin dal 1824, e anche se il paese non è mai stato una democrazia ed i partiti politici furono messi al bando fra il 1952 e il 1977, le elezioni sono teatro di accese contestazioni. I candidati spesso concorrono per il prestigio e i vantaggi che offre un seggio all’Assemblea del Popolo, piuttosto che per promuovere un programma elettorale specifico. Negli ultimi anni, la maggior parte degli aventi diritto al voto non è andata alle urne, con un’affluenza intorno al 25% alle ultime elezioni del 2005. Le elezioni 2010 per il rinnovo dell’Assemblea del Popolo,  sono un insieme di vecchio e nuovo. I principi base dell’apparato elettorale rimangono invariati, con un sistema basato su collegi uninominali in cui i candidati devono ottenere almeno il 50% delle preferenze per essere eletti. Questo tipo di elezioni si svolge in Egitto sin dagli anni ’90, dopo un breve esperimento con la rappresentanza proporzionale negli anni ’80. L’introduzione delle quote femminili cerca di rimediare ai radicati pregiudizi sociali nei confronti delle donne e delle minoranze, a cui precedentemente cercava di porre rimedio la diretta assegnazione presidenziale di 10 seggi alle donne e ai cristiani. Il secondo turno si svolgerà il 5 dicembre, ma già si prevede la designazione di una Assemblea senza opposizione, come scrive oggi il quotidiano indipendente Al-Chourouq. Brogli e scontri, con forte astensionismo, anche ad Haiti, con molti cittadini che non hanno avuto la possibilità di votare,  perché la legge elettorale prevedeva che lo facessero nel loro luogo di origine, provocando il caos tra le centinaia di migliaia di sfollati che vivono negli accampamenti di emergenza dopo il terremoto dello scorso gennaio. In diverse zone del Paese gli haitiani sono scesi in strada per protestare contro le condizioni in cui si e’ svolta l’importante tornata elettorale, dando vita a scontri e incidenti costati la vita, riportano i media internazionali, ad almeno due persone. Nonostante il voto sia stato ritenuto valido nella maggior parte dei seggi, dodici su 18 candidati alla presidenza hanno chiesto attraverso una lettera l’annullamento dello scrutinio per “un complotto organizzato con la finalità di far vincere” Jude Celestin, candidato del presidente uscente Rene’ Preval. Ma, fonti Onu di oggi,  fanno trapelare i primi dati ufficiosi, il cosiddetto “quick count”, secondo i quali vince Michel Martelly, “Sweet Mickey”, il cantante di Kompa, idolo popolare che aveva annunciato di ritirarsi per i troppi brogli a suo danno, che prende il 39 per cento dei voti. Seconda è la “First Lady”, Mirlande Manigat, moglie di Leslie, il primo presidente del dopo-Duvalier, deposto da un “golpe”, a cui va il 31 per cento. Il grande favorito Jude Celestin, delfino del presidente Prevàl, l’uomo che controllava il comitato elettorale ed era già pronto ad autoproclamarsi presidente, ottiene solo un misero 12 per cento. Si andrà dunque al ballottaggio (16 gennaio) tra Martelly e Manigat. Dubbie anche le elezioni, avvenute dopo 10 anni e fra mille difficoltà, In Costa D’Avorio, Paese in cui,  dopo il ballottaggio del 28 novembre, la situazione è sempre più caotica. Durante la proclamazione del vincitore i sostenitori dell’attuale presidente e candidato Gbagbo, appoggiati da parte della commissione elettorale, hanno stracciato il foglio con i risultati denunciando brogli, e gli oppositori, sostenitori del leader avversario Alassane Ouattara, hanno accusato a loro volta il presidente di voler insabbiare il risultato perché cosciente di essere stato sconfitto. Lo scorso 31 ottobre si sono tenute le presidenziali, senza che alcun candidato raggiungesse il 50 per cento delle preferenze: il presidente Gbagbo è arrivato al 38 per cento, il leader dell’opposizione Ouattara al 32 per cento e l’ex presidente Henri Konan Bedie al 25 per cento. Tre giorni fa si sono affrontati al ballottaggio Gbagbo e Ouattara, e ieri avrebbe dovuto essere annunciato il vincitore. La corrispondente di Al Jazeera ha raccontato la scena, illustrata nella fotografia sopra: quando il presidente della commissione ha tentato di leggere i risultati è stato bloccato da parte degli stessi membri della commissione. È nata una piccola rissa, e qualcuno è riuscito a strappare di mano i documenti al presidente, strappandoli. I sostenitori del presidente Gbagbo accusano i ribelli di aver intimidito, anche con la forza, gli elettorali del nord, per spingerli a votare per lui. Il segretario degli Stati Uniti Hillary Clinton ha chiesto ai leader ivoriani di “agire in maniera responsabile e pacifica”, mentre l’ONU ha decretato che, nonostante qualche irregolarità e violenza, le elezioni si sono svolte correttamente. In seguito all’accaduto si sono sentiti spari a Abidjan, la città più popolosa ed ex capitale della Costa d’Avorio, ma non è chiaro da chi provenissero. Sabato scorso sono invece morte due persone, un militare e un civile, negli scontri tra i sostenitori dei due candidati. Bassa affluenza, infine, ma senza caos, in Catalogna, dove appare la vittoria dei nazionalisti del Ciu e dura la sconfitta dei socialisti del Psc, emanazione locale del Psoe di Jose’ Luis Zapatero. I nazionalisti moderati di Convergencia i Uniò (CiU) tornano al governo in Catalogna dopo sette anni di esecutivi di sinistra, sbaragliando il Partit dels socialistes de Catalunya (Psc), e mandano un inquietante messaggio a Madrid. Guidata da Artur Mas, il successore del ‘padre’ del nazionalismo catalano del dopoguerra Jordi Pujol, Convergencia i Uniò è il partito tradizionale della borghesia imprenditoriale in Catalogna. Su posizioni fortemente autonomiste ma di dialogo con Madrid, e dichiaratamente non indipendentista: fra i nomi che circolano per la carica di assessore all’Economia nel nuovo governo regionale, ad esempio, c’è anche quello di Salvador Alemany, il presidente di Abertis. Oltre al’incremento dell’astensionismo, e al di là degli effetti che il voto avrà sugli equilibri politici catalani, la Spagna guarda soprattutto all’impatto che potrà avere sulla lunga corsa elettorale nazionale che nei prossimi 14 mesi porterà alle politiche del marzo 2012. La popolarità di Zapatero, che ancora non ha chiarito se sarà candidato per la terza volta consecutiva, e’ ai minimi storici, come le intenzioni di voto per il Psoe. Alle politiche del 2008 il forte voto socialista della Catalogna, con quello di Andalusia e Paesi Baschi, aveva fatto la differenza e consentito la vittoria di Zapatero su Rajoy.

Carlo Di Stanislao

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