Texas ridisegna i collegi elettorali, California e New York pronte a rispondere: Obama contesta il redistricting, ecco come funziona

Negli Stati Uniti, la pratica del redistricting – la ridisegno dei confini dei collegi elettorali dopo il censimento decennale – è finita al centro di una disputa quando il Texas ha avviato un intervento straordinario a metà legislatura. Spinto dall’ex presidente Donald Trump, lo Stato mira a modificare la mappa attuale per aggiudicarsi cinque seggi […]

Negli Stati Uniti, la pratica del redistricting – la ridisegno dei confini dei collegi elettorali dopo il censimento decennale – è finita al centro di una disputa quando il Texas ha avviato un intervento straordinario a metà legislatura. Spinto dall’ex presidente Donald Trump, lo Stato mira a modificare la mappa attuale per aggiudicarsi cinque seggi alla Camera dei Rappresentanti prima del 2030, violando la consuetudine che prevede cambi solo dopo il censimento. L’iniziativa è stata segnalata da Reuters e dal Washington Post.

Con la legislazione in vigore oggi, i deputati texani si distribuiscono in 25 seggi repubblicani e 13 democratici. La proposta repubblicana ribalterebbe questa ripartizione a 30-8 a vantaggio del GOP. Per ostacolare il voto sulla nuova mappa, una trentina di deputati democratici ha abbandonato lo Stato – raggiungendo Illinois e New York – per far venir meno il quorum durante la sessione speciale convocata dal governatore Greg Abbott. I legislatori in trasferta rischiano sanzioni di 500 dollari al giorno e sono in corso azioni legali per farli rientrare.

L’ex presidente Barack Obama ha definito il piano texano “un colpo di mano che mina la democrazia”, sottolineando il coinvolgimento del gruppo All On The Line, collegato al National Democratic Redistricting Committee. Eric Holder, ex ministro della Giustizia, lo ha bollato come “un’esistenziale minaccia alla democrazia” e ha auspicato contromisure in Stati controllati dai Democratici.

In California, il governatore Gavin Newsom intende sottoporre ai cittadini un referendum in autunno per autorizzare un nuovo redistricting. In New York, la governatrice Kathy Hochul dichiara di voler esplorare “ogni opzione” per rispondere alla strategia texana. Entrambe le iniziative, tuttavia, scontano ostacoli normativi: in California serve l’ok degli elettori, mentre a New York occorrerebbe una modifica costituzionale. In ogni caso, nuove mappe non potrebbero entrare in vigore prima del 2026.

Secondo i Democratici, il redistricting fuori ciclo erode il diritto di voto delle minoranze, comprime la competizione elettorale e rafforza posizioni già polarizzate. Un’analisi del Brennan Center for Justice mostra che oggi soltanto il 10% dei collegi resta contendibile, a fronte del 40% nei primi anni ’90.

Il termine gerrymandering risale al 1812, quando il governatore del Massachusetts Elbridge Gerry approvò contorni distorti simili a una salamandra per favorire il suo partito. Oggi la manipolazione dei confini è legale se non viola le normative sui diritti civili o le regole statali. La Corte Suprema, nella sentenza Rucho v. Common Cause del 2019, ha stabilito che il gerrymandering politico esula dalla giurisdizione federale, lasciando ampia autonomia agli Stati.

Oltre all’impatto politico, il ridisegno dei distretti può disorientare gli elettori che perdono contatti con i rappresentanti di riferimento, interrompere progetti locali e alterare la distribuzione delle risorse. Quella che era una procedura tecnica sta così diventando un terreno di scontro permanente.

Le elezioni di midterm del 2026 potrebbero rappresentare il banco di prova di questa battaglia. I Repubblicani controllano attualmente la Camera con 219 seggi contro i 212 Democratici. Se il piano texano dovesse tradursi in cinque successi immediati per il GOP, la maggioranza sarebbe rafforzata. D’altro canto, eventuali mappe favorevoli in California e New York potrebbero rendere più incerto il risultato finale, innescando una fase di ulteriore polarizzazione del conflitto politico americano.