Garanzie di sicurezza in Ucraina: significato e Paesi europei pronti a inviare truppe

L’inedita centralità del conflitto ucraino ha fatto emergere con forza le fratture interne all’Unione europea e il ruolo predominante degli Stati Uniti nella sicurezza del continente. Nato per garantire protezione collettiva, l’Alleanza Atlantica resta di fatto un’istituzione sotto comando statunitense, e Washington preme perché i partner europei contribuiscano in misura maggiore alla difesa comune. Il […]

L’inedita centralità del conflitto ucraino ha fatto emergere con forza le fratture interne all’Unione europea e il ruolo predominante degli Stati Uniti nella sicurezza del continente. Nato per garantire protezione collettiva, l’Alleanza Atlantica resta di fatto un’istituzione sotto comando statunitense, e Washington preme perché i partner europei contribuiscano in misura maggiore alla difesa comune.

Il riavvicinamento diplomatico fra Washington e Mosca, assieme alla richiesta di “garanzie di sicurezza” avanzata da Kiev, ha aperto un dibattito acceso sul carico che Bruxelles e i singoli governi dovranno farsi carico. Da un lato gli Stati Uniti manifestano l’intenzione di ridurre l’impegno diretto; dall’altro, i Paesi europei mostrano scarsa volontà o capacità di dispiegare forze armate sul territorio ucraino. In questo quadro, il sostegno al paese guidato da Zelensky rimane principalmente economico, finanziario e materiale, con margini molto limitati di coinvolgimento militare diretto.

Tra le ipotesi al vaglio figura un intervento di tipo “peacekeeping” sul modello ONU, ostacolato però dalla netta opposizione russa, che ha definito “inaccettabile” persino una missione di monitoraggio. Kiev punta dunque all’adesione alla NATO come garanzia primaria, obiettivo al momento impraticabile, e in alternativa a una forma di collegamento rafforzato con l’UE per sé e altri aspiranti membri balcanici.

Qualunque intesa di pace dovrà precedere nuovi impegni militari per evitare un conflitto diretto con Mosca. Tra le opzioni concrete vi è la sorveglianza dello spazio aereo ucraino mediante basi dislocate in Polonia o Romania con supporto statunitense; analogamente, la sicurezza del Mar Nero potrebbe consistere nel contenimento della flotta russa e nella tutela del transito mercantile dai porti di Odessa.

Sul terreno, però, la linea di contatto supera i mille chilometri e la cosiddetta “coalizione dei volenterosi” non dispone di truppe sufficienti a garantire una difesa stabile, neppure nell’eventualità di un tacito consenso russo. Per questo il contributo europeo si concentra soprattutto su addestramento, intelligence, logistica e forniture continue di armamenti e munizioni.

All’interno dell’UE il fronte dei sostenitori di un intervento diretto comprende Regno Unito, Francia, Estonia, Lettonia, Lituania e Belgio. Le motivazioni variano: Parigi mira a colmare eventuali vacuums di leadership culturale in Europa lasciati da Washington; i Paesi baltici e la Polonia temono la pressione storica di Mosca; il Belgio incarna simbolicamente i valori UE di democrazia e diritti.

Dall’altra parte, la maggioranza dei governi – fra cui Italia, Germania, Spagna, Paesi Bassi e perfino la Polonia sul versante degli impegni in Ucraina – rifiuta l’idea di inviare contingenti militari. Roma si muove fra fedeltà agli alleati e desiderio di non compromettere il futuro rapporto con la Russia; Berlino, pur rinunciando alle truppe in prima linea, sta potenziando il proprio settore della difesa e schierando piccoli reparti in Lituania.

In definitiva, il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appare un’ipotesi remota. Il supporto occidentale si consoliderà principalmente sul piano formativo e materiale, mentre resta da definire quali “garanzie di sicurezza” Mosca potrà accettare senza porre il veto a qualsiasi presenza militare europea sul suolo ucraino.