Nepal in rivolta, famiglia italiana si getta dalla finestra dell’hotel per sfuggire alle fiamme

Una famiglia di Parma si è trovata intrappolata nel mezzo di una rivolta scoppiata a Kathmandu, in Nepal, mentre si era recata nel Paese per svolgere attività di volontariato in una scuola per orfani tibetani. Il gruppo – composto da Filippo Reggiani, 48 anni, sua figlia di 11 anni e i genitori settantenni – era […]

Una famiglia di Parma si è trovata intrappolata nel mezzo di una rivolta scoppiata a Kathmandu, in Nepal, mentre si era recata nel Paese per svolgere attività di volontariato in una scuola per orfani tibetani. Il gruppo – composto da Filippo Reggiani, 48 anni, sua figlia di 11 anni e i genitori settantenni – era arrivato in città il 1° settembre con l’associazione Tashi Orphan School, portando materiali di prima necessità, vestiti e persino una macchina da cucire.

“Da tempo facciamo volontariato per una scuola di orfani tibetani – ha raccontato il 48enne –, grazie all’associazione Tashi Orphan school. Abbiamo portato in questa scuola vestiti, scarpe, acqua, matite e persino una macchina da cucire. Già dal primo giorno del nostro arrivo abbiamo iniziato a fare volontariato e mio papà faceva divertire i bambini con i giochi di magia. Ma martedì è successo quello che non doveva accadere”. Bande armate hanno invaso la città, appiccando incendi e bloccando l’accesso all’aeroporto.

Seguendo i consigli della popolazione locale, la famiglia si è rifugiata nell’hotel Hyatt Regency, dove però la situazione è precipitata. “Eravamo circondati da una vera folla inferocita contro il governo e contro tutti – ha proseguito Filippo Reggiani –, Non potevamo andare in aeroporto perché lo avevano già chiuso. Così come suggerito dalla reception dell’albergo dove alloggiavamo, lo Hyatt Regency, ci siamo chiusi in camera e dalla finestra vedevamo la città buia e i fuochi. Purtroppo in tarda serata ci siamo accorti che anche la hall del nostro albergo era in fiamme. E abbiamo provato a uscire dalla camera, ma anche i corridoi erano pieni di fumo. Così siamo tornati nelle nostre stanze. E non sapevamo cosa fare”.

Con i corridoi invasi dal fumo e la hall in fiamme, l’unica via di salvezza sembrava quella di lanciarsi dalla finestra al terzo piano. “Non potevamo scappare. Per impedire che il fumo entrasse in camera abbiamo bagnato le salviette e le abbiamo messe intorno alla porta. Una situazione terrificante. Così mi sono messo a gridare aiuto dalla finestra e un gruppo di ragazzi nepalesi si è accorto che mentre il nostro albergo andava a fuoco. Avevamo molta paura ma non potevamo fare altro. Quei ragazzi hanno sistemato due materassi sotto le nostre finestre e ci hanno buttato una corda da aggiungere alle lenzuola, che avevo legato al letto. Eravamo a una quindicina di metri di altezza e non era certo semplice scendere giù, soprattutto per mio padre che ha 74 anni. Ma mi sono detto: o bruciamo vivi e ci buttiamo giù e proviamo a rimanere vivi”.

Filippo è stato il primo a calarsi con la corda, riportando la frattura di due dita dopo una caduta. Successivamente sono scesi la madre – con distorsione alla caviglia – e la figlia, che non ha riportato danni. Nel tentativo di salvataggio, il padre è caduto sbattendo il volto e fratturandosi una gamba. Il gruppo di ragazzi nepalesi li ha poi guidati per circa 600 metri fino a incontrare l’esercito, che ha provveduto a scortarli in ospedale nonostante la presenza di ribelli armati.

Tutta la famiglia è stata trattata per intossicazione da fumo e ferite: Filippo e la figlia sono stati dimessi in serata, mentre la madre sarà dimessa nei prossimi giorni. Per il padre servirà ancora tempo di recupero. I loro bagagli sono stati recuperati, ma gran parte dei loro effetti personali è andata persa o è stata rubata durante il caos. Grazie a contatti attivati con la Farnesina e all’intervento locale dell’associazione Tashi Orphan School, la famiglia ha trovato un nuovo alloggio dove proseguire il recupero.