Antifa, il movimento antifascista e le ragioni della sua designazione terroristica da parte di Trump

Il 22 settembre 2025 il presidente Donald Trump ha firmato un decreto esecutivo che riconosce Antifa come «organizzazione terroristica domestica». La decisione, comunicata dalla Casa Bianca, mira a inasprire gli strumenti di intervento federale contro un movimento privo di una struttura centralizzata ma attivo in numerosi Stati Usa. Il provvedimento suscita però motivi di perplessità […]

Il 22 settembre 2025 il presidente Donald Trump ha firmato un decreto esecutivo che riconosce Antifa come «organizzazione terroristica domestica». La decisione, comunicata dalla Casa Bianca, mira a inasprire gli strumenti di intervento federale contro un movimento privo di una struttura centralizzata ma attivo in numerosi Stati Usa. Il provvedimento suscita però motivi di perplessità sul piano legale e costituzionale, sollevando dubbi sull’effettiva possibilità di applicare misure antiterrorismo a soggetti interni non formalmente organizzati.

Antifa – abbreviazione di anti-fascist – è un insieme di collettivi locali e singoli attivisti che si dichiarano contrari al fascismo, al suprematismo bianco e ad altre forme di autoritarismo. Il movimento non dispone di un vertice, né di sedi ufficiali o di un coordinamento gerarchico: gruppi come Rose City Antifa di Portland, nato nel 2007, rappresentano però esempi di maggiore visibilità e di azioni coordinate a livello territoriale. Le attività di Antifa spaziano dalle campagne di sensibilizzazione e dalle manifestazioni pacifiche alle contro-proteste – talvolta sfociate in scontri – contro gruppi di estrema destra e forze dell’ordine.

Secondo il testo del decreto, Antifa promuoverebbe una «campagna di violenza politica» finalizzata a ostacolare l’applicazione della legge, intimidire gli avversari e organizzare manifestazioni violente sotto la maschera dell’antifascismo. Con questa classificazione, l’amministrazione Trump intende potenziare la sorveglianza delle agenzie federali, bloccare eventuali flussi finanziari sospetti e utilizzare strumenti investigativi oggi riservati al contrasto del terrorismo estero.

Gli esperti giuridici sollevano però numerosi dubbi. Negli Stati Uniti non esiste una normativa chiara per designare «terroristi» cittadini o gruppi privi di una struttura definita, mentre il Primo Emendamento garantisce ampia libertà di espressione e associazione. Organizzazioni per i diritti civili avvertono che il decreto potrebbe finire per criminalizzare forme di protesta legittime, estendendo misure straordinarie contro manifestanti pacifici.

Un’altra fonte di complicazione è l’assenza di figure pubbliche riconoscibili all’interno di Antifa. L’anonimato e l’autonomia locale sono tratti distintivi del movimento, sebbene in passato alcuni ex aderenti – come Gabriel Nadales – ne abbiano riportato criticità interne, denunciando mancanza di trasparenza e metodi violenti. Nadales, oggi fautore del dialogo tra opposte visioni politiche, ha testimoniato al Congresso sul funzionamento del gruppo.

Il dibattito politico attorno ad Antifa vede schierati esponenti conservatori, tra cui i senatori Ted Cruz e Bill Cassidy, favorevoli a una formale etichettatura come organizzazione terroristica. Dall’altra parte, attivisti e giuristi avvertono che un’operazione del genere innesca un precedente pericoloso nell’uso del potere esecutivo contro movimenti domestici.

Nel corso delle proteste seguite all’uccisione di George Floyd nel 2020, si è spesso registrata una partecipazione congiunta di esponenti di Antifa e sostenitori di Black Lives Matter, che pure rimane un movimento strutturato con leadership e un’agenda definita incentrata sulla giustizia razziale. Non esistono però legami ufficiali o patti programmatici tra le due realtà: la sovrapposizione è limitata alla presenza ai medesimi eventi e all’adesione a principi antirazzisti comuni.

Aumenta inoltre la difficoltà di attribuire responsabilità penali o politiche a un’entità decentralizzata. Diversi episodi di violenza durante manifestazioni – dall’uccisione di Aaron Danielson a Portland nell’agosto 2020, per mano di un uomo che si dichiarava «sostenitore di Antifa» intenzionato a “difendere un amico di colore”, fino agli scontri di Berkeley nel 2017 – sono stati utilizzati per giustificare misure repressive. Anche l’omicidio dell’attivista conservatore Charlie Kirk nel 2025 è stato richiamato come motivo per contrastare «l’estremismo di sinistra», sebbene non siano emerse prove dirette del coinvolgimento del movimento.

La Casa Bianca definisce Antifa un «nemico interno» capace di minacciare lo stato di diritto e le istituzioni democratiche attraverso disordini urbani, azioni di sabotaggio e intimidazioni durante le proteste. Sul piano politico, l’operazione rafforza l’immagine del presidente come garante della sicurezza nazionale e dell’ordine interno, in un contesto sociale sempre più polarizzato. I critici, infine, avvertono che l’adozione di strumenti antiterrorismo verso gruppi politici interni potrebbe segnare un pericoloso allargamento dei poteri esecutivi.