Tra Adriatico e Danubio: le sfide dell’Italia liberale nel primo dopoguerra

L’Europa centro-orientale uscita dalla Prima guerra mondiale si presenta come un quadro di Stati di recente nascita, con confini ancora litigiosi, economie in difficoltà e minoranze spesso bersaglio di ostilità. In questo contesto le potenze vincitrici, in particolare Italia e Francia, cercano di imporre la propria influenza, trasformando Danubio e Balcani in un “small game” […]

L’Europa centro-orientale uscita dalla Prima guerra mondiale si presenta come un quadro di Stati di recente nascita, con confini ancora litigiosi, economie in difficoltà e minoranze spesso bersaglio di ostilità. In questo contesto le potenze vincitrici, in particolare Italia e Francia, cercano di imporre la propria influenza, trasformando Danubio e Balcani in un “small game” dagli esiti imprevedibili.

Il libro di Antonella Fiorio, Oltre l’Adriatico, verso il Danubio. L’Italia liberale e l’Europa centro-orientale nel primo dopoguerra (1919-1922), ricostruisce il susseguirsi dei governi italiani guidati da Nitti, Giolitti, Bonomi e Facta, per capire quale immagine avesse l’Italia di sé e in che modo intendeva agire sul nuovo scacchiere europeo. Partendo dalla conferenza di Versailles, l’autrice segue la fitta stagione di trattative, accordi e conferenze che definiscono i rapporti tra Roma e i Paesi sorti dalle rovine dell’Impero austro-ungarico.

L’analisi si allarga ben oltre l’Adriatico, esaminando i legami con la Cecoslovacchia, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, Austria, Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania e Grecia. In parallelo, si indagano le mosse di Francia, Germania e Unione Sovietica, tutte interessate a modellare l’assetto dell’area. Di particolare rilievo è la competizione italo-francese, che spesso trascura la necessità di un coordinamento tra le grandi potenze, acuendo tensioni già presenti.

Tra le questioni più rilevanti emergono la paura del diffondersi del bolscevismo, i progetti di restaurazione asburgica in Ungheria, le spinte annessioniste in Austria, la creazione della Piccola Intesa e il riconoscimento dei nazionalisti turchi. Su ciascuno di questi fronti l’Italia cerca di influire, scontrandosi con alleati e avversari che guardano con sospetto alle sue ambizioni.

Due figure dominano il racconto della diplomazia italiana dell’età liberale: Carlo Sforza e Pietro Tomasi Della Torretta. Sforza, prima sottosegretario e poi ministro degli Esteri, mira a rinnovare l’azione estera puntando sul consolidamento dei rapporti con la Francia, sull’accordo di Rapallo e sul sostegno all’indipendenza albanese e al nazionalismo kemalista. Tomasi Della Torretta, al vertice della Farnesina con Bonomi, privilegia invece l’intesa con Londra e la cooperazione con Austria e Ungheria per arginare l’instabilità danubiana.

Con l’avvento del fascismo, Mussolini fa proprie alcune delle linee elaborate dai suoi predecessori ma li allontana dalla scena: Sforza lascia la carriera diplomatica ed emigra, Tomasi Della Torretta viene posto in pensione anticipata, mentre il segretario generale Salvatore Contarini, fino ad allora pragmatico mediatore, subisce la stessa sorte nel 1926.

Secondo Fiorio, il regime mussoliniano mantiene all’inizio una sostanziale continuità con l’impostazione liberale sui dossier danubiano-balcanici, ma la diplomazia italiana fatica a stabilire obiettivi duraturi, oscillando tra manovre reattive e scelte opportunistiche. Come osserva la quarta di copertina, «tanti forse troppi i problemi in cui l’Italia provò a inserirsi dopo il crollo dei grandi imperi, lungo un Danubio sguarnito che aspettava di essere governato».