Corte penale internazionale: l’Italia inadempiente nel caso Almasri

La camera preliminare della Corte penale internazionale ha stabilito che «non eseguendo correttamente la richiesta di arresto e consegna del generale libico Almasri, l’Italia non ha rispettato i propri obblighi internazionali» di cooperazione. Pur riconoscendo questa violazione, i giudici hanno deciso a maggioranza di rinviare la valutazione di un possibile deferimento dell’Italia all’Assemblea degli Stati […]

La camera preliminare della Corte penale internazionale ha stabilito che «non eseguendo correttamente la richiesta di arresto e consegna del generale libico Almasri, l’Italia non ha rispettato i propri obblighi internazionali» di cooperazione. Pur riconoscendo questa violazione, i giudici hanno deciso a maggioranza di rinviare la valutazione di un possibile deferimento dell’Italia all’Assemblea degli Stati parte o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sottolineando la «complessità» del caso.

Entro il 31 ottobre il governo italiano dovrà fornire alla Corte «informazioni su eventuali procedimenti interni pertinenti e sul loro impatto sulla cooperazione con la Corte», si legge nel documento pubblicato dalla Cpi. Tra le procedure nazionali indicate figura quella avviata presso il Tribunale dei ministri nei confronti del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del ministro della Giustizia Carlo Nordio, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano.

Le tre giudici della camera preliminare – la presidente Iulia Motoc, la beninese Reine Alapini-Gansou e la messicana Maria del Socorro Flores Liera – hanno ritenuto «all’unanimità che l’Italia non abbia agito con la dovuta diligenza né utilizzato tutti i mezzi ragionevoli a sua disposizione per ottemperare alla richiesta di cooperazione». Secondo il collegio, il governo non ha fornito «alcuna valida ragione giuridica o ragionevole giustificazione» per aver rimpatriato il generale Almasri in Libia «anziché consultare preventivamente la Corte o cercare di rettificare eventuali difetti percepiti nella procedura d’arresto».

Nonostante «l’ampio tempo a disposizione» e i «ripetuti tentativi d’interloquire con il ministero della Giustizia italiano», l’Italia non ha mai contattato la Cpi per «risolvere eventuali ostacoli» legati al mandato d’arresto o alla presunta “richiesta d’estradizione concorrente” avanzata dalla Libia, impedendo così alla Corte «di esercitare le proprie funzioni».

Il rimpatrio di Almasri era stato giustificato dal governo con «motivi di sicurezza e il rischio di ritorsioni», spiegazione che la Corte ha giudicato «molto limitata» e «non è chiara» soprattutto alla luce del trasferimento aereo verso la Libia. Le giudici hanno inoltre ribadito che questioni di diritto interno non possono giustificare una mancata cooperazione con la Cpi.