Alle pendici del Kilimangiaro, le foreste pluviali, le savane e le sorgenti d’acqua hanno sostenuto per secoli le comunità locali, assicurando legname, risorse alimentari e un delicato equilibrio ecologico. Un recente studio, tuttavia, rivela che tra il 1911 e il 2022 queste aree hanno perso fino al 75% delle specie vegetali naturali per chilometro quadrato, sostituite da piantagioni, pascoli e insediamenti umani.
La ricerca, finanziata dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG), ha combinato mappe topografiche d’inizio Novecento, immagini satellitari, dati demografici e rilievi sul campo riguardanti quasi tremila specie vegetali distribuite lungo i vari ecosistemi montani. Per la prima volta, è stata analizzata la relazione tra densità di popolazione e biodiversità su scala di un chilometro quadrato in un’area tropicale.
I risultati mostrano un salto demografico drammatico: la densità abitativa è passata da 30 a oltre 430 persone per km² in poco più di un secolo. Questo incremento ha frammentato gli habitat naturali, isolato le popolazioni vegetali e alterato i meccanismi di regolazione delle acque e del suolo.
Secondo gli autori, il cambiamento climatico ha inciso soprattutto sui ghiacciai e sulle temperature, ma non risulta il fattore diretto della perdita di biodiversità locale. Al contrario, “le aree dove le comunità locali praticano agroforestazione sostenibile e le zone protette create negli ultimi decenni mostrano una sorprendente resilienza ecologica e un’inversione di tendenza.”
Gli studiosi auspicano che questi dati diventino il punto di partenza per politiche di uso del suolo più sostenibili, in grado di conciliare la crescente pressione demografica con la conservazione dell’ambiente. Le prospettive future del Kilimangiaro dipendono in larga misura dalla capacità di armonizzare le esigenze delle popolazioni locali con la tutela dei suoi ecosistemi unici.