Furto al Louvre: sicurezza compromessa da una password “Louvre”

La rapina ai gioielli della corona francese al Louvre, stimata intorno agli 90 milioni di euro, mette in luce una falla di sicurezza informatica di proporzioni inaspettate. Fonti interne al museo, riprese dal quotidiano Libération, confermano che fino al 2014 la password per accedere ai server di videosorveglianza era semplicemente “Louvre”. Un dettaglio ritenuto emblematico […]

La rapina ai gioielli della corona francese al Louvre, stimata intorno agli 90 milioni di euro, mette in luce una falla di sicurezza informatica di proporzioni inaspettate. Fonti interne al museo, riprese dal quotidiano Libération, confermano che fino al 2014 la password per accedere ai server di videosorveglianza era semplicemente “Louvre”. Un dettaglio ritenuto emblematico delle carenze emerse nel sistema di protezione dell’istituzione parigina.

Già sette anni fa un rapporto dell’Agenzia nazionale per la sicurezza informatica avvertiva che chiunque fosse riuscito a penetrare nel network avrebbe potuto “rendere più facile il furto di opere d’arte”. Oggi il ministro della Cultura, Rachida Dati, riconosce “errori sistemici e di lunga durata”, ammettendo che vi è stata “una sottovalutazione cronica e strutturale del rischio di furti”.

Le indagini condotte dalla procura di Parigi hanno finora portato all’arresto di due sospetti, un uomo di 37 anni e una donna di 38, fermati alla periferia nord della capitale. Entrambi negano ogni responsabilità, ma il loro Dna sarebbe stato rinvenuto nel cestello dell’elevatore utilizzato per trasportare i gioielli. Secondo la procuratrice Laure Beccuau, “i loro profili non corrispondono a quelli generalmente associati alla criminalità organizzata”. L’uomo, già condannato per furti e reati minori, è ora accusato di furto aggravato in banda organizzata e associazione a delinquere; la compagna è indagata per complicità e, davanti al giudice, ha manifestato forte angoscia per la propria incolumità e quella dei figli.

Il colpo, messo a segno in pieno giorno nella Galleria Apollo — realizzata su progetto di Luigi XIV — ha sottratto oltre 400 pezzi tra diamanti, corone e decorazioni, tra cui i celebri “Regent” e “Sancy”. Finora nessuno dei gioielli è stato recuperato e le autorità continuano a cercare eventuali complici e mandanti. Nel frattempo il Louvre ha annunciato una revisione completa dei protocolli di sicurezza, sia digitali sia fisici.

La collezione dei gioielli della corona rappresenta uno dei patrimoni più preziosi del museo, simbolo della monarchia francese sin dal XVII secolo. L’episodio riaccende il tema della protezione dei beni culturali, già al centro di collaborazioni internazionali instaurate dopo furti celeberrimi: dalla “Gioconda”, sottratta nel 1911 e ritrovata due anni dopo in Italia, a “L’Urlo” di Edvard Munch, recuperato dopo un’indagine durata due anni.

Negli ultimi anni, grandi istituzioni come il British Museum, il Prado e il Metropolitan di New York hanno adottato sistemi di videosorveglianza basati su intelligenza artificiale e riconoscimento facciale, affiancati da firewall di ultima generazione e crittografia avanzata. Anche il Louvre ha annunciato un piano di aggiornamento tecnologico e formazione specifica per il personale, con l’obiettivo di prevenire future intrusioni sia nel mondo digitale sia in quello fisico.