La plenaria della conferenza Cop30 di Belém, in Brasile, ha approvato all’unanimità il cosiddetto Global mutirão, frutto di due settimane di negoziati tra circa 200 Paesi. Gli Stati Uniti, pur invitati, non hanno preso parte ai lavori. Il compromesso raggiunto evita riferimenti espliciti ai combustibili fossili, ma apre nuovi spazi di confronto sul taglio delle emissioni.
Tra le iniziative lanciate figurano il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5, pensate per supportare ciascun Paese nel definire un percorso di uscita dai combustibili fossili, sulla scia delle indicazioni emerse alla Cop di Dubai del 2023. Nonostante l’assenza di una roadmap specifica su fonti fossili e deforestazione — richiesta dal Brasile di Lula e da oltre 80 governi —, questi strumenti dovrebbero favorire la cooperazione internazionale per la transizione energetica.
Sul fronte finanziario, l’accordo prevede di triplicare entro il 2035 i fondi destinati all’adattamento climatico, portandoli fino a 120 miliardi di dollari. Si punta inoltre a rendere la finanza climatica «più prevedibile, accessibile e commisurata ai bisogni dei Paesi vulnerabili».
Il documento include poi un richiamo sugli scambi commerciali, come sollecitato dalla Cina: «Riafferma che le misure per combattere il cambiamento climatico, incluse quelle multilaterali, non dovrebbero costituire uno strumento arbitrario o ingiustificabile di discriminazione o una restrizione al commercio internazionale mascherata».
«La scienza ha prevalso, il multilateralismo ha vinto» alla Cop30 in Brasile. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha salutato con favore l’accordo raggiunto ai negoziati dell’Onu sul clima a Belém. «Nell’anno in cui il pianeta ha superato per la prima volta, e forse in modo permanente, il limite di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali, la comunità internazionale si è trovata di fronte a una scelta: continuare o rinunciare. Abbiamo scelto la prima opzione», ha dichiarato il leader brasiliano.