A Taipei il presidente William Lai ha avvertito che Pechino sta “accelerando i preparativi militari” con l’obiettivo di conquistare l’isola con la forza entro il 2027, anno del centenario dell’Esercito popolare di liberazione. Secondo Lai, le Forze armate di Taipei mirano a “raggiungere un elevato livello di prontezza” e puntano a un “elevato livello di preparazione al combattimento” entro i prossimi due anni per fronteggiare ogni tentativo di “repressione”.
Il capo dello Stato ha sottolineato che “le minacce della Cina a Taiwan e alla regione indo-pacifica si stanno intensificando”. Ha citato come esempi intrusioni militari, operazioni in “zone grigie” marittime e campagne di disinformazione registrate in Giappone, nelle Filippine e nello Stretto di Taiwan, eventi che hanno causato “profondo disagio e angoscia” tra i paesi dell’area. Per questo, ha osservato, “Taiwan, in quanto parte più importante e critica della prima catena di isole, deve dimostrare la nostra determinazione e assumersi una maggiore responsabilità nell’autodifesa”.
Lai ha inoltre annunciato che il governo potenzierà gli strumenti di contrasto alla cosiddetta “guerra psicologica” messa in atto da Pechino, volta a “indebolire la nostra unità”. Tra le misure previste vi è un monitoraggio più stretto dei tentativi di interferenza cinese in occasione di eventi pubblici ed elettorali e campagne di sensibilizzazione rivolte all’opinione pubblica.
Da Pechino è arrivata una pronta replica, con il portavoce dell’Ufficio cinese per gli Affari di Taiwan, Peng Qingen, che ha promesso di “stroncare qualsiasi ingerenza straniera” e ha definito “estremamente pericoloso” il piano del Giappone di schierare missili offensivi nelle vicinanze di Taiwan, accusando Tokyo di voler “creare tensioni regionali e provocare uno scontro militare”.
La Cina considera Taiwan parte del proprio territorio e non esclude l’uso della forza per riunificarla, mentre il governo dell’isola respinge questa rivendicazione e ritiene che “solo il popolo di Taiwan può decidere del proprio futuro”.
Intanto il 23 novembre il ministro della Difesa giapponese Shinjiro Koizumi ha annunciato il dispiegamento di missili superficie-aria a medio raggio sull’isola di Yonaguni, motivando la scelta con la necessità di “ridurre il rischio di un attacco armato contro il nostro Paese”. L’operazione rientra in un più ampio rafforzamento delle capacità difensive nelle isole meridionali, mossa dettata dalle crescenti preoccupazioni di Tokyo nei confronti dell’espansione militare cinese e delle possibili ripercussioni di una crisi legata a Taiwan.
Queste apprensioni erano già emerse dopo le dichiarazioni teoriche della prima ministra Sanae Takaichi, che lo scorso 7 novembre aveva ipotizzato un intervento militare giapponese a fianco di altre nazioni in caso di un attacco cinese all’isola, suscitando un forte richiamo diplomatico da Pechino. Durante la sua visita a Yonaguni, Koizumi ha evitato commenti su scenari ipotetici e ha ricordato di aver ispezionato anche le basi di Ishigaki, dotata di missili antinave, e di Miyako, sede di strutture per la sorveglianza aerea e depositi di munizioni. Sull’isola di Okinawa restano presenti ulteriori installazioni giapponesi e statunitensi.