Ricordo di un frate “rosso”, fuori dall’ortodossia

E’ morto il 31 gennaio scorso, a 91 anni, dopo una intera esistenza tutta vissuta per mettere in pratica alti ideali di fratellanza, cercando di riunire il dettato cristiano e le convinzioni comuniste. Camillo De Piaz è spirato come e dove avrebbe voluto: senza soffrire e circondato dai propri amici, nel convento di Madonna di […]

E’ morto il 31 gennaio scorso, a 91 anni, dopo una intera esistenza tutta vissuta per mettere in pratica alti ideali di fratellanza, cercando di riunire il dettato cristiano e le convinzioni comuniste. Camillo De Piaz è spirato come e dove avrebbe voluto: senza soffrire e circondato dai propri amici, nel convento di Madonna di Tirano, all’ombra della Basilica tanto amata. Fino all’ultimo, anche se in molti hanno cercato di “marginalizzarlo”, è stato un punto di riferimento attorno a cui ruotavano molti esponenti della cultura italiana. Nella malattia il suo carattere a volte scontroso aveva saputo abituarsi alle gravi limitazioni che molte patologie, fra cui un menomante cancro alla gola, gli avevano imposto. I suoi amici stavano preparando i festeggiamenti per il suo novantaduesimo compleanno, che sarebbe caduto il 24 febbraio prossimo,  con un libro a cura di Laura Novati. Il libro uscirà, certamente, ma lui non potrà leggerlo e gioirne.   
Frate dei Servi di Maria dal 1934, ordinato sacerdote nel 1941 venne destinato al convento milanese del suo Ordine di San Carlo al Corso, insieme al confratello David Maria Turoldo, in vista della loro iscrizione all’Università Cattolica del Sacro Cuore (De Piaz, Lettere Moderne; Turoldo, Filosofia). Nella condizione di frati e di studenti partecipano attivamente alla Resistenza, esperienza che segnerà profondamente la loro vita e motiverà il loro costante impegno democratico. Nel dopoguerra, con un gruppo d’amici intellettuali, fondarono, presso il convento di San Carlo, la Corsia dei Servi, della quale animeranno per anni l’attività culturale (conferenze, editoria, cineforum, mostre)m attorno all’omonima libreria che diverrà un punto di riferimento del mondo culturale cattolico e non, soprattutto durante il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Per anni padre Camillo ha seguito le attività della Corsia dividendosi fra Madonna di Tirano (al cui convento viene assegnato nel 1957) e Milano. In ambito editoriale ha collaborato nel delicato ruolo di “lettore” con le case editrici Mondadori, Il Saggiatore ed altre, ed è autore di numerose traduzioni dal francese fra cui “Agonia della Chiesa?” lettera pastorale del 1947 dell’arcivescovo di Parigi cardinale Emanuele Suhard (1948), “Il cristo dilacerato” di Jean Guitton (1964) e – a richiesta di Paolo VI – l’enciclica “Popolorum Progressio” (1967). E’ stato membro della giuria del Premio “Gallarate”, del Premio di poesia “Clemente Rebora” e, fino alla morte, del Concorso Letterario Renzo Sertoli Salis.
L’allontanamento da milano, nel 1957, fu dovuto ai suoi contatti con il Fronte della gioventù e con i Comunisti Cattolici e disposto  dal Sant’Uffizio, che lo considerava uyn pericoloso rivoluzionario. Contro di lui anche l’accusa di aver accettato l’incarico di consigliere della Casa della Cultura di Milano,  diretta dalla comunista Rossana Rossanda. Cambiati i tempi nella Chiesa, e vista ormai l’attività di padre De Piaz non più come sospetta, ma fortemente antipatrice dello spirito conciliare, padre Camillo visse una nuova stagione di impegno dopo il 1968.
Ma nuovi motivi di contrasto con la gerarchia cattolica si registrarono anche negli anni successivi. Nel 1973 padre Camillo ricevette dalle mani del segretario del Pci Enrico Berlinguer al Palalido di Milano il “Premio Eugenio Curiel” che gli viene assegnato con la seguente motivazione: “Sacerdote, militante antifascista, compagno di lotta di Curiel, ha saputo unire nel fuoco della Resistenza e nell’impegno civile dalla Liberazione ad oggi le aspirazioni convergenti di libertà e di progresso del popolo italiano espresse da componenti ideali diverse”. Figura problematica per la chiesa, cattocominista e frate incline al sociale, scomodo come lo sono stati Turoldo o, ad esempio, Silone e Pasolini. Non è un caso che fra i “principi della chiesda”, l’unico ad aver espresso il suo personale cordoglio sia stato un altro cattolico “difficile”, quel Carlo Maria Martini così fuori dai canoni dell’ortodossia vaticana. E’ scritto nei Lei Jing, antico testo cinese la cui origine si perde nella notte dei tempi: “Ci sono morti più leggere di una piuma e morti più pesanti del Monte Tai”.
La morte di Camillo De Piaz è di quelle più pesanti del Monte Tai, soprattutto per chi, della mia generazione, ha cercato di coniugare cattolicesimo e politica di sinistra, ribellione e scambio dialettico, rinuncia ai favori derivanti da uno status, ma anche della lotta armata. Come David Maria Turoldo, il frate-poeta dalla voce tonante, ha insegnato a ciascuno ad assumersi oneri e responsabilità, a misurarsi con la propria coscienza, sapendo coniugare le aspirazioni convergenti di libertà e di progresso di un popolo con tante diverse componenti. Insieme a padre Turoldo,  seppe rfaccogliere il meglio della nostra borghesia progressista e intellettuale, conquistandola ad  iniziative coraggiose, come Nomadelfia di don Zeno Saltini, che poi continuarono, attraverso la Corsia dei Servi,  nella direzione di un dialogo con culture anche lontane. Nell’ambito di questa attività, a fianco degli ambienti “più aperti” del mondo cattolico, padre Piaz ha curato (per conto dei più importanti editori come Mondadori o Il Saggiatore) numerosi testi che restano ancora scomodi ed acutissimi. “Resistete, resistete, ripeteva in continuazione, perché il drago dalle sette teste e dalle dieci corna sia sconfitto”.
Ancora di recente,  fu implacabile nello stigmatizzare le connivenze e le responsabilità di  politici,  sindacalisti,  scienziati; di capi di stato, di responsabili delle grandi istituzioni internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, nonché parte della gerarchia ecclesiale (internazionale e nostrana) quando, pur vedendo e sapendo, tacque  e, – come i leviti e i sacerdoti nella parabola Evangelica del Buon Samaritano, – “passò oltre senza voler vedere” gli orrori che venivano commessi, spesso nel nome della libertà, della democrazia e del  progresso scientifico.
Ancora una estrema, attuale e grande lezione, sul nostro presente, sui drammi che l’umanità sta vivendo in questi giorni, sulla confusione e sull’incertezza del domani, sui rischi che stiamo correndo tutti di vederci crollare addosso l’impalcatura del nostro effimero benessere, se non corriamo ai ripari in tempo e scopriamo un afflato cristiano autentico, altruista e puro.

Carlo Di Stanislao

Riproduzione Riservata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *