Successi fuori e stalli dentro, con gioco delle parti

A margine del vertice sulla sicurezza nucleare di Seul e dopo aver ribadito, a chi fa orecchie da mercante, che lui ho porta a termine le riforme, tutte, o se ne va, Monti incassa l ‘endorsement del presidente cinese ed il sostegno di Obama, che gli dice: “avete un ruolo fondamentale”. Il capo del governo […]

A margine del vertice sulla sicurezza nucleare di Seul e dopo aver ribadito, a chi fa orecchie da mercante, che lui ho porta a termine le riforme, tutte, o se ne va, Monti incassa l ‘endorsement del presidente cinese ed il sostegno di Obama, che gli dice: “avete un ruolo fondamentale”.
Il capo del governo non nasconde la propria soddisfazione per i risultati incassati in terra coreana ed aggiunge di aver notato che “tutti gli interlocutori una grande informazione e attenzione per l’evoluzione recente della politica e dell’economia italiana”.
Dunque Hu Jintao ha promesso di impegnarsi in prima persona per incoraggiare le grandi aziende del suo Paese a guardare con fiducia all’Italia, mentre il presidente Usa, giunto per ultimo nella grande sala del Ceox Center dove si svolgeva la riunione plenaria, si è subito diretto verso Monti per uno scambio di saluti dai toni cordiali, durante il quale è arrivato un riconoscimento al “ruolo molto importante dell’Italia”.
E a chiarito, Mario Monti, anche un equivoco che aveva creato qualche ombra nelle relazioni fra Italia e Spagna e al suo omologo Mariano Rajoy, ha espresso il suo dispiacere per quando creato in Spagna dal suo discorso di Cernobio, quanto aveva espresso “preoccupazione” per la situazione spagnola.
Scuse accettate con garbo e pace fatta, sicchè il nuovo trionfo diplomatico di Monti è ancora una volta completo.
I veri problemi Monti li ha in casa. Ha già detto ai partiti, che minacciano stravolgimento del decreto sul lavoro, che il suo “governo non tirerà a campare” e che “se il Paese non si sente pronto per un buon lavoro” lui non “chiederà di continuare”.
Il nodo non è più legato ai tempi di attuazione ma ai potenziali stravolgimenti al testo, tanto che anche il ministro Fornero , chiraisce che non sarà accetta “una riforma ridotta in polpette”.
Chi invece si dice serena circa le decisioni finali che saranno assunte dal Parlamento è la segretario della Cgil Susanna Camusso, che a margine della commemorazione del professor Ezio Tarantelli a commento delle parole del premier Mario Monti, ha detto: “parto dalla dichiarazione che il presidente aveva fatto nei giorni scorsi, quella della sovranità del Parlamento e del riconoscimento del dialogo, penso che sia fondamentale. Anche perché tutto possiamo permetterci tranne che non avere il riconoscimento del ruolo legislativo del Parlamento, che non può essere in nessun modo condizionato”.
In particolare il numero uno della Cgil sottolinea che alle Camere “chiederemo di intervenire sicuramente sul reintegro rispetto al tema del licenziamento economico. Ci riserviamo di rivedere il disegno di legge proprio perché non escludiamo che altri punti possano essere suscettibili di modifiche”. ”Penso ad esempio -continua Camusso- di alzare i contributi per i lavoratori a progetto senza che questo corrisponda a un’equivalenza di prestazioni”.
Quindi la Camusso riconosce passi avanti ma non esclude correzioni.
E, dopo di lei, si riamarmano i prima pacificati UIL e CISL, con Luigi Angeletti che adesso dice che sulla riforma del mercato del Lavoro il governo ha assunto un ruolo “abbastanza di destra”, un ruolo cioè “ascrivibile a quella scuola che considera la concertazione quindi l’impegno da assumersi con il sindacato come non buono”, mentre “nel merito è stato abbastanza equilibrato”; e con e Raffaele Bonanni che chiede più dialogo.
A Cernobio la Fornero ha detto che “la riforma e’ una scommessa sul mercato del lavoro per rendere l’economia italiana maggiormente attrattiva rispetto a disinvestimenti, ad aziende che magari chiudono qui per aprire in Serbia”. E che le piacerebbe che gli imprenditori dicessero che in Italia si può investire e che iI nostro non e’ più un Paese che erige cittadelle, “ma un luogo nel quale si può competere e scommettere nel riconoscimento del metodo”.
Ma gli ha subito risposto la Camusso, secondo la quale “il Governo aveva tutte le condizioni per non doversi rammaricare per la mancata coesione sulla riforma” e che ,pertanto, quelle della Fornero sono solo “lacrime di coccodrillo”.
Sempre più la Camusso ha lo sguardo di Tom Cruise ne l’Ultimo Samurai e di Clint Eastwood in Gran Torino, insomma di uno che, come Katsumoto nel film di Edward Zwick, resiste fino in fondo, pur sapendo di andare incontro alla sconfitta sul campo.
Il 25 marzo, due giorni fa, nel suo editoriale di domenica, il direttore dell’Unità Claudio Sardo, difendendo la Camusso nel suo “no” ha scritto: “Camusso è stata molto coraggiosa con gli accordi di giugno, e in generale è proiettata verso una politica di patto sociale, ma oggi non poteva fare diversamente, non poteva esimersi dal dire no di fronte a una soluzione non equilibrata e alla vera e propria rottura effettuata dal governo Monti, che poteva incassare un accordo generale sul modello tedesco e invece ha preferito strappare, per portare lo scalpo dell’articolo 18”. Però, il direttore dell’Unità rimembrando i tempi dell’unanimismo sulla scala mobile (nel ’93, sotto Carlo Azeglio Ciampi), non vedeva (e credo non veda ancora) “un’evoluzione radicale in Susanna Camusso”, ma piuttosto un suo appiattimento sulla Fiom, dicendosi convinto che il mancato accordo tra sindacati sia anche figlio della “storia recente dei loro rapporti sotto un altro governo”.
Insomma i tre protagonisti del triangolo, Monti-Fornero-Camusso, debbono puntare tutti e tre i piedi perché fa parte del canotaggio che, in questo momento, nessuno si sente di rivedere.
E, in questo gioco delle parti in cui non si può saltare neanche una riga, da registrare anche la reazione del responsabile per l’economia del PD, Stefano Fassina, che chiede al governo di reperire dai tagli alle pensioni le risorse da dedicare al finanziamento della “flexsecutity”.
Ma di certo per Monti (ed i suoi), non è ricevibile l’ipotesi di un’imposizione patrimoniale, perché, in questa fase, il premier sta godendo del sostegno ben più convinto del leader del PDL, Silvio Berlusconi, il quale, tuttavia, non accetterebbe nemmeno di prendere in considerazione tale idea.
La sensazione è che si stia parlando e ci si stia irrigidendo su una riforma, da attuare in tempi lunghi e che la vera guerra sta in altri simboli e in vari altrove.
E tutto questa non giova al mercato del lavoro, che rischia di non essere sostenuto nel breve periodo da alcuna misura concreta, malgrado registri il tasso di disoccupazione più alto degli ultimi 11 anni.

Carlo Di Stanislao

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