Di Nicola Facciolini
Circola in città tra i giovani un brocardo, che non condivido affatto, ma che illumina perfettamente l’atmosfera davvero difficile di una larga fetta della nostra generazione, forse specchio della crisi economica e sociale dei nostri tempi. “Di un teraman non ti fidar se in cielo vuoi andar”. Singolare è la coincidenza con san Martino, la tradizionale festa laica dei “cornuti”, ossia dei traditi. Stasera 11 novembre in molti paesi, anche in Abruzzo, si rinnova lo storico appuntamento con la “Processione dei cornuti”: si formerà una processione in cui sfilano le varie “corna” portate sul cappello o montate su aste e addobbate ad arte. Protagonista è il portatore della “reliquia” che viene consegnata all’ultimo degli sposati di quest’anno, il quale poi la porterà in mano per tutto il corteo. Al momento della consegna sul suo capo vengono messe anche le corna, inevitabile rischio di ogni unione. La festa religiosa, grazie a Dio, richiama ben altri valori oggi perduti in Italia tra gli “scattolici”. A san Martino di Tours (vescovo), patrono dei mendicanti, ben 4mila chiese sono dedicate in Francia e del suo nome si fregiano migliaia di paesi e villaggi in Italia, in Europa e nelle Americhe (www.santiebeati.it/dettaglio/25050). Famoso è anche il santo domenicano san Martino De Porres, celebrato qualche giorno fa, la cui storia altrettanto singolare merita un altro articolo.
“Conosci te stesso”: suprema massima etica. Se abbiamo imparato come persone a perdonare chi ci tradisce (almeno sul piano morale ed etico) allora abbiamo capito come salvare la nostra civiltà: l’importante è spezzare la catena del male e dell’odio che ammorba il mondo come un virus letale. Giustizia è carità ma anche verità. Per questo non sarà la pillola del “giorno dopo” o del “giorno prima”, in grado di uccidere una vita, tante vite, milioni e milioni (ma anche la Maternità e la Paternità di un intero pianeta), nella falsa convinzione mentale di poter salvare le coscienze dalla fine che prima o poi attende fisicamente ognuno di noi (la suprema giusta livella), a dire l’ultima parola sul destino della specie umana. Nell’antichità empio crimine meritevole di sentenza capitale, il tradimento, di qualunque natura esso sia, attraversa la storia e le culture con profonde ramificazioni e radici antiche. Adamo, dopo la donna Eva, ruppe i patti con il Signore Dio, precipitando l’umanità nel peccato originale a cui Gesù rimedia nella sua Passio attraverso l’infedeltà di Giuda, antonomasia del traditore. Gesù, risorgendo dai morti, così libera dal peccato l’umanità, insegnando a tutti la misericordia e il perdono senza limiti: questo è il cuore della legge, perdonare sempre, non condannare. Siete stati traditi? Perdonate, perdonate, perdonate. Sembrerà un’ovvietà ma invece non lo è, perché il tradimento continua a proliferare nella vita politica e allunga la sua ombra inquietante sulla quotidianità, non risparmiando la sfera dei sentimenti più puri di chi è in buona fede, infettando la società, la famiglia e la cultura di ogni tempo. Per la Chiesa il tradimento resta peccato grave. Nella Rivoluzione d’Ottobre di sovietica memoria, i traditori venivano giudicati politicamente e, nella maggior parte dei casi, la sentenza la conoscete: il gulag in Siberia nella migliore delle ipotesi. Nel codice penale di ogni stato vi lascio solo immaginare, senza parlare dell’alto tradimento delle leggi, dell’ordine, della sicurezza e dei segreti di stato. Il traditore, figura esecrata, si ammanta ancora oggi di un fascino ambiguo per la potenza del suo segreto oscuro che custodisce: il gioco coperto e pericoloso che conduce con astuzia e abilità teatrali fin quasi sulla soglia della follia. Lo scrittore cattolico Manzoni coglie con drammaticità la diffusione generalizzata del tradimento nella storia, lo sviamento che crea nei disegni stabiliti dall’alto. Pronto a usarlo quale strumento estetico di svolta nelle narrazioni, il tradimento si confronta soprattutto con la sua portata morale. Manzoni crea così, affondando il bisturi letterario dell’analisi, figure complesse di traditori in trame ambigue, cercandovi con fatica una via d’uscita che ristabilisca l’ordine violato. Per capirne di più consigliamo la lettura del libro: “L’ordine violato. Il tradimento nell’opera di Alessandro Manzoni” di Alberto Volpi (Stile Editrice, 2008). Oggi l’accusa peggiore che un calciatore può ricevere dal tifoso, è quella di tradimento della bandiera. Nella politica il tradimento è puro esercizio dialettico ordinario, giustificato dai passacarte di turno. Non c’è nulla di più esecrabile che tradire un giovane nei suoi principi più sacri. Internet è uno sfarfallio di notizie e contributi utili a farsi un’idea di che cos’è il tradimento nella nostra società occidentale sempre più minata alla sue fondamenta. Nel web il “bestiario” è servito. Colpisce davvero il diverso peso che ha l’idea di chi tradisce rispetto a quella di chi è tradito. Il tradimento può scatenare in chi lo patisce le peggiori reazioni dell’istinto di sopravvivenza: chi tradisce minimizza, chi è tradito ingigantisce; chi tradisce è reticente, chi è tradito brama di insana curiosità; chi tradisce non si rende conto del male che fa, chi è tradito crede che peggio non possa capitare. Tutti gli umani, prima o poi, chi più chi meno, sono traditi o traditori. Per natura. Vale anche il vecchio proverbio che ad ogni traditore si accompagna una traditrice. Qualcuno penserà che non sia vero o che non se ne possa uscire sani e salvi, da un tradimento. Ma una società complessa come la nostra, all’inizio del XXI Secolo, richiede necessariamente delle “maschere” particolari. Ognuno è in grado di opporsi al “travestimento” identificandosi nel proprio “sé” dinamico, come dicono gli psicologi. Come uscirne sani e salvi? Adattandosi all’ambiente come il camaleonte, per non danneggiare la mente. Il nostro cervello è infatti molto delicato. Pertanto il cambiamento non rappresenta una falsificazione della realtà, ma semplicemente il modo che ha l’individuo di adattarsi alle situazioni. La persona deve quindi mettersi nella disponibilità di essere accettato dagli altri. Questo é il “gioco delle relazioni”, l’unico in grado di garantire il contatto tra individui e la sopravvivenza della nostra società. Il “sé” mutevole, e non l’ “io” rigido impositivo, consente all’individuo di mettersi alla prova e capire gli altri, per servire il suo prossimo nel migliore dei modi. Scrive il professor Salvatore Natoli sul tema de Il tradimento del patto: “L’idea del patto è la più profonda tra quelle che configurano la concezione che abbiamo di noi stessi e della vita associata. Stabiliamo patti impliciti o espliciti in ogni momento. La nostra stessa nascita viene vista come l’accettazione implicita del patto sociale. Una volta nati viene assunto che accettiamo le regole della società in cui veniamo alla luce. Le teorizzazioni sulla natura della società civile hanno cercato di mostrare perché chiunque, dotato di ragione, dovrebbe arrivare ad acconsentire a questo accordo reciproco”. Tutta l’etica e la politica moderna si sono occupate di questo problema. “Eppure il patto è qualcosa di più radicale di un accordo raggiunto attraverso il consenso. L’immagine politica del patto ne ha dato una rappresentazione che ha fatto leva soprattutto sulle nostre capacità di ragionamento e sui bisogni basilari, alla sicurezza e al perseguimento dell’interesse personale. Ma il patto, come mostrò David Hume criticando Hobbes, ha un’origine più primitiva, che è legata alle nostre reazioni naturali. Il patto è un legame di fiducia che trova le sue prime esemplificazioni nella fiducia nei confronti di chi si prende cura di noi: la fiducia che lega il bimbo alla madre, la fiducia nei rapporti di amore e di amicizia, una fiducia che può essere tradita, e che mostra, perciò, la fragilità degli esseri umani, una fragilità a cui nessun contratto sociale, nessuna garanzia esterna può porre riparo. La nostra collocazione naturale è quella di dipendere dagli altri. Nella fiducia e nel dramma del tradimento sono le componenti più essenziali della condizione umana. L’individuo nasce sempre in un’alleanza, definita dal rapporto familiare, dal rapporto sociale, dal rapporto comunitario. L’uomo pertanto non nasce mai separato, ma in comunità, considerate come entità organiche di persone e caratterizzate dai legami che si costituiscono al loro interno. Di qui si arriva a stipulare patti sempre più specifici attraverso il sistema rappresentativo. Il patto costituzionale è uno di questi. I legami propri delle comunità possono essere naturali, ossia legami di specie, e legami che si specificano, di volta in volta, in ragione degli interessi. Il patto sociale è l’accordo raggiunto dagli uomini per creare la società civile o per evitare la guerra. Nel primo caso si avrà un patto di alleanza propositiva, orientato dunque verso un progetto, nel secondo un patto di alleanza difensiva. I patti delle società moderne sono sia di alleanza propositiva che di alleanza difensiva. La Costituzione si colloca appunto come una delle tecniche specifiche che nella storia della civiltà si sono elaborate per stipulare i patti. La cittadinanza è la condizione di appartenenza dell’individuo ad uno Stato, a cui sono connessi il godimento di diritti e l’assolvimento di doveri. Questa condizione si perfeziona con la nascita dell’individuo. Pertanto l’individuo, in quanto cittadino, è tenuto all’osservanza e al rispetto del patto costituzionale, pur se stipulato anteriormente alla sua nascita. Il modello di società, o meglio, di stato di natura, così come elaborato dal filosofo inglese Thomas Hobbes, suppone che, essendo una situazione di isolamento assoluto degli individui e una condizione di eguaglianza e di diritto illimitato di ognuno su tutte le cose, ha come conseguenza la guerra di ogni uomo contro tutti gli altri uomini. La sola via di uscita da questa condizione di guerra è la costituzione di uno Stato tramite un patto di alleanza difensiva, pertanto artificiale, in cui si stabilisce il conferimento di tutti i diritti e di tutti i poteri degli individui – tranne il diritto alla vita – alla persona del sovrano, detentore del monopolio della forza legittima. Il termine e il contenuto di questa alleanza sono tipicamente di difesa. Proprio perché di difesa, questo patto deve comportare la rinuncia da parte dell’individuo alla propria libertà incondizionata. Tuttavia lo Stato-Leviatano di Hobbes non può definirsi una società nel senso prima detto, proprio perché manca di un’alleanza propositiva e presuppone che ogni individuo, se sciolto dal patto, sia un pericolo costante per sé e per gli altri. Le società possono esistere soltanto sulla base di alleanze leali. La logica di ogni alleanza suppone la parità tra i contraenti. Il rispetto degli accordi contenuti in questi patti è teso, da un lato, a neutralizzare la violenza, e dall’altro a permettere il godimento dei benefici, frutto del comune bisogno di aiuto degli individui che si contrappone al pericolo che ognuno di essi può rappresentare. È chiaro, per molteplici ragioni, che possono esistere dei soggetti i quali presumono di volere sviluppare una libertà incondizionata e di non stare all’alleanza. I giovani “Drughi”, gli amici biancovestiti dell’Arancia meccanica, praticano la violenza a loro piacimento. Se la società si comporta nei confronti di coloro che negano il patto in termini meramente coercitivi, non sviluppa un atteggiamento propositivo riguardo all’alleanza, ma pratica una vendetta. Ogni società deve puntare a un reinserimento del trasgressore nell’alleanza. Se invece l’atteggiamento dello Stato o del potere risulta vendicativo rispetto al violatore del patto, questi passa automaticamente dalla parte del torto a quella del diritto, perché a muovergli guerra è proprio quella organizzazione sociale che dovrebbe produrre e conservare la pace. Ecco spiegata la doppia dimensione del patto e della normatività. La norma è intesa unicamente a preservare e beneficiare la società, e non può essere pensata in termini di vendetta del potere sul suddito, dello Stato sul cittadino, della società sull’individuo. Si vanificherebbe in questo modo la logica stessa del patto”. Ci può essere il tradimento del patto da parte di un singolo individuo nei confronti della società, come quello dell’intera società nei confronti di una minoranza o del singolo. Il patto sociale strettamente inteso non può mai essere sciolto, altrimenti crollerebbe la società. L’ordine sociale tende a mantenersi nonostante le molte rotture. Così, malgrado le troppe guerre che hanno martoriato la storia dell’uomo, la società si è sempre ricomposta. La tessitura della società non è mai venuta meno. Il patto sociale può essere certamente violato, ma la rottura, se pure violenta, è momentanea. La società, intesa come sistema di legami, e non come alleanza tra i singoli del modello hobbesiano, fino adesso si è dimostrata più forte delle sue violazioni. Si è anche detto che storicamente il legame sociale appartiene alle comunità e che le comunità sono varie ed eterogenee. Nelle società moderne si sono sempre di più integrate esperienze comunitarie diverse. La società moderna ospita una pluralità di differenze con una contiguità maggiore oggi rispetto al suo passato. Oggi il tema del patto sociale deve essere pensato nei termini della coesistenza delle differenze. L’alleanza stessa deve essere realizzata in modo tale che tutti possano vivere secondo la loro specificità. L’alleanza non può e non deve comportare un annullamento delle differenze. La caratteristica dell’alleanza è che le parti entrino in una prospettiva di confronto e di dialogo continui, e non di omologazione, che creerebbe, nella peggiore delle ipotesi, la perfetta equivalenza. La vera alleanza si realizza sul terreno del pieno rispetto delle parti, siano esse individuali o comunitarie, in modo da evitare, anche nei regimi in cui il potere deriva da un accordo tra i cittadini, il pericolo insito, secondo il filosofo ed economista inglese John Stuart Mill, nella tirannide della maggioranza. Il patto sociale può essere mantenuto soltanto se si impedisce la tirannide della maggioranza e tutti possono avere il loro spazio di legittimità”. Il tradimento del patto è un sintomo della pochezza e della nullità dell’uomo, ovvero una manifestazione da parte dell’uomo del suo indice di libertà? “Il patto, incluso quello d’amore, molto spesso risulta di convenienza ed implica necessariamente un beneficio a vantaggio dei due o più contraenti. I patti di convenienza sono necessariamente a termine. Non tutti i patti pertanto nascono assoluti e indefiniti. Mentre è e deve essere assoluto il patto sociale, all’interno della società gli uomini stabiliscono alleanze a termine su taluni obiettivi. Può accadere che alcuni gruppi sociali producano delle alleanze a loro vantaggio e a danno di altri. In questa ed altre situazioni del genere chi si ribella al patto scellerato o lo attacca, si muove nell’ordine di una superiore giustizia. Sarà un atto di tradimento nei riguardi della società e verso l’accordo specifico se nel patto scellerato l’uomo è entrato consapevolmente. Se prima vi entra inconsapevolmente, ma poi ne esce, allora l’uomo non tradisce né nell’uno né nell’altro senso. Nei casi in cui ci si accorga di fare parte di un patto scellerato, la ribellione equivale a giustizia e non più a tradimento. Nel nostro tipo di ragionamento non è tanto l’intenzione soggettiva che interessa, quanto l’effettività del comportamento del soggetto, ovvero la capacità che ha con il suo coraggio di spezzare un patto scellerato”. Il tradimento di Giuda come va configurato? “Il tradimento perpetrato dall’apostolo Giuda ai danni di Gesù passerà alla storia come l’emblema del patto violato, come l’emblema classico del tradimento. Giuda è diventato la figura che simboleggia il tradimento in generale. Nella storia della teologia si è a lungo dibattuto su quanto Giuda sia da considerare un traditore e non invece lo strumento attraverso il quale Dio permette il sacrificio del Figlio e quindi la salvezza dell’umanità. Fatta questa premessa fondamentale e al di là dei dibattiti, l’atto di Giuda ha in ogni modo manifestato il tradimento di un patto d’amore e di un’amicizia fondata sulla fiducia. Quell’atto denunciava una violazione, non tanto del patto sociale, quanto di una alleanza. Ci possono essere patti di convenienza più o meno durevoli, come anche patti ed alleanze non centrati fondamentalmente sull’accordo di convenienza, bensì sull’amore e sulla fiducia. Mentre l’inadempimento dell’accordo di convenienza è punito con la sanzione, la fiducia e l’amore non prevedono norme sanzionatorie. I patti di questo secondo tipo sono indifesi e non difensivi, perché non contemplano clausole che sanzionano la violazione. Il patto in quei casi si potrebbe dire de fide condendo. Proprio fondandosi l’accordo sulla fiducia, è lecito concludere che l’infrazione del patto è tanto più grave quanto più la controparte non immagina di essere tradita. Si profila in quei casi il tradimento dell’amicizia. Il tradimento ai danni di Cristo è esemplare in questo senso”. La violazione del patto sociale determina il crollo della società. Tuttavia possono darsi modifiche del patto senza che con queste la società crolli. “Nonostante le grandi rotture, la società ha sempre dimostrato di ricomporsi. Ciò significa che negli uomini l’istanza di alleanza è superiore a quelle di frattura. Proprio perché gli uomini sanno che, se ognuno va per proprio conto, tutti periscono, gli atti che manifestano un tradimento, una rottura, una violenza, o una guerra, diventano occasioni per riformulare il patto. Fino ad oggi mai nessuna rottura è stata capace di rompere il bisogno di legame insito nell’uomo e nel sociale”. Con modifiche e correzioni del patto la società non dovrebbe mai crollare. “La storia ci dice che la società non è mai crollata. Anche oggi l’umanità cerca di ripatteggiare costantemente. Da questo consegue che l’uomo sente impossibile per sé un’esistenza senza alleanza. La storia dell’umanità dimostra che, malgrado le rotture e le violazioni dei patti, la società ripatteggia. L’ingiustizia patita e il tradimento subito sono le ragioni più ricorrenti di rottura dei patti. Il più delle volte la guerra non rappresenta un atto di tradimento, ma è la conseguenza della insopportabilità del tradimento subito da una delle parti. Nelle società moderne una delle dimensioni attraverso cui si perpetra maggiormente il tradimento è la violazione della giustizia, ovvero la violazione delle giuste proporzioni fissate nell’alleanza”. Circa la natura del patto, si possono verificare casi in cui uno dei due o più contraenti, in genere il più debole, vede nel patto stesso un indice di sicurezza. “Certamente. È possibile, e si preferisce definire questi accordi e queste convenzioni come patti di protezione. Un patto del genere è rischioso perché implica una situazione di disparità tra le parti. Questi patti sono soggetti a una clausola risolutoria, ossia sono validi a condizione che la parte protetta mantenga la propria libertà e la propria identità. Lo stesso si dica dei patti di alleanza e difensivi, perché sono anch’essi assoluti, considerati i termini, e contemplano le stesse possibilità di svincolo. Viceversa, l’alleanza nel patto d’amore è priva del carattere di incondizionatezza, e per questo non prevede clausole formali. Si deve distinguere tra patti che si fondano su ragioni esterne e patti che si fondano sull’affidamento. Il tradimento è tanto più tradimento quanto più alta è la fiducia dell’altro. Il tradimento è tanto meno tradimento quanto più visibile è la clausola di condizione”. Qual è la caratteristica del tradimento? “Una delle caratteristiche del tradimento è l’ambiguità, perché spesso il soggetto non è perfettamente allocato. Con esso il soggetto assume una doppia cittadinanza, in taluni casi una doppia vita, finendo per manifestare un doppio ruolo che è la chiave di contrasto e quindi di volta del tradimento. Tuttavia si può tradire la patria come tradire l’ideale. Ogni giudizio in merito dipende da quanto il soggetto investe nell’uno o nell’altro caso senza però tradire sé stesso. C’è sempre, nel tradimento, qualcuno che perde. Non sono infrequenti i casi in cui l’individuo, sia nella vita personale che nella storia, viene a trovarsi, anche involontariamente, in un doppio ruolo. Certo è che la dimensione del tradimento si lega maggiormente alla fragilità dell’uomo e alle situazioni, per così dire, oblique”. Il patto continua a produrre effetto per il contraente debole nel caso in cui sia stato violato dal contraente forte? “Il patto fallisce quando uno dei due contraenti prevarica sull’altro. Certamente i patti funzionano meglio quando sono contenuti in accordi che riconoscano alle parti una parità di trattamento e di forza. Possono darsi patti in cui una parte accetta di assumere un ruolo secondario e nondimeno si salva la facoltà di recesso qualora il patto non sia rispettato. Se tuttavia la sproporzione è consistente, oppure in assenza di libertà dell’una o dell’altra parte, è difficile che si possa parlare di un’alleanza”. E’ lecito chiamarli patti? “Non può esistere un patto dove si scatena la violenza. La violazione del patto molte volte attiva elementi di rivincita e di vendetta. Il patto violato, più del tradimento, sviluppa un sentimento di vendetta e di violenza giacché si esplica nei confronti di un nemico chiaro e definito. L’individuo perde davvero laddove è maggiormente sicuro”. L’uomo è per natura predisposto al tradimento, oppure il tradimento è implicito nel patto? “Evidentemente l’idea stessa di patto suggerisce il tradimento e la possibilità, non la legittimità, da parte del soggetto di sottrarsi o eludere. L’uomo può perfino tradire l’umanità in sé stessa. L’individuo che viola i diritti umani è facile a perdersi perché non riconosce nemmeno l’umanità in sé. La massima alleanza è quella fondata sul riconoscimento dell’umanità in tutti gli uomini”. Sul significato non solo etimologico della parola “tradimento”, scrive Vilma Torselli: “Tradimento e tradizione hanno la stessa origine etimologica, vengono dallo stesso ceppo, esprimono varianti di uno stesso segno. Tradere, verbo latino che sta per “consegnare”. Gesù fu tradito da Giuda, che lo consegnò ai suoi giudici. Ma l’intera verità del nostro mondo giudaico-cristiano ci è stata consegnata fra mille tradimenti, e riposa nel corpo della tradizione. La morale della fedeltà, quella che prescrive non già di cercare e capire ma di vivere in obbedienza e amore a quanto è stato rivelato, a quanto si crede da generazioni, ha un senso nell’ortodossia religiosa e si innalza su un fondamento biblico. Trasportata nella storia è puro nonsense, rassegnazione intellettuale, animalità meno che canina, diabolica perseveranza. Se scavate dentro la parola, se non vi accontentate della morale della fedeltà, vi accorgerete che il peggiore tradimento, e forse l’unico, è quello che si commette contro la propria libertà.”(Giuliano Ferrara, “Ai comunisti. Lettere da un traditore“, Laterza, 1991). Il verbo tradire (il latino tradere), porta con sé il significato di “consegnare” un ordine precostituito, un sistema preesistente, “in nome di una nuova “consegna”, di un nuovo ordine, di un nuovo sistema. Esso sancisce dunque il dramma del passaggio dal vecchio al nuovo e quindi in sostanza l’eterno dramma del processo evolutivo. Il tradimento ha dunque sempre a che fare con l’abbandono da parte di un sistema di precedenti regole o configurazioni a favore della novità”(Ada Cortese). La parola tradizione, anche in architettura, ha quindi il significato di trasportare, di consegnare ai posteri un sistema, un ordine, un insieme di regole, di norme consolidate, senza perdere di vista che è termine avente in sé il senso di passaggio, di conversione dal vecchio al nuovo, di abbandono, di tradimento di ciò che è stato a favore di ciò che sarà”. Come scrive ancora Ada Cortese, psicoanalista e sociologa, “quando la nuova regola o configurazione si afferma, il tradimento si trasforma in tradizione. Proprio questo è il significato etimologico della tradizione: essa è la storia dei tradimenti passati”. “Il processo evolutivo, necessario ed ineluttabile, si compie quindi all’interno della dinamica tradizione-tradimento, attraverso l’abbandono dell’ultima “consegna” ereditata dalla storia, che verrà tradita in nome della prossima, senza tradizione non c’è cambiamento, senza tradimento non c’è modernità. Tradizione è sinonimo di continuità: la parola si usa quando si vuole porre l’attenzione su una cosa od un concetto, che richiamano un valore ancorato al passato, o al patrimonio di conoscenza collettiva, o semplicemente alla prassi costruttiva consolidata. Tradizione, dal latino “tradere“, significa propriamente trasmettere: è il peso delle cose del passato tradotte nel presente. La definizione è riduttiva, superficiale, incompleta, equivoca e fuorviante, prende vita da quel concetto deteriore di tradizione che Walter Benjamin definisce conformista (“in ogni epoca bisogna combattere per impedire che la tradizione venga sopraffatta dal conformismo che cerca di soffocarla”), non esiste, come recita più avanti lo stesso documento, “una logica tradizionale di continuità e di cauta perturbazione”, se non nell’ambito non già della “tradizione”, ma della “traduzione” (il latino “trans-ducere“, trasportare, “trans loca et tempora ducere“), che in campo culturale rischia sempre di essere un’operazione di inutile dietrologia e di sterile “rassegnazione intellettuale”. Il ‘900 è stato un secolo di cultura “contro”, ma la sua forza produttiva di nuovi linguaggi e di straordinarie innovazioni risiede, per quanto contradditorio possa sembrare, nella tradizione, negata, vilipesa, rifiutata, tradita e proprio per questo sempre presente, seppure in dialettica marcatamente oppositiva: questa è l’importante funzione della “tradizione” e di tutto il tesoro di conoscenza che vi sta nascosto, non già la sua possibilità di “essere espressione di opposizione” a più o meno temibili trasformazioni della modernità e consolatorio paravento alla mancanza di creatività e al timore del nuovo”. Allora, una riflessione è d’obbligo. Quale moralità vi può essere nella richiesta della classica “raccomandazione” del posto” di lavoro a politici, segretari- gregari e porta-borse di qualunquistica mercede, in quelle interminabili code di genitori, figli, nipoti ed ex dirigenti del partito avverso ma sconfitto (bramosi di salire sul carro del vincitore per far scendere i “traditi” di turno), tutti in fila nelle sezioni del partito-corazzata (ma quale refugium peccatorum!), moderna immagine omerica di gente disperata nell’antro della caverna di Polifemo? Lo stato assistenziale all’italiana è il prodotto della cultura e della prassi politica dei partiti di massa nel nostro Paese. Il guaio è che i mediocri fanno carriera! E i politici gongolano, quindi non lamentiamoci quando tradiscono la fiducia di coloro che in loro credono ciecamente. Con conseguenze devastanti sulle dinamiche pratiche di confronto democratico e con risvolti scandalosi da un punto di vista della conoscenza, della informazione pubblica divenuta la terra del massacro delle regole, delle più elementari procedure di una democrazia degna di questo nome.
Il guaio è che i servi mediocri (“asini”) fanno carriera a Teramo, sulla pelle dei migliori (nell’antica Sparta sarebbe stato semplicemente assurdo!), e i politici gongolano nelle loro ingiustizie mentre le libertà fondamentali diminuiscono. Anzi, hanno pure il coraggio di chiamare “opportunismo”, il tradimento della fiducia di una persona. Quindi, il preteso ricambio della classe dirigente, ossia dei luogotenenti il più delle volte “specchio per le allodole” in servizio permanente effettivo sul territorio, è avvenuto in Italia all’interno di un sistema politico primitivo, nutrito di illegalità e corrosivo di ogni norma costituzionale che è stata spolpata e annullata, sistema in cui le dialettiche sono state solo il prodotto di faide di palazzo e mai di un processo di confronto/scontro democratico apportatore di una evoluzione realmente consapevole da parte dell’intera comunità politica dei cittadini. Siamo giunti ad un tale livello di assuefazione al tradimento della fiducia delle persone e al disprezzo delle regole e dei diritti garantiti (in primis, il lavoro) dalla Costituzione della Repubblica che il meglio che possiamo augurarci è la sopravvivenza dei giusti-migliori, non dei mediocri. Quel “gli altri si arrangino…!”, patetica e volgare sentenza di morte partorita da teramani senza coscienza dentro partiti che dichiarano solo chiacchiere ed affari privati, è un abominio che grida Giustizia al cospetto di Dio. “Li ho messi alla prova, li ho testati come nel crogiuolo. Sono vuoti. Meritano la mia e la vostra indifferenza. Credetelo almeno nel vostro stesso interesse”.
Lascia un commento