Obama difende la riforma sanitaria (ed altro)

“Preferisco essere un buon presidente per un mandato che un presidente mediocre per due”. Lo ha detto Barack Obama in una intervista alla “Abc”, difendendo con forza, il 26 scorso,  la sua riforma sanitaria, anche se questa dovesse costargli la rielezione nel 2012. L’approvazione della riforma e’ diventata più difficile dopo la conquista del repubblicano […]

“Preferisco essere un buon presidente per un mandato che un presidente mediocre per due”. Lo ha detto Barack Obama in una intervista alla “Abc”, difendendo con forza, il 26 scorso,  la sua riforma sanitaria, anche se questa dovesse costargli la rielezione nel 2012. L’approvazione della riforma e’ diventata più difficile dopo la conquista del repubblicano Scott Brown del seggio del Massachusetts al Senato. A due giorni dall’atteso discorso sullo Stato dell’Unione e poco dopo aver annunciato misure di sostegno per la classe media che il Congresso dovrà approvare, il presidente americano ha ribadito che manterrà l’orientamento della sua amministrazione. Ma Obama sa bene che la realizzazione sia della riforma sul welfare, sia degli altri obbiettivi della sua politica nazionale ed internazionale, dipende dalle risorse economiche che riuscirà a reperire e mettere in campo. Dopo la sconfitta del 19 gennaio in Massachusetts, dove il partito democratico ha perso il seggio che fu di Ted Kennedy, la terza in tre elezioni, Obama ha capito che se continua ad assecondare le logiche delle lobby anziché mantenere le promesse elettorali, l’unico vero perdente sarà lui e non tanto perché non sarebbe rieletto (cosa a cui non pensa), ma perché già alle elezioni di Mid Term risulterebbe sconfitto e a fine mandato rischierebbe di passare alla storia non come un grande statista, ma  come il presidente che ha tradito la straordinaria fiducia del suo popolo. Così, la settimana scorsa, dopo essersi consultato con la sua “squadra economica” (il ministro del Tesoro Summers, il superconsigliere Geithner e il “dissidente” Paul Volcker), ha dettato un ultimatum alle grandi bance di Wall Street:

– porre limiti alla loro eccessiva crescita

vietare alle banche di possedere o operare come un fondo Hedge o un fondo di private equity

abolire il principio “too big to fail”, troppo grandi per fallire

limitare i bonus.

Paletti quindi alle eccessive prese di rischio delle società, che sono uno dei motivi della crisi ed un severo monito agli “eccessi sconsiderati di Wall Street”,  che non solo deve “restituire gli aiuti”, ma deve dire addio alle vecchie pratiche e ai rischi eccessivi che hanno spinto il sistema finanziario e l’economia “sull’orlo del collasso”. Non mancano tuttavia, osservatori che, negli USA, affermano che, se adottate, le misure di Obama porteranno il sistema indietro di anni: le nuove iniziative dell’amministrazione, infatti, sembrano trarre ispirazione dal Glass-Steagall Act, entrato in vigore dopo la Grande Depressione e che proibiva alle banche commerciali, o a società da queste controllate, di sottoscrivere, detenere, vendere o comprare titoli emessi da imprese private. Le banche quindi potrebbero essere costrette a decidere fra l’attività retail e quella di proprietary trading, e di conseguenza a separarsi. E, naturalmente, le grandi banche hanno subito scagliato la loro controffensiva, affidata al quotidiano online The Politico, secondo il quale la tassa perevista da Obama avrà effetti negativi sull’economia, costando fino a 1.000 miliardi di dollari in prestiti perduti. Un banchiere ha spiegato che “il denaro raccolto dall’erario verrà tolto al sistema bancario ed ogni dollaro di capitale ne genera 10 in prestiti”. E siccome Obama punta a recuperare intorno ai 100 miliardi di dollari, i prestiti perduti saranno intorno ai 1.000 miliardi. Alcune grandi banche sono ancora più pessimiste. Bofa e Jp Morgan stimano in circa 1,5 miliardi ognuno la somme da versare all’erario. Staremo rta a vedere se vincerà la strategia della paura e dei grandi profitti (e profittatori) o quelli del buon governo, rivolto ai cittadini più deboli e meno garantiti.

Carlo Di Stanislao

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