I suoi occhi ci mancheranno

Aveva 89 anni ed è morto l’11 gennaio nella sua Parigi, occupandosi sino all’ultimo della sua piccola-grande casa di produzione cinematografica: Films du Losange. Considerato l’ultimo grande della “Nouvelle Vauge”, Eric Rohmer, pseudonimo di Jean Marie Maurice Scherer era nato a Nancy, in Lorena, il 4 aprile 1920 e realizzato la sua ultima pellicola, “Gli […]

Aveva 89 anni ed è morto l’11 gennaio nella sua Parigi, occupandosi sino all’ultimo della sua piccola-grande casa di produzione cinematografica: Films du Losange. Considerato l’ultimo grande della “Nouvelle Vauge”, Eric Rohmer, pseudonimo di Jean Marie Maurice Scherer era nato a Nancy, in Lorena, il 4 aprile 1920 e realizzato la sua ultima pellicola, “Gli amori di Astrea e Celadon (“Les amours d’Astrée et de Céladon”), nel 2007. Romanziere prima che regista, Rohmer firmò nel 1946 “Elizabeth” (in Italia uscito nel 2005 da Mondadori) come “Gilbert Cordier”. Come omosessuale (come il fratello René, grande teorico e saggista), e monarchico, Rohmer era ancora più “diverso”. Con questo retaggio, noto solo agli intimi, Rohmer dal 1957 al 1963 diresse i “Cahiers du cinéma”, la rivoluzionaria  rivista della “Nouvelle Vague”. In cinquant’anni di febbrile attività, ha firmato 24 lungometraggi, tra cui alcuni indiscussi capolavori: “La mia notte con Maud” (“Ma nuit chez Maud”,1969), “Il ginocchio di Claire” (“Le genou de Claire”, 1970) e ancora “Il raggio verde” (“Le rayon vert”, 1986). La vulgata divide l’opera di Rohmer in blocchi. Ci sono i “Racconti morali”, sei titoli tra cui La collezionista (1967), premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino, ma soprattutto da una della più seducenti presenze nella storia del cinema, quella di Haydée Politoff; La mia notte con Maud (1969), uno dei rari film a porre seriamente la questione sesso/fede; Il ginocchio di Claire (1970) e L’amore nel pomeriggio (1972). Ci sono poi le “Commedie e proverbi”, sette titoli tra i quali Le notti di luna piena (1984) e Il raggio verde (1986), premiato col Leone d’oro al Festival di Venezia. E ci sono i «Racconti delle quattro stagioni», dal Racconto di primavera (1990) al Racconto d’autunno (premiato alla Mostra di Venezia, 1999).
In realtà non vi è mai stata divisione nella sua produzione, tutta protesa ad una sguardo nuovo, poetico ed onesto sul mondo e sulle cose, con una sensibilità particolare per gli uomini e, soprattutto, per le donne. E, appunto, il suo sguardo ci mancherà, moltissimo.

Carlo Di Stanislao

Riproduzione Riservata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *