La verità in fondo al pozzo

Il Fiocco Tricolore nel Giorno del Ricordo AD 2010, perché “la verità è sempre rivoluzionaria”. Mettiamoci dei panni di tutte le vittime infoibate: la Verità in fondo al pozzo. Una giornata che assume a Teramo un significato particolare, congiungendo idealmente due tragedie della Storia: la Shoah del popolo ebraico e il genocidio di decine di […]

Il Fiocco Tricolore nel Giorno del Ricordo AD 2010, perché “la verità è sempre rivoluzionaria”. Mettiamoci dei panni di tutte le vittime infoibate: la Verità in fondo al pozzo. Una giornata che assume a Teramo un significato particolare, congiungendo idealmente due tragedie della Storia: la Shoah del popolo ebraico e il genocidio di decine di migliaia di italiani infoibati. Iniziativa della Questura di Teramo per il Centenario della nascita di Giovanni Palatucci del quale ricorre il centenario della nascita il 10 febbraio 2010. Il ricordo è di tutti e per tutti. Proponiamo la lettura dei due volumi del professor Marco Pirina: “1945-1947 Guerra Civile. La Rivoluzione Rossa”. Il 10 febbraio si commemora il “Giorno del ricordo” ovvero il giorno, come recita la legge 92 del 30 marzo 2004, istituito “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”(art. 1). Dopo decenni di oscuro oblio (anche nelle lezioni di Storia) il Parlamento italiano nell’approvare la legge istitutiva, ha restituito dignità alla memoria delle migliaia di italiani trucidati barbaramente sul confine orientale e dei 350 mila connazionali costretti all’esilio dalle terre natie di Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla repressione dei partigiani comunisti del Maresciallo Tito ed alla sistematica pulizia etnica attuata nei confronti dei cittadini italiani. Fu una vera pulizia etnica, un genocidio. La Verità certamente non può essere infoibata, ma la Verità deve essere ancora ricostruita. Tra l’ottobre del 1943 e il maggio del 1945 decine di migliaia di italiani furono uccisi dai partigiani comunisti di Tito. Catturati nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni, vennero imprigionati e poi gettati ancor vivi (legati con il filo di ferro, imbottiti di granate) nelle cavità carsiche, chiamate foibe. Militari, finanzieri, marinai, maestri elementari, impiegati comunali e minatori. Bastava essere italiani per finire nella lista nera e in fondo ai pozzi carsici. In nome dell’amicizia di buon vicinato con l’ex Jugoslavia di Tito, l’Italia affossò la verità storica in quelle fosse nere senza fine, tombe della Verità e della Dignità di una Nazione sconfitta. Il 10 febbraio 1947 quando fu ratificato il Trattato di pace che sanciva il passaggio alla Jugoslavia delle ex province italiane dell’Adriatico, la tragedia assunse i contorni dell’umiliazione di un Paese umiliato e distrutto dall’insensata guerra e di una Nazione da ricostruire integralmente daccapo. Gli italiani che dovettero abbandonare l’Istria, la nostra terra per secoli, certamente non furono ben accolti in patria e molti lo dimenticano. Che significa? Nella pratica questa giornata significa che dobbiamo ricordare tutte le vittime (anche le altre, degli sloveni per esempio), ovvero tutti i “nemici del popolo” che finirono nelle foibe allora e che c’erano già finiti, prima di allora, spinti anche da molti compatrioti fascisti e comunisti. Il problema non è come si fa a conservare la memoria di qualcosa, ma smontare quella macchina mentale e culturale (infernale) che fa di tutto per non avere il quadro corretto della Storia. Il 10 febbraio commemoriamo la tragedia nazionale ed europea delle foibe, l’esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, nostri compatrioti frontalieri. La sensibilità e l’attenzione dimostrate nell’iniziativa legislativa in corso nella Regione Abruzzo intende valorizzare l’impegno delle istituzioni nella promozione culturale e sociale del Giorno del Ricordo, attraverso la conoscenza di tali tragici eventi di pulizia etnica ad opera dei partigiani comunisti iugoslavi e del conseguente esodo degli istriani, per l’affermazione di una coscienza civile che favorisca il superamento della cultura del pregiudizio e dell’odio. Il “Comitato 10 Febbraio” ogni anno si attiva presso le scuole di ogni ordine e grado, con informazioni utili alla conoscenza di una tragedia storica consumata su due fronti: l’eliminazione fisica e l’esodo. Le uccisioni e il fenomeno dell’esodo, determinato questo sia dal terrore psicologico delle foibe sia dalle deportazioni e dalla perdita della cittadinanza e della propria cultura – spiega il Comitato – hanno riguardato indistintamente militari e civili italiani, vittime del comunismo titino. La scuola, che è il luogo della conoscenza e dell’istruzione, ha anche l’alto compito di formare i giovani per la vita, di favorire lo sviluppo del senso civico, di educarli ai valori della cittadinanza, della pace, della solidarietà e del rispetto della persona. Le istituzioni scolastiche e in particolare i docenti, sono invitati a promuovere nell’ambito dei percorsi didattici e dell’offerta formativa, momenti di studio, di riflessione sul rispetto della persona, delle diversità e della collaborazione e solidarietà tra i popoli al fine di superare pregiudizi e odi di parte. La celebrazione del Giorno del ricordo, recuperando una parte della storia del popolo italiano, può essere l’occasione per conoscere e per capire: conoscenza e comprensione sono le basi da cui partire per sentirsi integralmente cittadini. L’Italia non può e non vuole dimenticare tutte le vittime: non perché il Giorno anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro. Un appuntamento nato dai giovani e rivolto ai giovani, per comunicare e informare utilizzando gli stessi linguaggi, al fine di creare un sentimento di empatia e fare proprio un ricordo che fa parte della cultura nazionale del nostro Paese, per respirare l’italianità di terre apparentemente lontane, abolendo la distanza tra classe politica e cittadini, tra adulti e giovani perché il ricordo è di tutti e per tutti. La Regione Abruzzo ha il dovere di individuare nella Legge le forme migliori per commemorare e celebrare adeguatamente i nostri connazionali frontalieri, la cui storia rivive ogni giorno nella toponomastica delle nostre città. Per questi motivi indossiamo il fiocco Tricolore, simbolo di riconoscimento per tutti quegli italiani che vogliono con questo semplice gesto ricordare il 10 Febbraio. Una giornata che assume a Teramo, quest’anno, un significato particolare, congiungendo idealmente due tragedie della Storia: la Shoah del popolo ebraico e il genocidio di decine di migliaia di italiani infoibati. Ricorre, infatti, il 10 febbraio 2010 il centenario della nascita di Giovanni Palatucci, ultimo Questore di Fiume che riuscì, durante la seconda guerra mondiale, a salvare oltre 5 mila ebrei. Per l’occasione il Questore di Teramo, d’intesa con il Vice Presidente della Provincia, Dr. Rasicci ed il Dirigente Scolastico del Liceo Ginnasio “M. Delfico”, Prof. Rofi, ha organizzato un incontro con gli studenti del Terzo Liceo presso la Sala Polifunzionale della Provincia, alle ore 9 con la proiezione del film “Senza confini”, che narra la vicenda umana del Dr. Palatucci. Parteciperanno anche gli studenti del Terzo Liceo Europeo del Convitto Nazionale. Agli studenti verrà distribuito un libro di Padre Stano, postulatore della causa di beatificazione.

“La verità è sempre rivoluzionaria”, diceva Gramsci e pare che i due volumi di Marco Pirina rispondano pienamente al vecchio e sempre attuale messaggio. Il primo volume del professor Marco Pirina,“1945-1947 Guerra Civile. La Rivoluzione Rossa” (edito dal Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur), è un libro (407 pp.) che punta i riflettori su un periodo storico fino ad oggi immerso nelle tenebre della memoria. Ma ecco pubblicato anche il secondo volume dell’opera (528 pagine, ottobre 2004), con centinaia di testimonianze e memorie che ricostruiscono la tragedia del Dopoguerra italiano, le stragi di repubblicani e loro familiari nelle Foibe, dopo la fine della guerra, l’eliminazioni gappiste di industriali, artigiani, agrari, preti, cattolici, socialisti, ex partigiani, “nemici” dei progetti rivoluzionari di chi non depose le armi nel nome di una “rivoluzione rossa”, che crearono le contraddizioni storico-politiche che ancora oggi alimentano la disinformazione in Italia e nel resto del mondo. In questi libri, per la prima volta vengono pubblicati integralmente i rapporti ufficiali dei Carabinieri sui fatti, copie di atti processuali, relazioni del Ministero dell’Interno e dell’intelligence americana. E i nomi delle vittime, reperiti da fonti ufficiali a guerra finita: oltre 50mila di cui 15mila insepolti. Ma che successe dopo il 25 aprile del 1945? E perché fu strappata un’importante pagina della storia d’Italia? Il doppio volume di Pirina recupera fatti, nomi, storie e raccoglie i frammenti dei feroci massacri compiuti dai partigiani comunisti verso i fascisti (gli ex), i repubblichini e gli inermi, fra cui preti, imprenditori e borghesi che non accettarono di partecipare al diabolico “disegno” e che non condividevano o intralciavano la strada dei partigiani comunisti verso il progetto rivoluzionario. L’Autore porta alla luce le pagine del diario di una Storia rimasta nascosta per più di 60 anni. La ricerca di Pirina è iniziata quando ebbe il coraggio e la volontà di ricomporre quella pagina della Storia strappata, il post-dopoguerra. Come nei libri di testo scolastici mancano ancora le Foibe e la Guerra Civile italiana dopo l’8 settembre 1943, così i testi degli storici di questi ultimi 50 anni si erano lasciati indietro l’analisi del post-dopoguerra. Quando la Resistenza contro l’invasore, nella quale la Patria rinacque, era finita, qualcuno pensava di realizzare qualcos’altro. Un progetto rivoluzionario. Finita la Resistenza si è passati alle esecuzioni sommarie di fascisti, ex fascisti, di quanti coinvolti con la Repubblica Sociale Italiana e di civili innocenti. Un tema che ha per nostra fortuna interessato intellettuali di sinistra come Gianpaolo Pansa e Giovanni Pisanò. Ma qual è la differenza tra l’approccio di Pirina, di Pansa ne “Il sangue dei vinti” o di Pisanò ne “Il triangolo rosso”? Pirina ha lavorato su documenti e testimonianze, su atti giudiziari, su inchieste, su fonti giornalistiche e religiose. Il suo libro non è né un racconto né una ricostruzione storica: è la ricerca storica degli avvenimenti con una dimensione, una data ed un riferimento precisi. Qui non c’è quasi nulla di opinabile. È un diario cronologico di tutte le regioni del nord Italia, provincia per provincia, dal 1945 ai primi del 1948. Ricompone, insieme ai suoi collaboratori del Centro Studi, episodi e fatti avvenuti in tante parti del nord Italia, offrendo una chiave di lettura: ciò che accadde in Emilia Romagna aveva uno stesso messaggio, un medesimo disegno, identico alle altre regioni del nord Italia. “Vi era un progetto – spiega Pirina- perché ciò che accadde in Istria, in Venezia Giulia e in Friuli, corrispondeva esattamente a quanto successe in Emilia Romagna, in Piemonte, in Lombardia. Un piano preciso. Cominciato ben prima della fine della guerra, con Porzus il 7 febbraio 1945, con l’uccisione dei partigiani cattolici e azionisti socialisti, ammazzati dai partigiani comunisti. Successivamente anche la chiave di lettura che in questi ultimi anni si è data delle Foibe è stata molto falsata. Perché è stato accentuato un principio di lettura etnico: si è detto che sono stati gli slavi. Invece non è vero!”. Perché c’erano anche i partigiani comunisti italiani “che fisicamente sono andati a prelevare coloro che erano nemici del progetto internazionalista comunista. Perché sul confine era più facile. Era possibile realizzare il piano meglio che in Emilia Romagna, perché l’annessione avrebbe portato all’estensione anche territoriale”. Ma la ricostruzione di Pirina non riguarda solo le uccisioni dei fascisti. Ecco la novità assoluta. Nelle altre regioni del nord Italia si è passati, dopo l’uccisione dei fascisti, all’uccisione di un sindaco socialista a Bologna (solo per citare un esempio), di preti, di commercianti, di borghesi, di imprenditori, di gente che col fascismo non aveva avuto niente a che fare, ma che faceva parte di quel ceto che rifiutava il progetto rivoluzionario comunista. E nei territori dove il controllo era maggiore, perché più forti erano state le formazioni partigiane garibaldine che non avevano mollato le armi, questo progetto si estese nel tempo. “Così a Milano, per esempio, la Volante Rossa continuò ad ammazzare con stile gappista fino al 1949 quando i principali responsabili, invece di essere processati, furono fatti scappare dal partito e da Togliatti stesso…e i responsabili poi occuparono dei posti di enorme prestigio nei paesi dell’Est”. Togliatti li difese. “Furono protetti da Togliatti il quale da una parte fece finta di minimizzare o di isolare questa scheggia impazzita e dall’altra la difese facendo andare all’estero oltre 34mila responsabili. Terribile fu, quando con le due amnistie del 1952 e del 1953 (quando la DC ha il controllo del governo in senso maggioritario) furono coperti tutti i reati avvenuti dal ’45 al ’47. Questo è importante perché mostra con chiarezza la chiave di lettura che ho dato del tentativo rivoluzionario”. Dunque venivano eliminati i nemici di questa rivoluzione rossa: ecco la differenza di lettura tra il libro di Pirina e quello di Pansa il quale esamina il momento della jacquerie rivoluzionaria nei confronti dei vinti, che c’è stata ed è presente anche nel libro di Pirina. Ma poi non è finita. “Perché una scheggia del Partito Comunista che faceva riferimento a Pietro Secchia, non voleva perdersi il momento buono: avevano le armi, avevano il controllo di alcuni territori, avevano tutto. Quindi ci potevano provare. Non ci sono riusciti, ma ci hanno provato. E per farlo c’erano da eliminare tutti coloro che rappresentavano un pericolo per il disegno, come nel caso di Gorizia dove vengono uccisi i membri del Comitato Liberazione Nazionale. O come a Trieste o come gli industriali di Reggio Emilia…”. Poi, con le elezioni del 18 aprile 1948 si alimenta la fiammata rivoluzionaria. “Le schegge minime continuano ad essere presenti nelle varie cellule e nei diversi paesi dove c’è una predominante elettorale comunista. Poi si vanno a riversare negli anni ’60 e ’70, in quelle che poi diventeranno le Brigate Rosse…”. Nei libri di Pirina, inoltre, viene denunciato apertamente il legame che unisce l’azione dei partigiani comunisti dopo il 25 aprile, con l’attività terroristica delle Br. “C’è un legame, un filo rosso come lo chiama Massimo Caprara, che continua sempre. E l’esame di queste radici storiche l’ho voluto fare sui fatti. Basta leggere, nel capitolo di Reggio Emilia, le dichiarazioni del partigiano William: il Partito Comunista mi ha ordinato di uccidere e di fare la rivoluzione. Ma senza la lettura di questi fatti, svanisce anche l’interpretazione della grande spaccatura che c’è, ancora oggi, tra gli italiani. Proprio perché non è mai stato esaminato con serenità quello che successe in quegli anni. Attraverso il suo metodo, la trascrizione di episodi violenti, di flash crudeli, Pirina sostiene che il libro non rischia affatto di riaccendere l’odio, come alcuni pensano. “Assolutamente no. Se lo si legge con lo spirito che gli ho voluto dare, restituisce dignità alla Memoria. Il rancore nasce proprio dal silenzio. Vanno ricordati sia le vittime sia i responsabili”. E sul perché in fondo al libro vi siano delle pagine bianche, l’Autore non ha dubbi: “Per coinvolgere i testimoni, finché ci sono…”

Nicola Facciolini