Terremoto Cile Tutti salvi gli scienziati Eso

Nell’esprimere la nostra solidarietà e vicinanza al popolo cileno, la cronaca registra anche informazioni positive. Il disastroso terremoto (M=8.8) che in Cile ha sconvolto la vita di milioni di persone, sabato 27 febbraio 2010, ha solo sfiorato i tre grandi Osservatori astronomici dell’European Southern Observatory (Eso); miracolosamente illesi tutti gli scienziati che hanno espresso la […]

Nell’esprimere la nostra solidarietà e vicinanza al popolo cileno, la cronaca registra anche informazioni positive. Il disastroso terremoto (M=8.8) che in Cile ha sconvolto la vita di milioni di persone, sabato 27 febbraio 2010, ha solo sfiorato i tre grandi Osservatori astronomici dell’European Southern Observatory (Eso); miracolosamente illesi tutti gli scienziati che hanno espresso la loro solidarietà ai familiari delle vittime del sisma ed a coloro che hanno subito danni e perdite. L’epicentro del settimo terremoto più disastroso al mondo, era focalizzato a 115 km nord-nordest della città di Concepción ed a 325 km sud-ovest della capitale Santiago. Il sisma che ha distrutto oltre mezzo milione di abitazioni (oltre 800 le vittime), nulla ha potuto contro il “sancta sactorum” dell’astronomia mondiale. Solo nell’osservatorio di La Silla è andata via la corrente per 10 minuti con una breve interruzione delle comunicazioni. Tutte le altre installazioni scientifiche dell’Eso (Paranal Observatory, APEX telescope ed ALMA) non hanno subito danni. Tranne l’edificio che ospita l’Eso nella Capitale e le comunicazioni Internet interrotte fino a lunedì scorso, conferma Claus Madsen dell’Eso. “La ragione del fatto che i nostri osservatori si siano salvati – fa notare Madsen – è dovuta non solo alla distanza dall’epicentro, ma anche all’ottima tenuta delle nostre installazioni costruite con criteri antisimici, in grado di resistere a terremoti di quella magnitudo. Nel 1995, il nord del Cile fu sconvolto da un sisma di magnitudo 7.8. All’epoca il VLT Observatory era in costruzione, non ancora in sicurezza e considerevolmente esposto al sisma, ma non subì danni significativi”. L’Eso è la principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa e l’osservatorio astrofisico più produttivo al mondo. E’ sostenuto da 14 paesi: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna. Mette in atto un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strutture astronomiche da terra che consentano agli astronomi di fare importanti scoperte scientifiche. L’Eso ha tre grandi osservatori astronomici in Cile, ciascuno dei quali dotato di telescopi multipli installati nel deserto dell’Atacama a 2.600 metri di altitudine. Ha anche un ruolo preminente nel promuovere e organizzare cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti unici di livello mondiale in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. A Paranal, l’Eso ha il Very Large Telescope, l’osservatorio astronomico nella banda visibile più d’avanguardia al mondo. L’Eso è il partner europeo di un telescopio astronomico rivoluzionario, l’Atacama Large Millimeter-submillimeter Array (ALMA), il più grande progetto astronomico esistente, insieme al famoso Very Large Telescope. Sempre in Cile l’Eso sta pianificando al momento un nuovo potentissimo osservatorio (European Extremely Large optical-infrared Telescope) con uno specchio primario di 42 metri di diametro, il più grande “occhio” mai costruito al mondo per scrutare i segreti dello spazio cosmico. Dai cieli cileni, solo qualche settimana fa gli astronomi dell’Eso, studiando un sistema planetario triplo che ricorda una versione in grande della famiglia di pianeti del nostro luminare, avevano ottenuto il loro primo spettro diretto (“impronta digitale chimica”, la nuova Stele di Rosetta dell’astronomia) di un pianeta che orbita attorno a una stella distante 130 anni-luce www.eso.org/public/italy/astronomy/teles-instr/paranal.html) dalla Terra. Alla vigilia della prima “candelina” in orbita per il telescopio spaziale Keplero, l’analisi e l’integrazione dei dati consentirà di ottenere nuove informazioni sulla formazione e sulla composizione del corpo celeste. Questo risultato rappresenta una pietra miliare nella ricerca della vita nell’Universo. What’s the story? Ci siamo: “VLT captures first direct spectrum of an exoplanet”: il telescopio ha visto la luce di un altro mondo. “Lo spettro di un pianeta è come un’impronta digitale che fornisce informazioni-chiave sugli elementi chimici presenti nell’atmosfera – spiega il dr. Markus Janson, primo autore dell’articolo che riporta le nuove scoperte. “Con questa informazione possiamo comprendere meglio come si è formato il pianeta e in futuro potremmo persino essere in grado di rilevare i segni rivelatori della presenza di vita”. I ricercatori hanno ottenuto lo spettro di un pianeta extrasolare gigante che orbita attorno alla luminosa e giovanissima stella HR 8799, stella bianca situata nella costellazione di Pegaso. Il sistema si trova a circa 130 anni luce dalla Terra. Dunque molto più lontano di Pandora (Avatar). La stella ha una massa 1,5 volte quella del Sole e ospita un sistema planetario che assomiglia a un modello gigante del nostro Sistema Solare. I tre pianeti gassosi, con masse fra 7 e 10 volte quella di Giove, erano stati rilevati in precedenza da un altro gruppo di astronomi. I pianeti sono fra 20 e 70 volte più distanti dalla loro stella di quanto la Terra è dal Sole. Il sistema alieno mostra anche due cinture di oggetti minori, simili alle fasce di asteroidi-comete e di quella di Kuiper. “Il nostro obiettivo era il pianeta intermedio fra i tre, che è circa dieci volte più massivo di Giove e ha una temperatura di circa 800 gradi – fa notare Carolina Bergfors del team di ricerca – dopo più di cinque ore di posa, siamo stati in grado di strappare lo spettro del pianeta alla luce molto più brillante della stella centrale”. Questa è la prima volta che lo spettro di un pianeta che orbita una stella normale, quasi simile al Sole, è stato ottenuto direttamente. In precedenza, i soli spettri ottenibili richiedevano che un telescopio spaziale osservasse un pianeta extrasolare nell’attimo del passaggio dietro la sua stella centrale, ossia durante l’eclissi. Lo spettro poteva essere ottenuto confrontando la luce della stella prima e dopo l’evento. Tuttavia questo metodo può essere applicato solo se l’orbita del pianeta extrasolare si presenta di taglio, cosa che si verifica solo per una piccola frazione di sistemi planetari extrasolari. Questo spettro, invece, è stato ottenuto da terra, utilizzando il Very Large Telescope (VLT) dell’Eso, mediante osservazioni dirette che non dipendono dall’orientazione dell’orbita. Dato che la stella centrale è molte migliaia di volte più luminosa del pianeta, questo è un notevole risultato. “È come cercare di capire di cosa è fatta una candela, osservandola da una distanza di due chilometri mentre si trova vicina a una accecante lampada da 300 Watt” – spiega Janson. La scoperta è stata resa possibile dallo strumento infrarosso Naco montato al VLT, e si basa sulle straordinarie capacità del sistema a ottica adattiva dello strumento. Immagini e spettri persino più accurati di pianeti extrasolari giganti si attendono sia dallo strumento di prossima generazione Sphere — che verrà installato al VLT nel 2011 — sia dall’European Extremely Large Telescope. I nuovi dati ottenuti mostrano che l’atmosfera che avvolge il pianeta è ancora poco compresa. “Le strutture spettrali osservate non sono compatibili con i modelli teorici correnti – rivela il co-autore Wolfgang Brandner – dobbiamo prendere in considerazione una descrizione più dettagliata delle nubi di polvere atmosferiche, o accettare che l’atmosfera ha una composizione chimica diversa da quella che ci si aspettava”. Gli astronomi sperano di poter presto mettere le mani sulle impronte digitali degli altri due pianeti giganti così da poter confrontare, per la prima volta, gli spettri di tre pianeti appartenenti allo stesso sistema. “Questo certamente porterà nuova luce sui processi che portano alla formazione di sistemi planetari come il nostro” – sostiene Janson. Non solo. Ora gli astronomi potranno estendere e perfezionare le loro osservazioni ai 429 pianeti extrasolari finora scoperti in 362 stelle (http://planetquest.jpl.nasa.gov/). Come dimostra ogni arcobaleno, la luce bianca può essere separata in colori differenti. Gli astronomi separano artificialmente la luce che ricevono da oggetti distanti nei suoi diversi colori (o “lunghezze d’onda”). Ma mentre nell’arcobaleno noi distinguiamo abitualmente cinque o sei colori, gli astronomi riproducono centinaia di finissime sfumature di colore, realizzando uno spettro — una trascrizione delle diverse quantità di luce emessa dall’oggetto a ciascuna sottile banda di colore. I dettagli dello spettro — più luce emessa in certi colori, meno luce in altri — forniscono segni rivelatori riguardo alla composizione chimica della materia che genera la luce. Questo fa della spettroscopia, la registrazione degli spettri, un importante strumento investigativo in astronomia. Nel 2004 gli astronomi hanno utilizzato NACO al VLT per ottenere un’immagine e uno spettro di un oggetto 5 volte la massa di Giove, rotante attorno a una nana bruna — una “stella fallita”. Si pensa però che la coppia si sia formata nel suo insieme, come un piccolo sistema binario, piuttosto che separatamente, col compagno formatosi nel disco attorno alla nana bruna come in un sistema stella-pianeta. I telescopi a terra risentono dell’effetto di confusione introdotto dalla turbolenza atmosferica. Questa turbolenza provoca lo scintillio delle stelle che fa deliziare poeti e sognatori, ma riempie di frustrazione gli astronomi, dato che distrugge i fini dettagli delle immagini, ossia le informazioni più utili. Con tecniche di ottica adattiva, questo grave inconveniente può essere superato, rendendo il telescopio capace di produrre immagini alla massima nitidezza teoricamente possibile, cioè avvicinandosi alle condizioni esistenti nello spazio. I sistemi di ottica adattativa funzionano grazie a uno specchio deformabile controllato da un computer, che controbilancia le distorsioni dell’immagine introdotte dalla turbolenza atmosferica. Il sistema si basa su correzioni ottiche compiute in tempo reale ad altissima velocità (molte centinaia di volte al secondo) sulla base di immagini ottenute da un sensore di fronte d’onda (una speciale telecamera) che controlla la luce di una stella di riferimento. L’Eso ha reso inconsapevolmente reso omaggio a due straordinarie pellicole cinematografiche in odore di Oscar: “Avatar” di James Cameron che trionfa anche in Italia battendo Titanic, e “Star Trek” di J.J. Abrams. Sulle tracce di un felino cosmico dipinto dal Creatore, sempre in Cile è stata immortalata la Nebulosa Zampa di Gatto, dedicata a popolo Na’vi del pianeta Pandora ma anche alla Federazione Unita dei Pianeti (“Star Trek”) visto che al centro della foto campeggia chiaramente il simbolo della Flotta Stellare. Pochi oggetti nel cielo sono stati soprannominati in modo così calzante come la “Nebulosa Zampa di Gatto”, una nube di gas incandescente che ricorda l’impronta gigante della zampa di un gatto celeste, uscito per una passeggiata attraverso l’Universo. L’astronomo britannico John Herschel fu il primo a notare NGC 6334 nel 1837, durante il suo soggiorno in Sud Africa. Nonostante l’utilizzo di quello che all’epoca era uno dei più grandi telescopi al mondo, pare che Herschel abbia osservato solo la parte più luminosa della nube, visibile qui in basso a sinistra. NGC 6334 si trova a circa 5500 anni luce di distanza da noi, nella direzione della costellazione dello Scorpione, e ricopre un’area del cielo appena più grande della Luna piena. L’intera nube di gas ha un’estensione di circa 50 anni luce. La nebulosa appare di colore rosso perché la sua luce blu e verde viene dispersa ed assorbita in modo più efficace dal materiale che si trova tra la nebulosa e la Terra. La luce rossa è dovuta soprattutto all’idrogeno gassoso, che diventa incandescente sotto l’intensa luce delle stelle giovani e calde. NGC 6334 è uno dei vivai di stelle massicce più attivi nella nostra galassia ed è stata largamente studiata dagli astronomi. La nebulosa cela brillanti stelle blu di recente formazione – ognuna con una massa pari a circa dieci volte quella del nostro Sole e nate negli ultimi milioni di anni. La regione ospita anche molte stelle appena nate, sepolte tra strati di polvere, il che ne rende difficile lo studio. In totale, la “Nebulosa Zampa di Gatto” potrebbe contenere diverse decine di centinaia di stelle. Ciò che colpisce particolarmente è l’intricata bolla rossa nella parte dell’immagine in basso a destra. Si tratta molto probabilmente di una stella che sta espellendo una gran quantità di materia ad alta velocità durante una delle sue ultime fasi di vita, oppure di quel che resta di una stella che è già esplosa. Questo nuovo ritratto della “Nebulosa Zampa di Gatto” è stato creato a partire da immagini ottenute con lo strumento Wide Field Imager (WFI) sul telescopio MPG/ESO di 2.2 metri, presso l’Osservatorio di La Silla in Cile, combinando immagini ottenute attraverso filtri blu, verdi e rossi, e uno speciale filtro creato per far passare la luce dell’idrogeno incandescente. Ecco il video: http://www.eso.org/public/videos/eso1003a/ (cortesia ESO/Digitized Sky Survey 2/S.Guisard,S.Brunier).

Nicola Facciolini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *