Un graffiante video persiano

Girato di nascosto e in condizioni terribili a Teheran, pochi mesi prima delle   scorse elezioni, “I gatti persiani” di Bahman Ghobadi a Cannes è stato premio speciale della giuria Un Certain   Regard, nel maggio 2009, quando in Iran si respirava un grande fermento sociale e   si pensava seriamente a un rinnovamento politico. Poi i risultati elettorali […]

Girato di nascosto e in condizioni terribili a Teheran, pochi mesi prima delle   scorse elezioni, “I gatti persiani” di Bahman Ghobadi a Cannes è stato premio speciale della giuria Un Certain   Regard, nel maggio 2009, quando in Iran si respirava un grande fermento sociale e   si pensava seriamente a un rinnovamento politico. Poi i risultati elettorali hanno disatteso le   aspettative. Ma nel film del regista di “Baneh” (dal 16 aprile nelle   nostre sale) si respira quella tensione pronta ad esplodere che ha animato i   giovani iraniani e ancora fermenta sotto. La pellicola racconta la storia di   due giovani musicisti, un uomo e una donna, da poco usciti di prigione ma   ostinati a formare una band. Per farlo setacciano il mondo underground di   Teheran. Ma suonare è vietato in Iran, per questo devono nascondersi per fare la   loro musica, progettando di fuggire dalla loro esistenza clandestina e sognando   di esibirsi in Europa. Il finale non fa che esaltare la semplice bellezza della storia. In un niente sorprende e scuote, lasciando dentro un battito incalzante e infuocato dalla passione. Come i gatti, i giovani protagonisti della storia di Ghobadi sono costretti a star chiusi, ma la loro musica li porta in tutti gli angoli del mondo. Senza bisogno di passaporto. On-line, Panorama.it offre un   estratto-video del film su:  http://blog.panorama.it/culturaesocieta/2010/04/14/i-gatti-persiani-il-graffiante-film-di-ghobadi-video-in-esclusiva. Aiuto regista di Abbas Kiarostami per il film Il vento ci porterà via (Bad ma ra khahad bord, 1999) e attore per Samira Makhmalbaf per il film Lavagne (Takhté siah), dopo aver realizzato diversi cortometraggi, Bahman Ghobadi esordisce alla regia di un lungometraggio nel 2000,  con Il tempo dei cavalli ubriachi (Zamani barayé masti asbha), che presentato nella Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, vince la Caméra d’or per la miglior opera prima e il premio FIPRESCI. Gira poi (2002) Marooned in Iraq  e, ancora (2004) Turtles Can Fly, cui sono attribuiti svariati premi in diversi festival internazionali, tra cui il Peace Film Award al Festival di Berlino, la Concha d’oro per il miglior film al Festival di San Sebastian, il premio del pubblico al Rotterdam International Film Festival. Due anni dopo, con Half Moon, Ghobadi vince nuovamente il premio maggiore a San Sebastian. Questo suo ultimo film, dal titolo non casuale, poiché in Iran è vietato portare fuori sia i cani che i gatti e allo stesso modo i ragazzi protagonisti del film sono costretti a nascondersi per suonare la loro musica, virtualmente proibita dalle autorità, scava nell’underground urbano portando in superficie l’esplosiva vena musicale di un’intera generazione. Il film, girato in soli 17 giorni, è patrocinato da Amnesty International, e distribuito dalla Bim.

Carlo Di Stanislao

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