Fuga di capitali e pianto greco

Svanita, a inizio mese, l’ ipotesi di un road show per promuovere i bond di Atene in Asia, forse a causa dello scarso interesse mostrato finora dagli investitori del continente e stabilito che occorreranno aiuti Ue per 80 miliardi di euro, ad aggravare il clima d’ incertezza che circonda la situazione finanziaria greca si aggiungono […]

Svanita, a inizio mese, l’ ipotesi di un road show per promuovere i bond di Atene in Asia, forse a causa dello scarso interesse mostrato finora dagli investitori del continente e stabilito che occorreranno aiuti Ue per 80 miliardi di euro, ad aggravare il clima d’ incertezza che circonda la situazione finanziaria greca si aggiungono anche i dati sull’ esodo dei capitali dal Paese riportati da metà mese sul quotidiano Daily Telegraph, secondo cui ci sarebbero sia aziende sia influenti famiglie dell’ alta borghesia locale che fin da gennaio scorso hanno cominciato a trasferire fondi all’ estero per paura che la crisi possa precipitare. Sono già molti i problemi che i cittadini greci stanno vivendo, fra tagli e crisi economica crescente, con crescente disoccupazione e potere d’acquisto sempre più ridotto. Per ora la vasta maggioranza dei greci si ispira dell’ occhio a come si spende ogni giorno e taglio degli “sprechi”, per esempio rinunciando alle vacanze, al cinema, al teatro, al ristorante. Quanto, magari  anche superlaureati della cosiddetta “generazione 700 euro”, il Paese non offre alcuna prospettiva. Discorso diverso è quello che riguarda i ricchi. Se ne sono accorti i media britannici: da qualche settimana c’è un costante flusso di cittadini greci che sbarcano a Londra per fare shopping di case ville e immobili. Tutta gente che paga in contanti, dicono gli operatori del “real estate”, che comprano senza battere ciglio e nemmeno trattare proprietà da un milione e mezzo di sterline nei quartieri eleganti di Regent’s Park, Mayfair e Marylebone. A volte senza nemmeno visitarle. E che puntino a imboscare capitali lo si capisce anche dal fatto che tanti intestano le nuove case ai loro figlioli. E così, i capitali dell’élite ellenica migrano per evitare di contribuire al salvataggio dell’economia della Grecia: soltanto nei mesi di gennaio e febbraio sono partiti fuori dall’Ellade dagli 8 ai 10 miliardi di euro, secondo i dati della Banca centrale di Grecia. In direzione Svizzera, Lussemburgo e soprattutto verso la discretissima Cipro. Soldi di professionisti, avvocati, medici, grandi commercianti, ma anche di opulenti armatori, da sempre refrattari al fisco. La fuga dei capitali dalla Grecia non mette in pericolo solamente gli istituti di credito locali, ma lo stesso Stato, che è strettamente legato al sistema bancario, il principale sottoscrittore delle sue obbligazioni. Comunque qualche nota positiva esiste. Infatti, secondo dati di marzo, il livello complessivo di depositi custoditi presso le banche greche è pari a circa 240 miliardi di euro: un livello ancora alto rispetto a quelli registrati negli anni precedenti e che lascia spazio alle speranze. Interessante è, in margine alla grave crisi greca, la notazione di su il Sole 24 ore del 6 aprile. Dopo un decennio in cui la crescita economica greca corrispondeva ad una decrescita in Turchia (Grecia e Turchia vivono una rivalità antica), la situazione si è ora rovesciata. Atene è nel pieno della peggiore crisi dal dopoguerra con un Pil che quest’anno è previsto in calo del 2,25% (la Commissione europea prevede -2%), un deficit stellare nel 2009 del 12,9%, debito al 115% (sempre nel 2009), 54 miliardi di euro da rifinanziare in titoli di stato a un tasso attorno al 6%, con un differenziale di oltre 300 punti base con i bund tedeschi e i credit default swaps (Cds), l’indice che calcola il rischio solvibilità di un paese, che ha toccato il 27 gennaio il record di 400 punti. E con l’ipotesi di dover ricorrere a un piano di salvataggio composto da prestiti bilaterali europei e soccorso dell’Fmi. Una situazione finanziaria disastrosa e un’immagine a pezzi. Tutto questo mentre la Turchia ha deciso di non chiedere il rinnovo del prestito del Fondo monetario, ha messo sotto controllo l’inflazione (gli ultimi dati la indicano al 7,2%), i tassi sono stabili, il deficit 2009 è al 5,5%, il debito al 50,8% del Pil, e sebbene la crisi abbia fatto crollare l’economia del 4,9% quest’anno si stima un tasso di crescita del 4,5 cento. La Grecia ha perso competitività rispetto ai partners, ha attratto pochi capitali stranieri e quando la crisi globale è scoppiata è rimasta più colpita rispetto agli altri paesi. La vera differenza con la Turchia, è consistita nella diversa fiducia degli investitori internazionali,  che hanno premiato Ankara con un flusso incessante di capitali sia in Borsa che negli investimenti diretti esteri rispetto ad Atene,  che ha visto assottigliarsi i capitali. Ankara, tra il 2005 e il 2007, ha ottenuto 60 miliardi di dollari, tre volte il flusso ottenuto nei venti anni precedenti. E mentre il settore bancario greco, pur cauto, ha subìto gli effetti della crisi (Moody’s ha declassato recentemente le cinque maggiori banche) il settore creditizio turco si è mostrato uno dei più solidi tra i paesi emergenti, dopo la crisi del 2001, con un ottimo rapporto tra prestiti e depositi (80%), alta capitalizzazione e basso finanziamento esterno. E, conclude l’articolo, oltre agli aiuti Ue, sarà necessario per Atene, adoperarsi per ridurre la tensione politica su un confine caldo,  che resta pur sempre quello tra due paesi appartenenti all’Alleanza atlantica. Quindi non solo riforme strutturali (spesa pubblica, pensioni, ecc.), ma anche variazioni nella politica estera, sono necessari alla Grecia se davvero intende salvarsi.

Carlo Di Stanislao

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