Tutto tranne l’agopuntura

Arrestata di nuovo il 12 scorso, incriminata con il marito e due collaboratori, per associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica ed alla truffa aggravata, mamma Ebe, al secolo Ebe Giorgini, accetta tutti gli accrediti, ma non quello di praticare l’agopuntura. Davanti al gip di Pistoia ha negato di aver praticato l’ agopuntura, […]

Arrestata di nuovo il 12 scorso, incriminata con il marito e due collaboratori, per associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica ed alla truffa aggravata, mamma Ebe, al secolo Ebe Giorgini, accetta tutti gli accrediti, ma non quello di praticare l’agopuntura. Davanti al gip di Pistoia ha negato di aver praticato l’ agopuntura, ma ha ammesso di aver fatto consultazioni e massaggi. Ebe Giorgini, il cui patrimonio è stimato in 11 milioni di euro,  prescriveva anche false cure mediche con tanto di ricette false ed eseguiva iniezioni di cortisone. Ella era già conosciuta dagli inquirenti e dalle forze di polizia. Negli anni ’80 furono infatti aperte diverse inchieste a lei riconducibili perché perno dell’organizzazione. La donna si era fatta la fama di santona e aveva aperto questo ordine senza nessuna autorizzazione, ma anzi come dice il capo d’accusa per truffare i più ingenui. Con l’arresto del 12 si sono concluse le indagini avviate nel gennaio 2007, quando i carabinieri di Quarrata scoprirono che Mamma Ebe continuava a svolgere le sue attività di “curatrice”. Nel corso dell’operazione condotta dai carabinieri di Pistoia sono state notificate 17 misure restrittive della libertà personale e sequestri preventivi, emessi dal Gip del Tribunale di Pistoia Matteo Zanobini, su richiesta del sostituto procuratore titolare delle indagini Francesco Sottosanti. Mamma Ebe è una “santona” di vecchio stampo  e sfrutta un certo tipo di religiosità popolare, deformando il significato e la sana ingenuità. Oggi i nuovi santoni preferiscono l’esoterismo: ne sono piene le città italiane di sette formate da sfruttatori senza scrupoli, veri delinquenti incalliti, che considerano i deboli, i depressi, la gente semplice e credulona, come delle potenziali vittime. La storia di Gigliola Ebe Giorgini, sotto inchiesta da trenta anni, ispirò anche un film che Lizzani presentò al Festival di Venezia nel 1985, una pellicola con Stefania Sandrelli che riprese tutti gli aspetti più scabrosi raccontati dalle “suorine” nel processo di Vercelli. Convinte di essere religiose vere, pronunciavano voti di povertà e castità. Lavoravano gratis, dall’alba al tramonto, nelle case di riposo che l’”Ordine” prendeva in gestione. Venivano costrette a raccontare i loro desideri nei “quaderni delle confessioni” e i resoconti delle punizioni per i loro peccati non erano propriamente roba per educande. Gli atti del processo di Vercelli sono ricchi di pagine di sapore medievale: suore colpite da frustate o da bastonate, costrette a leccare il pavimento, sottoposte a docce gelate e cosparse di pomate irritanti, in una “sinistra commistione di ascesi e di sadismo”.

Carlo Di Stanislao

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