Fretta e faccia tosta

Aveva detto che avrebbe tenuto “bassissimo” il numero dei ministri ed è arrivato a 23, inventandosi, per il fedele collaboratore Aldo Brancher, un ministero misteriosioso e nuovissimo e che serve al neonomito ministro, per chiedere subito lo scudo del “legittimo impedimento”, mandando su tutte le furie non solo l’opposizione, ma creando amarezza e avvilimento nel […]

Aveva detto che avrebbe tenuto “bassissimo” il numero dei ministri ed è arrivato a 23, inventandosi, per il fedele collaboratore Aldo Brancher, un ministero misteriosioso e nuovissimo e che serve al neonomito ministro, per chiedere subito lo scudo del “legittimo impedimento”, mandando su tutte le furie non solo l’opposizione, ma creando amarezza e avvilimento nel Capo dello Stato, oltre ad una nuova maretta fra i finiani. Finanche il “giornalista di corte” Maurizio Belpietro su Libero,  critica la scelta di nominare ministro Aldo Brancher, indagato nel processo Antonveneta e la definisce “maldestra” e “surreale”.Il Messaggero, il Corriere della Sera, e il Sole24Ore suggeriscono a neoministro le dimissioni e ricordano che il duro e inconsueto comunicato di ieri del Quirinale, non può essere ignorato o ridotto alla logica leguleia di un processo di provincia. “Il caso Brancher non è più nelle mani dei suoi avvocati e forse neppure di Brancher stesso, ma in quelle del presidente del Consiglio”, scrive il giornale di Confindustria. Il Giornale, invece, quello della famiglia Berlusconi,  chiama in causa, polemixcante, l’alleato del Carroccio: “Cari leghisti non fate i furbetti”, è il titolo dell’editoriale del condirettore Alessandro Sallusti, che non crede all’irritazione manifestata da Umberto Bossi per la nomina di Brancher: “La Lega non può far finta di non saperne nulla, non sta in piedi a rigori di logica. Di più. Evidentemente qualcuno nelle alte sfere del Carroccio ha chiesto la nomina di Brancher a ministro, è stato accontentato, questo qualcuno abbia oggi il coraggio di assumersi la responsabilità di fronte al Quirinale, al governo e agli elettori, perché è vero che il Cavaliere ha le spalle larghe, ma tutto ha un limite, anche la decenza”. Insomma, ancora una volta Berlusconi crea problemi seri e intricati,  con le sue scelte personalistiche e imprudenti. Ha portato dentro il governo un suo ex dipendente sotto processo, nominandolo (ed irritando così Bossi) ministro del “federalismo” ed in questo modo gli ha consentito il ricorso alla scudo da lui stesso creato, che lo rende per ora immune da ogni azione giudiziaria. Un tipo frettoloso e maldestro, questo Brancher, come molti vicini al Cavaliere. Anche i suoi amici, gente che di queste faccende se ne intende, guardano ai fatti in modo critico e sostengono, fra vergognosi e divertiti, che sarebbe bastato che si presentasse nell’aula del tribunale, balbettasse qualcosa e avrebbe trascorso un’estate tranquilla. Invece, nell’euforia della nomina tanto sperata, Brancher deve aver pensato di essere ministro per davvero: “Devo organizzare il mio ministero”, ha proclamato l’altro ieri nello stupore generale e in risposta ai giudici, creando così le  basi per l’arrivo della secca, stizzita nota della presidenza della Repubblica, che da sola, anche se non ne fosse seguita una furente richiesta di dimissioni da parte dell’intera opposizione, avrebbe indotto chiunque a ritirarsi dal governo, dal parlamento e, magari, anche dall’Italia. Soluzioni che, naturalmente, Aldo Brancher non prende in alcuna considerazione, altrimenti che “berluscones” doc mai sarebbe? L’esempio viene, come scrive Giovanni Maria Bellu su l’Unità,  da personaggi come Marcello Dell’Utri, sempre in parlamento e sempre imputato, sempre libero, salvo una breve periodo e oggi, giorno della sentenza d’appello, chissà… magari anche innocente tra prescrizioni e derubricazioni. O come Vittorio Mangano il quale – erano altri tempi – non poté mai diventare parlamentare e sopportò, in silenzio, dall’ergastolo, il peso dei suoi segreti. E con questi esempi e questo governo, a noi sopportare nomine come quella di Aldo Brancher, il quale, col suo ministero senza portafoglio, costa comunque alle casse dello Stato un milione di euro e si sottrae bellamente, anche se maldestramente,  alle sue responsabilità legali e morali. Quanto a Berlusconi, è al G20 in Canada e non risponde. Ma parla un berlusconiano doc come Osvaldo Napoli: “La nota del Quirinale è irrituale sotto ogni profilo. Il presidente della Repubblica interviene su una scelta giuridica di competenza del ministro Aldo Brancher, con ciò anticipando il giudizio del magistrato di merito. Il Quirinale, inoltre, facendosi interprete di una legge e dei provvedimenti ad essa eventualmente collegati, come lo scudo giudiziario all’esame della Commissione Affari costituzionali, indirizza politicamente quella discussione. Sotto il profilo costituzionale, mi pare abnorme la portata della nota”. A noi, invece, pare enorme la portata di ciò che il berluscones ha il coraggio di dichiarare: questione di punti di vista. Noi, come il pm di Milano che indaga sui fatti dell’Antoveneta, Eugenio Fusco, ci  sentiamo “presi in giro” e abbiamo poche speranze circa l’invio in tempo utile di richieste di ricorso, inoltrate alla Corte Costituzionale per una legge che, comunque “si fa fatica a non giudicare incostituzionale” e che giova, lo si vede, solo ad alcuni, nuocendo all’intero Paese. E se si tiene conto che, con Brancher, fra il 17 ed il 18 scorsi, il governo ha nominato, passando la cosa sotto-traccia, Pasquale De Lise a presidente del Consiglio di Stato su suggerimento diretto di Silvio Berlusconi, possiamo renderci conto della fretta e della faccia tosta di questo esecutivo.  Come ricorda Cecilia M. Calamani sul Manifesto (rubrica Cronache Laiche), del 22 giugno, il magistrato vanta un curriculum giudiziario di tutto rispetto. Ex capo di Gabinetto di molti ministri, già presidente aggiunto del Consiglio di Stato e presidente del Tar del Lazio, lo scorso 10 giugno è stato nominato dal Governo, su proposta del Ministro Tremonti, presidente della Commissione tributaria centrale. Ma il suo nome appare sulle cronache della ‘cricca’ Anemone-Balducci & Co, in qualità di consultore di Propaganda Fide, l’immobiliare vaticana sulla quale è scoppiato l’ultimo scandalo economico che lega i palazzi della politica a quelli d’Oltretevere. A detta dell’ex ministro Pietro Lunardi, “Balducci insieme al presidente del Tar De Lise e all’avvocato Leozappa, genero di De Lise, gestiva il patrimonio di Propaganda Fide”. Quel patrimonio immobiliare di extra lusso, cioè, che sarebbe stato ben distribuito, tra affitti e compravendite a prezzi ‘di favore’, tra più di duemila vip (tra i quali Bertolaso e lo stesso Lunardi), grazie all’intermediazione del cardinale di Napoli Crescenzio Sepe. Ma De Lise è citato anche nelle varie intercettazioni sui Grandi eventi, a svelare (altri) rapporti poco limpidi proprio con Balducci, con sullo sfondo  l’ombra dell’uomo del Premier per eccellenza: Gianni Letta. Insomma, a fronte della nomina di De Lise, il caso Brancher, secondo alcuni,  è solo un’inezia su cui tranquillamente fare commenti sotto gli ombrelloni, fra una maledizione a Lippi e discussioni infinite su come “riformare” la Nazionale per tornare, con orgoglio, a gridare “Forza Italia”.

Carlo Di Stanislao

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