Il giorno piu’ lungo

E’ sembrato interminabile il primo lunedì di luglio al Cavaliere che, nella sua residenza di Arcore, ha incontrato e bacchettato Tremonti, varato e blindato la manovra economica con le “sue modifiche”, convinto Brancher al guinness dei primati del ministro più breve, valutato una linea di apertura con il Quirinale e, soprattutto, studiato come risolvere la […]

E’ sembrato interminabile il primo lunedì di luglio al Cavaliere che, nella sua residenza di Arcore, ha incontrato e bacchettato Tremonti, varato e blindato la manovra economica con le “sue modifiche”, convinto Brancher al guinness dei primati del ministro più breve, valutato una linea di apertura con il Quirinale e, soprattutto, studiato come risolvere la questione dei dissidi interni al partito, senza indebolire la sua posizione. Ha ragione Alberto Signore che, sul Giornale, scrive che avrebbe preferito due giorni ad Antigua, dopo il tour de force (“dura anche per un trentacinquenne” in forma come lui dice di essere) tra Canada, Brasile e Panama, ma era necessario che scendesse in campo, perché le questioni sono urgenti, vitali, non rinviabili ed alcune sono autentiche bombe ad orologeria. Con Tremonti è stato duro, inflessibile, varando il testo della manovra secondo le indicazioni di Confindustria e Rete Italia, spalmando i sacrifici regionali su più anni e, per non avere sorprese, blindandone la votazione in Parlamento. Le dimissioni di Brancher, chieste ed ottenute, hanno riaperto una linea di comunicazione col Colle, una linea che già Letta batte con l’impegno e la pertinacia diplomatica che lo contraddistinguono. Lavora il “Richelieu italiano “ (così è stato definito Gianni Letta da Le Figarò, un paio di mesi fa), lavora di fino con il Quirinale e da Palazzo Grazioli danno per certe modifiche in linea con il Colle, per ricucire i rapporti con Napolitano (Berlusconi lo vedrà domani al Quirinale per il Consiglio supremo di Difesa e promette di nominare il ministro dello Sviluppo). Ma è anche possibile che i cambiamenti all’acqua di rose irritino ulteriormente il Presidente della Nazione e, quindi, dopo il 29 luglio, il ddl che sta più a cuore al premier, potrebbe essere rimandato a settembre, anche se con i tempi del dibattito in aula contingentati. Ma il vero problema è legato allo scompiglio interno e alla questione ormai gravissima di Fini, contrario su tutto. Il Financial Times, ieri, ricordava come quelle di Brancher siano le seconde dimissioni di un ministro nell’arco di due mesi (dopo quelle di Claudio Scajola) e citava “lo scompiglio all’interno del Partito della quale il co-fondatore Gianfranco Fini ha dichiaratamente messo in discussione la leadership di Berlusconi”. Fattori questi che stanno alimentando le discussioni circa la possibilità di nuove alleanze e “di elezioni anticipate”. Il Wall Street Journal parlando delle “crescenti divisioni nel governo di centro-destra” e della “difficile fase della premiership di Berlusconi”, si soffermava, sempre ieri, sulle caratteristiche della legge del legittimo impedimento, cui il premier “ha fatto ricorso in due diversi processi”. E mentre i “falchi” del Pdl spingono il loro paladino a rompere definitivamente con Fini, sospinti e sostenuti da Feltri e Belpietro, Follini chiede all’ex leader di An di prendere atto che “Berlusconi è un fenomeno politico totalizzante: si può scegliere di stare dentro il suo gioco o uscire e tentare di romperlo. Quel che non si può fare è stare a cavallo: arriva un punto in cui la nettezza delle posizioni spinge a stare dentro o fuori”. Se il Pdl si rompe – dichiara – c’è un’accelerazione di tutti i processi politici. Non possiamo illuderci che si formi un arco politico che inizia da Fini e finisce con Vendola: dobbiamo arrivare preparati e con le idee chiare, il Pd deve dire qualcosa sul progetto che ha in mente”. Questa l’idea dell’ex DC, espressa in una intervista su La Stampa, in cui il transfugo come Capezzoni, non tiene in alcun conto ed anzi ignora il fatto che, alcuni, possono anche considerare la coerenza con i propri ideali superiore ad ogni altro interesse. La ‘terapia d’urto’ per sciogliere i piu’ spinosi i nodi rimasti sul tavolo: dalla manovra alle intercettazioni, al rapporto con Gianfranco Fini, serve a Berlusconi per ristabilire chi comanda e, soprattutto, che finchè c’è lui, tutti gli altri debbono ubbidire. Ad esempio, poiché liter del ddl sulla manovra inizierà proprio dal Senato, dove  sui temi economici il fronte finiano è schierato in prima linea, il Presidente della Commissione Finanze, Baldassarri, dopo aver presentato una contro-manovra si troverà ora nella scomoda posizione di votare la fiducia oppure mettersi formalmente contro il Governo e, quindi, fuori dal partito. Il Cavaliere è sempre più convinto di arrivare alla resa dei conti con Fini e di ribadire a tutti, compreso il Senatur (ironico e polemico sul caso Brancher), che il suo potere è saldo e fuori discussione. Circa, poi, il capitolo del ddl intercettazioni, Letta è da giorni al lavoro per cercare un equilibrio in modo tale da togliere argomenti alla fronda finiana. E le modifiche apportate- è questa la  posizione del Pdl – saranno quelle chieste dal Colle, non quelle proposte da Fini. Ma i finiani sono tutt’altro che piegati o intimoriti. Il loro capofila Italo Bocchino, dopo essere stato applaudito, ma senza imbarazzanti ovazioni, alla festa de L’Unità a Roma, in una chiacchierata rilassata con con Roberto Morassut del Pd, ha detto ieri: “andarcene noi dal Pdl? Ma no, semmai è Berlusconi che potrebbe andarsene!”; battuta che amplifica, deformandole, le voci secondo cui il Cavaliere è talmente indignato dal comportamento di Gianfranco Fini, che potrebbe lanciarsi in una pubblica, unilaterale dichiarazione di “fine rapporto”, magari con un “Peredellino 2”, piuttosto che verso una separazione consensuale, con una federazione tra il partito dei berlusconiani e quello dei finiani, come vorrebbe Cicchitto. Acque agitatissime nel Pdl, con il leader che si sente sempre più solo ed isolato nel fronteggiare emergenze e situazioni confuse create da altri. Non che lo preoccupi risolverle le situazioni spinose (è allenato, dopo la “monnezza” e il terremoto), ma è anche stanco di dover fare sempre tutto lui. Finirà che sarò costretto ad andare lui stessa e senza scorta, a catturare la pantera nera e il pitone reale segnalati a Palermo e che da dieci giorni fanno marameo alle forze dell’ordine. Ieri, il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, della stesso partito del “Cavaliere”, poco prima dell’annuncio della blindatura, aveva rilasciato un’intervista alla Rai nella quale lasciava aperta la trattativa per non arrivare allo scontro sulla finanziaria, attaccando però il Ministro Tremonti. Un eccellente assist per “il Caimano”, che avrà modo di dire, in ogni caso, che la colpa di sacrifici così tanti per alcuni e così mal distribuiti, non è comunque la sua e lui non più arrivare a tutto. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha parlato di una “manovra difficile” perchè- ha spiegato- impone sacrifici, rinunce e quei maledetti tagli che nessuno vorrebbe, che si riconoscono giusti, ma che si preferirebbe fossero per gli altri e non per sé”. Sarebbe opportuno chiedere a Letta, quali sacrifici davvero la manovra impone ai molto ricchi e ricchissimi, a quelli con stipendi decine di volte superiori a quelli dei loro dipendenti e, soprattutto, come lavora nella direzione di una maggiore giustizia ed equità sociale. Questa manovra fra crescere il gap fra ricchi e poveri, aumenta il numero di poverissimi e rischia di deprimere la spesa, oltre a causare una perdita potenziale di altri 100.000 posti di lavoro. Se nel rapporto OCSE del 2008 si leggeva che, Italia, “la ricchezza è distribuita in modo più diseguale rispetto al reddito, con il 10% più ricco che detiene circa il 42% del valore netto totale”; con questa finanziara, “blindata” dal “Caimano” le cose saranno ancora peggiori. Sicchè per lui solo il 6 scorso, per noi tutti quelli a venire, saranno lunghi, difficilissimi, maledettissimi giorni. Preso com’è da mille, urgenti problemi, non potrà occuparsi, come gli ha chiesto anche il caro vespa, degli aquilani ma, magari, potrebbe far pervenire un messaggio agli aquilani anche domani a Roma, con un po’ di chiarezza sui soldi spesi e da spendere e sui progetti da istituire o finanziare dopo i riflettori mediatici dei primi mesi. Almeno chiarezza, questo chiediamo, se non altro per sapere se le responsabilità dei ritardi su tutto e della sensazione di palude che oggettivamente viviamo, è da cause interne o esterne, per sapere a chi chiderne ragione.

Carlo Di Stanislao

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