Tre mesi nel Golfo del Messico per valutare l’impatto del disastro

Mentre BP canta vittoria per aver tappato la falla del pozzo Macondo, sito del disastro della Deepwater Horizon, la nave di Greenpeace “Arctic Sunrise” inizia una spedizione di tre mesi nel Golfo del Messico per capire la reale dimensione di questa catastrofe e indagare sulle vere cause, affinchè non si ripeta mai più un disastro […]

Mentre BP canta vittoria per aver tappato la falla del pozzo Macondo, sito del disastro della Deepwater Horizon, la nave di Greenpeace “Arctic Sunrise” inizia una spedizione di tre mesi nel Golfo del Messico per capire la reale dimensione di questa catastrofe e indagare sulle vere cause, affinchè non si ripeta mai più un disastro come questo.
Dal 20 aprile scorso, quando la Deepwater Horizon è esplosa, BP ha fatto troppi errori, ha messo in campo risorse inadeguate e ha nascosto informazioni al pubblico, ad esempio vietando l’accesso ai giornalisti nelle aree impattate dal catrame. Adesso Greenpeace intende realizzare una valutazione autonoma degli impatti per far sapere a tutti come stanno davvero le cose.
L’Arctic Sunrise partirà la prossima settimana da Tampa (Florida) e visiterà l’area delle Florida Keys e delle Dry Tortugas prima di avvicinarsi al sito di Macondo. I tecnici a bordo verificheranno l’impatto dello sversamento di petrolio sugli organismi marini: dai microrganismi planctonici in superficie fino ai coralli abissali dei fondali.
«BP ha annunciato di aver chiuso il pozzo, ma oltre 500.000 tonnellate di petrolio – afferma  Alessandro Giannì, direttore della Campagne di Greenpeace – stanno avendo impatti sulla flora e la fauna del Golfo. Se gli effetti sulla pesca sono e saranno gravi, quelli sui delicati ecosistemi del Golfo potrebbero essere peggiori».
Per questa spedizione, l’Arctic Sunrise, un rompighiaccio acquistato da Greenpeace nel 1995, ospiterà scienziati esperti in varie discipline: dallo studio delle spugne come indicatori biologici fino al monitoraggio, e se possibile alla pulizia e cura, di organismi come mammiferi, uccelli e rettili marini imbrattati dal catrame.
«In ogni caso, la soluzione è ovvia: smettere di usare petrolio! In particolare – continua Giannì – dobbiamo smetterla subito con queste esplorazioni offshore che mettono in pericolo anche il Mediterraneo, dal Canale di Sicilia all’Adriatico e all’Arcipelago Toscano».
La brutta lezione del Golfo del Messico deve servire a qualcosa. Con le stime attuali, questo disastro supera quello della piattaforma messicana Ixotoc I, del 1979, in quanto si tratta del più grave sversamento di petrolio direttamente in mare. Nei prossimi tre mesi grazie alla spedizione dell’Arctic Sunrise capiremo meglio cosa è andato perso a causa di politiche energetiche rapaci e suicide. Una lezione che non deve essere oscurata dalla lobby del petrolio già all’opera per minimizzare le conseguenze del disastro, e che deve arrivare fino al Mediterraneo.

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