Italia allo sbando e fanalino di coda

Mentre il Presidente del Consiglio pensa al legittimo impedimento e a neutralizzare le intercettazioni telefoniche che svelano i reati della casta e continua la guerra senza quartiere, disperata e disperante, con Fini, in un clima da rissa istituzionale che investe anche il Capo dello Stato e lascia senza soluzioni la Nazione, alle prese con disoccupazione, […]

Mentre il Presidente del Consiglio pensa al legittimo impedimento e a neutralizzare le intercettazioni telefoniche che svelano i reati della casta e continua la guerra senza quartiere, disperata e disperante, con Fini, in un clima da rissa istituzionale che investe anche il Capo dello Stato e lascia senza soluzioni la Nazione, alle prese con disoccupazione, impoverimento anche della classe media, chiusura di fabbriche o trasferimento all’estero, problema carceri, sicurezza e migranti, risolti solo a parole; diveniamo anche fanalino di coda, secondo l’ultimo rapporto Ocse, circa il Pil del secondo trimestre di quest’anno, che in media cresce del 2,8% nell’Eurozona e vede il Nostro Paese (che ha questo punto solo Dio può aiutare, come ha vaticinato sul letto di morte il Presidente Cossiga), con un poverissimo, annaspante 1,1. Commentando questo dato (prima che lo faccia il solito berlusconiano, annacquando e confondendo le cifre), il Sole 24 Ore ricorda che, tra il 2000 e il 2009 la produttività del lavoro in Italia ha avuto una dinamica complessivamente negativa: un decennio no davvero preoccupante e contro il quale, nonostante le promesse, l’attuale governo non fa nulla, addirittura lasciando vacante, da maggio, il dicastero dello sviluppo economico, assunto ad interim da uno che ha ben altri grilli, che risolvere i problemi quotidiani e di sopravvivenza di milioni di cittadini. Il decennio “no” per la performance produttiva dell’Italia si ricava dai numeri delle nuove serie storiche, riferite a diverse misure di produttività, presentate ieri dall’Istat: le rilevazioni partono dal 1980 (nello spazio di quasi vent’anni l’incremento medio della produttività del lavoro è stato dell’1,2 per cento ed è attribuibile a un incremento medio dell’1,4 per cento del valore aggiunto e a uno dello 0,2 per cento delle ore lavorate). Non è certo la prima volta che i numeri permettono di mettere a fuoco la malattia della bassa crescita e quella della bassa produttività dell’economia italiana ( compresi gli aspetti legati alla bassa produttività del lavoro, ma senza dimenticare quelli connessi alla total factor productivity, che è tutto ciò che è destinato ad accrescere il prodotto ma non è né lavoro né capitale: dunque, tutto ciò che è connesso al “contesto” produttivo). Ad esempio, la banca dati dell’Ocse dà conto di un confronto fra paesi industrializzati e per il periodo compreso fra il 2001 e il 2008 colloca l’Italia come fanalino di coda proprio per la “multifactor productivity”. Naturalmente il solito peone berlusconiano (o tremontiano, ancora più insidiosa, dal momento che dietro si porta anche Bossi), potrebbe dire che il problema il governo lo ha ereditato e sta cercando, fra mille ostacoli della’opposizione, di risolverlo. Ma i dati (come nel caso già descritto ieri dei migranti), non ci dicono questo. Negli ultimi due anni, cioè in pieno Governo Berlusconi, la produttività totale dei fattori ha subito una forte riduzione (-3,4 per cento l’anno). Naturalmente, dirà il solito tecnico asservito e sodale, il problema non è di governo ma congiunturale. Anche questo non è del tutto vero: in occasione della relazione annuale, Mario Draghi ha infatti evidenziato che nei 10 anni precedenti la crisi, la produttività per ora lavorata è salita del 3% in Italia contro il 14% dell’area euro. Negli stessi anni l’economia è cresciuta del 15% contro il 25% dei paesi dell’eurozona. Mentre alcuni esponenti del Governo passano il loro tempo ad interpretare a loro piacimento la Costituzione e ad attaccare in modo irresponsabile il presidente della Repubblica, il nostro Paese e’ fanalino di coda della crescita del prodotto interno lordo in Europa”.  Lo afferma Cesare Damiano, capogruppo del Pd in Commissione Lavoro alla  Camera, nel commentare i dati del rapporto Ocse sul Pil reso noto oggi.  “Una maggioranza litigiosa e che di fatto non esiste più, non appare in grado di poter dare lo slancio necessario per lo sviluppo del Paese – prosegue l’ex ministro – Questo e’ tanto più preoccupante in quanto l’autunno riserverà amare sorprese per quanto riguarda l’occupazione. Ancora una volta – conclude Damiano – i problemi del Paese passano in secondo piano rispetto agli interessi di bottega del centrodestra”. L’economia degli altri Paesi industrializzati marcia, quella italiana cammina come una lumaca con un governo che non ha una strategia per uscire più velocemente dal tunnel e la maggioranza cosa fa: pensa alle elezioni con la Lega o a strategia a difesa del premier nel Pdl. Sono dati quelli appena diramati dall’Ocse che dovrebbero far pensare, che dovrebbero far approntare un piano economico, se non altro per tentare di risalire la china. Anche perché tanti altri indicatori lasciano molto perplessi e preoccupano: calano i consumi, il reddito disponibile, il risparmio; il Pil cresce perché aumenta l’export e quindi la domanda esterna ma non quella interna. E il governo non trova di meglio sul fronte economico che varare i decreti attuativi del federalismo fiscale, col trasferimento di parte di Irpef e Iva alle Regioni, senza che nessuno finora abbia detto quanto tutta questa giostra costerà. Qualche giorno fa il presidente di Federfarma, Sergio Dompè, uomo non certo di sinistra, diceva che “le imprese italiane più competitive stanno perdendo interesse nei confronti del sistema associativo, perché non vedono azioni forti a sostegno della loro presenza sui mercati internazionali”. Ed ancora definiva “grave” la mancanza di un ministro per lo Sviluppo Economico “tenuto conto che, in questo ultimo periodo, si è fatto ancora meno del poco che era stato compiuto in precedenza. Il mondo della produzione ha bisogno di un punto di riferimento, di un interlocutore che ascolti le loro esigenze. Anche perché il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che peraltro sta svolgendo molto bene il suo lavoro, non può essere considerato il solo responsabile della politica industriale. È necessaria una figura specifica”. Tremonti, che ieri sera ha festeggiato il suo compleanno con l’amico Bossi e gli amici della Lega, ha fatto una manovra che grava in principal modo sui redditi medio – bassi, e ora, sempre più attratto dalla musa leghista, sembra solo interessato a far quadrare il cerchio del federalismo. Nel frattempo, il Paese è in affanno e, come dice il deputato del Pd Enrico Farinone “i dati Ocse sul Pil dimostrano che governo e maggioranza dovrebbero occuparsi di una situazione economica seria e preoccupante per le famiglie e le imprese italiane, non di minacciare elezioni anticipate incomprensibili ai più, unicamente oggetto di dibattito astruso fra i professionisti della politichetta, quella che non risolve i problemi bensì li crea per autogiustificarsi”. E, pensate, la sinistra guarda a lui per un governo tecnico dopo la caduta di Berlusconi (tutta da verificare) e portare a casa, prima delle elezioni, due riforme: economica (sic) ed elettorale.

Carlo Di Stanislao

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