Ruggiti italiani a Venezia

“Un laboratorio dei diversi linguaggi artistici, all’interno del piu’ grande ‘laboratorio’ della Biennale di Venezia”, ha definto la 67° Mostra del Cinema di Venezia,  il presidente della Biennale Paolo Baratta, mentre il direttore Marco Mueller ne ha sottolinea il carattere errante e rabdomantico, dicendo: “I criteri di selezione devono essere mantenuti aperti e, persino, incerti”. […]

biennale venezia“Un laboratorio dei diversi linguaggi artistici, all’interno del piu’ grande ‘laboratorio’ della Biennale di Venezia”, ha definto la 67° Mostra del Cinema di Venezia,  il presidente della Biennale Paolo Baratta, mentre il direttore Marco Mueller ne ha sottolinea il carattere errante e rabdomantico, dicendo: “I criteri di selezione devono essere mantenuti aperti e, persino, incerti”. Quindi, con la presidenza della giuria a Tarantino ed il Leone alla Carriera a Jhon Woo, sia grandi nomi (Vincent Gallo, Guillermo Arriaga, l’infaticabile Manoel De Oliveira, e Paul Morrissey, icona della Pop Art e del cinema indie-americano, sia nomi meno noti (La Belle Endormie’ della Breillat per aprire, ‘Oki-eui young-hwa’ del prolifico Hong Sang-soo per chiudere), comporranno le diverse sezioni del festival più importante dello Stivale, mentre a difendere il tricolore ci penseranno il vincitore dello scorso anno (con ‘Below Sea Level’), Gianfranco Rosi, con un nuovo documentario, ‘El Sicario Room 164’, dal saggio di Charles Bowden ‘The Sicario’ ed altri tre film. Questa edizione inizierà mercoledì e il cinema italiano la fa da mattatore: si va dalle presenze illustri di maestri come Mario Martone, che presenterà l’attesissimo “Noi credevamo”, alle nuove leve come Ascanio Celestini con il suo secondo documentario “La pecora nera”. Fra gli altri titoli più attesi, ci saranno il film di Carlo Mazzacurati “La Passione”, il discusso “Vallanzasca” di Michele Placido, “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo, e Gabriele Salvatores che, fuori concorso,  presenta il suo “1960″. Le riletture storiche ed il nostro passato saranno inoltre uno dei temi principali di quest’anno, con una edizione  con forte presenza del Sud: con produzioni come quelle di Paola Randi “Into Paradiso” nella sezione Controcampo o quella di Pasquale Scimeca con “I Malavoglia”, per le ire del veneziano e mancato sindaco Brunetta, che odia parimenti il Sud ed il cinema.  Complessivamente si avranno, in questa edizione ben 41 pellicole italiane, tra lungometraggi, mediometraggi e cortometraggi, con quattro pellicole in concorso e un altro pezzo di stivale in giuria: Gabriele Salvatores. Come scrive Roberto del Bove, acuto come sempre, è certo che quest’anno il nostro cinema si metterà ampiamente in gioco, per di più con cineasti della nuova generazione e quasi agli esordi. Per questo – al di là dei premi che la Giuria sceglierà di assegnare – il settembre in laguna sarà un ottimo banco di prova, dal quale trarre indicazioni per capire se si può ancora sperare in un cinema italiano nuovo, più coraggioso e creativo. Interessante è anche che a giudicare sarà proprio Tarantino, che in passato aveva destato scalpore con alcune dichiarazioni piuttosto sprezzanti nei confronti del nostro cinema attuale. Se si convertirà lui, come speriamo, ci sarà da ben sperare per tutti. Forse sarà il caso, per renderlo più disponibile, invitarlo ad una proiezione privata di “Caribbean Basterds”, ultima fatica del nostro  Enzo G. Castellari, che gli restituisce il favore,  citandolo a perdifiato ed in modo esondante, in un B movie che il mito del cinema contemporaneo, potrebbe molto gradire e che vede tornare il nostro regista dietro la macchina da presa, forte del successo del remake tarantiniano del suo “Quel maledetto treno blindato”.  Se negli anni Settanta era il cinema italiano a strizzare l’occhio a quello americano, per poi diventare a sua volta fonte d’ispirazione per i giovani cineasti degli anni Novanta, ora si torna di nuovo indietro, in un circolo vizioso che fa di Castellari al contempo “maestro” e “allievo” del cinema pulp. E questo gioco di specchi e di rimandi, di là dalla qualità del film di Castellari (davvero modesta), potrebbero ben disporre lo strampalato e cinefilo presidente di giuria.

Carlo Di Stanislao

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