Il cinema d’autore non è necessariamente noioso

Con “Accattone”, folgorante esordio cinematografico di Pier Paolo Pasolini, livido e poetico ritratto delle borgate romane e dell’avanzare del cinismo della sottocultura, ha inizio, il 14 settembre alle ore 18, la rassegna “Cinema D’Essai”: 14 incontri in altrettanti martedì, sino al 4 dicembre, presso la multisala Movieplex, in via Leonardo da Vinci a l’Aquila. Organizzata […]

Con “Accattone”, folgorante esordio cinematografico di Pier Paolo Pasolini, livido e poetico ritratto delle borgate romane e dell’avanzare del cinismo della sottocultura, ha inizio, il 14 settembre alle ore 18, la rassegna “Cinema D’Essai”: 14 incontri in altrettanti martedì, sino al 4 dicembre, presso la multisala Movieplex, in via Leonardo da Vinci a l’Aquila. Organizzata dall’Istituto Cinematografico La Lanterna Magica e dal Movieplex, la rassegna ha ricevuto il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali, della Regione, della Provincia e del Comune de L’Aquila, oltre che dell’Accademia dell’Immagine. Le pellicole, selezionate dal direttore artistico Pier Cesare Stagni e tutte proprietà della Cineteca della’Istituto (che con i suoi 1.500 titoli è la terza per importanza in Italia), vuole mostrare che ogni film dura, quando è davvero buono, molto oltre l’ultimo fotogramma ed è capace di far pensare, al contempo divertendo. Insomma, come diceva Umberto Eco, “un film prende a prestito i materiali dalla vita e li ricompone secondo disegni nuovi che la vita ce la fanno vedere in modo più acuto e diverso”. Fra i titoli più esclusivi e ghiotti “Aria”, fil collettaneo inglese degli anni ’80, presentato in concorso al Festival di Cannes 1987, con dieci episodi su altrettanti brani d’opera, interpretati in modo originale ed intrigante, da autori come Robert Altman, Bruce Beresford, Bill Bryden, Jean-Luc Godard, Derek Jarman, Franc Roddam, Nicolas Roeg, Ken Russell Charles Sturridge e Julien Temple. Particolarmente riuscito il V episodio in cui Julien Temple, narra, con sapore boccaccesco, le vicende tragicomiche di un produttore e della di lui amante in cerca di una scrittura nel film della moglie dell’uomo con il proprio amico che, nonostante la bella presenza è però carente nell’arte amatoria. Le due coppie consumano il loro tradimento in un albergo a dir poco stravagante che offre la possibilità, ai suoi ospiti, di poter riprendere le proprie effusioni amorose. Alla fine il drammatico scambio delle videocassette per i due coniugi fedifraghi. Il tutto è sottolineato dalla musica di Verdi dal “Rigoletto”. Personalmente amo molto anche l’VIII episodio, di Ken Russell, con musica di Puccini dalla “Turandot”, che presenta una bella donna che, da una visione magica dove si vede ammirata da tutti e ricoperta di pietre preziose, si ritrova in sala operatoria a subire un difficilissimo intervento chirurgico che però riesce a superare, metafora barocca e visionaria della nostra spasmodica ed attuale ricerca di bellezza. Altro titolo di grande interesse, questo il 12 ottobre, “Le beau Serge”, partenza della Nouvelle Vauge, che Chabrol riuscì a realizzare in modo rocambolesco, grazie ad un’inaspettata eredità, premiato nel ’58 a Locarno e racconto asciuttamente naturalistico, che verso sa anche colorarsi di potente ed ispirata simbologia cristiana. Da non perdere neanche, oltre a “La Dolce Vita” (il 2 novembre), “Finalmente domenica”, la settimana dopo, 21° ed ultimo film di Francois Truffaut, omaggio al noir americano degli anni ’50 ed al poliziesco francese del decennio successivo, con una fotografia straordinaria di Nestor Almandros ed una prova superba di Fanny Ardan e Jean-Luis Trentignant (la copia della cineteca aquilana è stata completamente restaurata dopo il terremoto, con altre dieci, grazie ai contributi ricevuti da Roseto degli Abruzzi e Desenzano sul Garda). Da non perdere poi “Gang” un film di Altaman del ’73, in cui, non solo si ignorano le caratteristiche del gangster movie del passato, ma, a dispetto del titolo originale e della collocazione storica nell’America della grande depressione e del New Deal, richiamati da alcuni interventi radiofonici di Franklin Delano Roosevelt non si può neanche parlare di un film di critica sociale e politica, pur nella frequenza dei riferimenti alla rapacità e alla brutalità del sistema. A seguire (il 16 novembre), “Matador”, semplice ed asciutto, barocco eppur diretto capolavoro di Pedro Almodovar, concepito con una trama degna di un film tratto da un libro e narrato in maniera sorprendente; thriller senza suspense che parte in un modo e finisce in un altro e cambia i protagonisti a metà. Il punto di riferimento (esplicito) è Duello Al Sole, perché anche Matador è un’indagine sul rapporto tra eros e thanatos, tra l’estasi che si raggiunge nel delitto e nell’amplesso e come queste possano essere unite. In un mondo dominato dall’eros si muovono i personaggi almodovariani (legati dalle solite improbabilissime coincidenze) che, meno melodrammatici che in futuro sono comunque dominati da passioni eccessive e animati da forti spiriti. Neanche la tipica struttura gialla viene rispettata, infatti quando a metà film lo spettatore crede di aver già capito come finirà Pedro scopre tutte le carte e dichiara subito il colpevole, a quel punto il film cambia protagonisti e l’accento si sposta dal thriller al dramma di passione (“Non hai paura che io ti uccida?” “No ho paura di vivere senza di te”). Moltissime le citazioni tutte funzionali (come tipico del cinema postmoderno) ad una visione diversa del linguaggio filmico, meno legato a concetti “morali” come poteva essere in passato, e più libero di mostrare e mostrarsi, di ripiegarsi su se stesso. Già si intuiscono alcune delle future ossessioni del regista spagnolo come l’arte dello spettacolo in tutte le sue dimensioni e la messa in scena di una realtà che ha in sé, nella sua quotidianità, tantissimi elementi artistici (tantissime le situazioni ordinarie che se viste con lo sguardo giusto si presentano come quadri). La copia della cineteca è una delle poche ancora ben conservate presenti in circolazione. Come anche quella relativa al capolavoro (molto citato, ma poco visto e studiato), “Le mani sulla città”, di Francesco Rosi (proiezione il 30 novembre), bello e coraggioso come un editoriale dell’“Espresso” dei tempi d’oro, Leone d’oro alla Mostra di Venezia nel ‘63, esempio raro di film politico che rifiuta le soluzioni romanzesche e spettacolari. Subito dopo “Metropolis” (del 1927), considerato il capolavoro del regista austriaco Fritz Lang e tra le opere simbolo del cinema espressionista, universalmente riconosciuto come modello di gran parte del cinema di fantascienza moderno, avendo ispirato pellicole quali Blade Runner e Brazil. La versione che sarà proiettata è quella, rarissima, di 87 minuti, ricolorata e ridoppiata con colonna sonora rock, realizzata nel 1984 dal musicista Giorgio Moroder. Tra i brani inseriti nel commento sonoro è presente il brano Love Kills di Freddie Mercury erroneamente è spesso dato per presente anche il brano Radio Ga Ga dei Queen, il cui video utilizza proprio spezzoni del film. Inoltre gli stessi Queen durante il tour del 1985 ispirarono la scenografia del palco al film, con enormi ruote che giravano sullo sfondo ed esplosioni (una testimonianza la si ha grazie alla registrazione video del Live in Rio dello stesso anno). Un bel mondo per mostrare come i capolavori vivono e si trasformano, al passo con i tempi. A chiusura (emblematica), il film italianissimo, “Un maledetto imbroglio”, di Pietro Germi, dal romanzo “Quel pasticciaccio brutto di via Merulana” di Gadda, in cui la gestione dei due registri (quello comico e quello poliziesco-drammatico) è saldamente nelle mani della sua interpretazione e del modo cui il Germi riesce a tenerli separati, i senza che si confondano o si neghino l’un l’altro”. Rispetto al romanzo (creando un precedente nella storia del cinema), Germi sostituisce una soluzione verosimile, trasformando il delirio metafisico in un semplice giallo. Ottimi i luoghi e le figure di contorno. Nel cast, la non ancora ventenne Claudia Cardinale. La canzone finale di Rustichelli, “Sinnò me moro”, cantata da Alida Chelli (figlia del musicista) è un must. Insomma, se qualcuno che cinema d’essai equivale a noi, quattordici ottimi e settimanali motivi per ricredersi. Per informazioni e prenotazioni (ingresso unico a 5 euro): 0862319773; 899030820; 3471942178. Buona visione a tutti.

Carlo Di Stanislao

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