A Venezia la (dis)Unità d’Italia e l’arrivo di Ben Affleck

Chiunque affermi che il cinema d’autore non deve essere mia didascalico, dimostra di non conoscere Autori come Rossellini o Godard, tanto per fare due nomi. Così accusare “Noi credevamo” di Mario Martone, presentato ieri al Festival di Venezia e pensato per la Tv in occasione dei 150 anni della Nostra Unità, di essere verboso, non […]

Chiunque affermi che il cinema d’autore non deve essere mia didascalico, dimostra di non conoscere Autori come Rossellini o Godard, tanto per fare due nomi. Così accusare “Noi credevamo” di Mario Martone, presentato ieri al Festival di Venezia e pensato per la Tv in occasione dei 150 anni della Nostra Unità, di essere verboso, non tiene conto del fatto che gli spettatori sono rimasti seduti e concentrati per 3 ore e mezzo e alla fine, hanno applaudito per 14 minuti ininterrotti. Il film di Martone non è un’opera di circostanza, ma una ricostruzione viva dei problemi che dal Risorgimento, continuiamo a trascinarci, con un Nord che spoglia ed un Sud che è spogliato e che, senza essere nostalgico della dominazione borbonica, non nasconde le problematiche lasciate irrisolte da una fase storica di cui il popolo, come spesso accade, ha finito con l’essere più spettatore o oggetto che non protagonista in grado di decidere del proprio futuro. Il Parlamento vuoto in cui un determinato e non conciliante Crispi pronuncia il suo discorso marca simbolicamente la morte di un’utopia; il padre contadino che dice al figlio “i padroni non cambiano: sono giacobini a Parigi e derubano poi i contadini nelle loro terre” ed un Mazzini preoccupato solo di fare una bella figura con la storia e che manda tanti giovani verso inutili sacrifici, sono le immagini simbolo di un’operazione più che riuscita. Come e meglio (secondo me), di “Allosanfan”, “Quanto è bello lo murire ucciso” e “Bronte”, Martone, ricostruisce i lati oscuri e le contraddizioni del Risorgimento, con quattro storie “minori” ed esemplari, dettate ed informate ad una rivisitazione del tema, con una messa in scena di grande accuratezza filologica (anche se restano misteriose alcune strutture in cemento armato) e con un’attenzione iconografica da sussidiario degli anni Sessanta (con un Mazzini già vecchio nel 1830 quando aveva venticinque anni). Licenze poetiche funzionali all’assunto: mostrare che l’oggi è figlio di ieri e pone le basi per un domani, che potrà essere solo come noi sapremo progettarlo già da ora. Tutti bravi gli interpreti (Toni Servillo, Luca Zingaretti, Luigi Lo Cascio, Francesca Inaudi, Guido Caprino, Renato Carpentieri, Ivan Franek, Andrea Bosca, Edoardo Natoli, Luigi Pisani, Stefano Cassetti, Michele Riondino, Franco Ravera, Andrea Renzi, Edoardo Winspeare, Anna Bonaiuto, Luca Barbareschi, Fiona Shaw, Romuald Andrzej Klos, Pino Calabrese, Enzo Salomone, Francis Pardeilhan, Leslie Csuth) e bellissime la colonna sonora, i costumi e, soprattutto, la fotografia. Stasera, al Lido, si proietterà un altro film molto atteso, “The Town” di Ben Affleck, un film che la critica americana (quella stessa che aveva crocefisso Affleck come attore bello e senza talento), ha definito solido, fatto di conflitti, azione e sentimenti, ambientato nella sua (di Affleck) Boston, con una storia (da lui stesso scritta e sceneggiata) sulla malavita locale, incentrata su un gruppo di ladri alle prese con una serie di “colpi”. In conferenza stampa Affleck, molto rilassato e sorridente, ha detto di essersi ispirato a “Gomorra”, con l’aggiunta di una storia d’amore tra il malavitoso (sempre Affleck) e la ragazza presa in ostaggio durante una delle rapine (la raffinata Rebecca Hall), che non sa che il giovanotto che la corteggia in verita’ era lo stesso che le aveva puntato la pistola alla tempia qualche giorno prima. Il fatto più curioso, notano i cinefili, è che nonostante il film tratti del suo sottobosco, del traffico di droga e dei quartieri piu’ problematici, da ‘The Town’ esca tutto l’amore di Affleck per la sua citta’ d’origine, dipinta in modo davvero molto coinvolgente. Nel film, infatti, sono presenti tutti i luoghi che si considerono piu’ importanti, come il mitico Fenway Park, lo stadio del baseball dove e’ ambientato il colpo finale. Ha commemnto di ciò Affleck ha dichiarato che il suo film e’ anche un omaggio alle tante brave persone che ogni giorno vivono e lavorano nella sua Boston. Ad esempio il personaggio di Rebecca si occupa di volontariato. Buoni sentimenti e buoni propositi a stelle e strisce ma con un risultato meritevole di essere visto.

Carlo Di Stanislao

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